Come un po’ tutti gli appartenenti alla famiglia dei Corvidi, sono dotati di una spiccata intelligenza, che in questo caso, è stata ampiamente dimostrata da innumerevoli studi e sperimentazioni, alcune davvero disarmanti. Non è una novità, che questi uccelli, siano in grado di: procurarsi strumenti a loro utili; risolvere problemi o esercizi complessi; sistemare alcune tipologie di cibo sulla strada, sfruttando ad esempio il passaggio degli automezzi, che frantumandoli, poi vengono consumati più facilmente
Video di Umberto Gianferrari e Marco Campari
Riceviamo e pubblichiamo delicato racconto di Silvano Scaruffi
Glauco
Viveva nella teggia di famiglia, così vecchia che tra le piastre in sasso della copertura si scorgevano quarti di lamiera ossidata come bozze di vecchie ferite, così vecchia che quando pioveva e poi strossava l’acqua scanalava sul tetto in pendenza scrosciando a terra senza canalizzazione, in cascata fragorosa, come immensa pisciata celeste.
La porta bassa e storta al piano terra della teggia era scostata, dentro Sedla sedeva su una cassetta ribaltata. La pelliccia allargata a terra come la coda di un pavone. Se l’era cucita da solo, con pelli e code di mammiferi catturati nel bosco. Una pelliccia, grossa, sudicia e sbrindellata. Attorno il buio polveroso appena rischiarato da una candela accesa su un tavolo. Ferri, trappole, tagliole appese ovunque, il banco da lavoro, solcato da lunghe crepe, la morsa fissata a un angolo e sopra sparpagliati, martelli, lime e altri attrezzi. La candela ansimò stanca, consumata fino a un dito dal tavolo.
Sedla fissava a terra, da fuori il grido di un rapace imperava e tagliava la vallata sin dal mezzogiorno. Lontano, poi più vicino, sopra quasi. Sedla fissava a terra, ascoltava e annuiva.
Poi lo stridio cessò di colpo. Sedla sollevò la testa e guardò oltre l’uscio, nel grigiore del pomeriggio, come avesse captato una variazione di frequenza nell’aria gelida. Abbassò il mento, premette la lingua dietro gli incisivi e fischiò, così forte che dalle ragnatele appese agli angoli della casupola la polvere crollò. Ci fu silenzio nella teggia scura, tra le castagne accatastate nei sacchi, tra le trappole per topi seminate a terra, le ferraglie dentate impiccate alle pareti, silenzio sulla pelle della lince catturata di fresco, impalata a seccare. Fuori qualcosa si mosse, nell’aria, frullando. Una nera figura alata si posò davanti la porta, sbattè le ali un paio di volte come per riordinare penne e piume, poi zampettò saltellando dentro la teggia.
“Glauco.” Gorgogliò Sedla, seduto sulla cassetta ribaltata la pelliccia allungata dietro. “L’hai spedita un’altra volta?”
“Craaa!” Fece l’uccello dai riflessi color petrolio.
“Bravo Glauco. Così la pianta di cridare tutto il giorno. Maledetta lei.” Sedla allungò una mano, sporca e incrostata, la manica della pelliccia gli nascondeva metà la mano tanto che l’arto sembrava la zampa di un vecchio orso rognoso. Il corvo intraversò la testa, un occhio vuoto inquadrò l’uomo, poi puntò a terra, nella polvere, poi di nuovo l’uomo. Sedla raspò sotto la pelliccia e lanciò una crosta di pane secco all’uccello. Glauco torse ancora la testa da rettile piumato come controllasse e prendesse la mira al tempo, poi scattò avanti salticchiando, il becco colpì la crosta.
Sedla si alzò e uscì serrando la porta della teggia. Glauco dentro, alla luce morente della candela, spiccò il volo e si appollaiò sulla tavola alla quale era inchiodata la pelle a essiccare. Il capo torto a squadrare in giù come per sincerarsi di che razza di trofeo fosse quello, poi uno spiffero d’aria si intrufolò sotto la porta e fece spegnere la candela. Glauco si sistemò meglio aggiustando le zampe sulla tavola, gonfiò le piume scotendole poi chiuse gli occhi.
Colgo l’occasione di questo “avvistamento” per sottoporre ai suoi Autori quanto accadutomi ad inizio giugno, sempre in tema di fauna selvatica, mentre stavo percorrendo la SP 513, cioè la via provinciale che costeggia l’Enza (qui nel tratto Vetto-Cerezzola).
Sul ciglio stradale a valle, ossia alla mia sinistra, sbucato davanti e a lato all’auto che mi precedeva, ho avuto modo di vedere un esemplare di lupo – o almeno così mi è sembrato di poterlo identificare – mentre stava entrando nella sottostante erba alta (per scomparirvi).
Nondimeno. vistane la taglia all’apparenza un po’ ridotta per un adulto, quale dava l’idea di essere quell’esemplare, mi sono poi domandato se potesse trattarsi di uno sciacallo – anziché di lupo – la cui presenza mi risulta però data solo in zona alpi – prealpi (orientali).
Ho perciò accantonato l’ipotesi sciacallo, salvo che stamattina, in un servizio TV, mi è parso di aver udito che l’areale dello Sciacallo dorato si è esteso all’Appennino emiliano-romagnolo, e mi sono così chiesto se quella mia ipotesi potesse “avere un qualche senso”.
P.B. 03.08.2021
P:B.
Come ripeto spesso,sono solo un appassionato di Fototrappolaggio e NON un esperto. Ciò premesso, credo che lo Sciacallo Dorato si stia diffondendo rapidamente e se non erro, la sua presenza è stata documentata sull’Appennino Parmense. Non Vi nascondo che anch’io, prima o poi…conto di mostrarvelo… ?
Umberto
Anche l’esemplare in causa si stava dirigendo verso la sponda parmense, ma non so se l’abbia poi raggiunta, e resta altresì da vedere se la presenza documentata oltre l’Enza riguardi pure il versante che guarda il reggiano, o il territorio che vi sia prossimo e comunque non troppo lontano.
Neppure io sono esperto della materia, né so quali distanze possa percorrere lo sciacallo, ma la taglia e il profilo dell’animale mi avevano orientato verso quella ipotesi, che resta in ogni caso tale fino a quando Umberto ci fornirà altri elementi in proposito (visto che prima o poi …. conta di mostrarcelo).
P.B. 03.08.2021
P.B.
Uno spettacolo della natura: siamo fortunati a vivere in questi luoghi.
Grazie ragazzi !
Ivano Pioppi