Ripartono a pieno regime gli scavi archeologici nel sito della chiesa di Santa Maria in Castello di Toano dal 2 agosto 2021. Dai lavori non si esclude la possibilità di rinvenire reperti databili in epoche molto antiche e ascrivibili agli ambiti civili, religiosi nonché al culto dei defunti. Da sottolineare anche l'estensione della prospettiva degli studi ai territori limitrofi che ne amplifica la portata.
Il progetto viene illustrato attraverso alcune domande poste ai referenti dello stesso partendo dall’archeologo Nicola Mancassola (*).
Come mai tanto interesse per la Pieve di Toano?
“La Pieve di Santa Maria in Castello, Toano (RE), rappresenta uno dei più suggestivi ed importanti edifici ecclesiastici degli Appennini emiliani. La particolarità della pieve di Toano consiste nel fatto di essere incastellata. Dal 2017 ad oggi ha preso avvio un progetto di studio e valorizzazione del sito, dapprima da parte dell’Università di Bologna (2017-2019) e successivamente dall’Università di Verona (2021). Tra pochi giorni, dal 2 al 27 agosto, riprenderanno gli scavi archeologici. Dopo aver messo in luce la torre del castello di età comunale (XII-XIII secolo) e la prima necropoli medievale (IX-X secolo), ora l’attenzione sarà rivolta alla fase canossana del castello. Nuove e affascianti scoperte attenderanno gli archeologi e chi verrà in visita alla pieve. Scavo promosso dall’Università di Verona, Dipartimento di Cultura e Civiltà. Lo scavo si inserisce in un più ampio progetto di collaborazione con l’Ufficio Beni Culturali e Nuova Edilizia di culto, della Diocesi di Reggio Emilia Guastalla (arch. Angelo Dallasta)”.
Quali sono le finalità della ricerca che sta dirigendo ormai da anni?
“Lo scavo presso la pieve di Santa Maria in Castello, comune di Toano (RE) si configura come un'importante occasione per indagare un contesto archeologico di grande valore storico per l’epoca medievale, offrendo la
possibilità di valutare con maggiore precisione il fenomeno della cristianizzazione nell’entroterra appenninico tra Modena e Reggio Emilia, aspetto di cui finora si conoscono pochi aspetti e su cui i dati archeologici sono assai esigui.
La pieve di Santa Maria rappresenta inoltre una delle poche realtà di questo tipo incastellate, segno di un’importanza non comune, che rende questo sito un caso di studio di grande rilevanza non solo in sede locale, ma anche su scala nazionale”.
Quali sono stati i ritrovamenti delle precedenti campagne di scavo?
“La pieve di Santa Maria in Castello si trova nel Comune di Toano in posizione topograficamente dominate su di un colle poco ad ovest dell’attuale centro abitato.
Oggi l’edificio religioso, ancora fruibile e aperto al culto, si presenta suddiviso in tre navate terminanti con altrettante absidi. In loco l’unico edifico presente, al di fuori del complesso plebano, è una torre ricostruita in età moderna, ma probabilmente impostata su di una struttura più antica. Lungo i versanti del colle, in mezzo alla vegetazione, si scorgono i resti di alcune strutture murarie in gran parte crollate, verosimilmente, parte dell’antico castello di età medievale.
A partire dal 2017 fino al 2019 si sono svolte tre distinte campagne di scavi archeologici dall’Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, sotto la direzione scientifica del dott. Nicola Mancassola, Dipartimento di Storia Culture Civiltà.
Nello specifico si è proceduto sia al rilievo dell’edifico di culto tramite fotogrammetria e posizionamento dei perimetrali, sia al rilievo topografico della sommità del colle con l’utilizzo della stazione totale. Terminata questa prima fase, ci si è concentrati sullo scavo archeologico. In un primo momento, si sono svolte delle trincee esplorative per valutare la consistenza e la qualità del deposito archeologico. In accordo con questi primi interventi, lo scavo ha interessato quattro differenti settori.
In tutti i settori le indagini hanno dato esito positivo mettendo in luce un'articolata sequenza stratigrafica dall'età medievale a quella moderna.
Nell’area localizzata ad est della pieve nella zona absidale, a ridosso dell’abside maggiore e di quello laterale, si sono rinvenuti i resti di un più antico abside probabilmente di età rinascimentale. In fase con questa struttura erano una serie di sepolture in parte sconvolte da successivi interventi di età moderna.
Nell’area ubicata davanti alla facciata della pieve a sud dell’ingresso principale, si sono individuati i resti dell’antica pavimentazione in lastre litiche esterna ala pieve e alcuni lacerti di murature da ascrivere a strutture precedenti di cui, dati i ridotti tratti localizzati, è difficile cogliere la funzione
Nella zona ubicata a nord del perimetrale settentrionale della pieve, che, procedendo in direzione nord-sud, arriva a lambire il limite del colle su cui sorge la pieve, si è documentata una fase cimiteriale di età moderna al di sotto della quale sono emersi resti di strutture di età medievale, alcune ascrivibili alla cinta muraria del castello altre a strutture interne allo stesso.
Infine, nella zona ubicata a sud del perimetrale meridionale della pieve, che, procedendo in direzione nord-sud, arriva fino a lambire il limite del colle su cui sorge la pieve, si è messa in luce una vasta area di necropoli di età medievale (X secolo) caratterizzata da tombe scavate nella roccia, alcune di loro antropomorfe. L’area cimiteriale fu in seguito abbandonata e si procedette alla costruzione di un castello in muratura di cui si conservano parte della cinta muraria e di alcuni edifici (XI-XII secolo). In età comunale (XIII secolo) fu costruita una torre e rifatta la cinta muraria. Tali strutture, furono utilizzate fino al XVI secolo, quando furono demolite in maniera intenzionale”.
Agli scavi partecipa attivamente anche l’archeologo Iames Tirabassi (**). Con il suo intervento consente illustra come è possibile ampliare lo sguardo degli studi andando ben oltre l’area situata nei pressi della Pieve di Toano.
Come si inserisce il lavoro che parte il 2 agosto nel più vasto panorama appenninico?
“Le ricerche iniziate a Castelpizzigolo e continuate a Toano mi hanno portato ad interessarmi del territorio sul quale esse insistono permettendomi di restituire un primo quadro ricostruttivo dell’evoluzione storica della Valle del Dolo. Ora, con l’adesione di diversi altri comuni della Valle del Secchia di cui il Dolo è uno dei tanti affluenti possiamo cominciare a programmare una ricerca a tutto campo sul suo bacino imbrifero che comprende comuni sia reggiani che modenesi. La sinergia di forze messe in atto dalle diverse amministrazioni consentirà infatti indagini mirate su diversi siti di rilevante interesse storico-archeologico, ma ciò non è certo sufficiente per ricostruire l’evoluzione storica di un territorio”.
Secondo il suo parere cosa servirebbe fare per ambire ai migliori risultati possibili?
“Per farlo è necessario certamente raccogliere tutte le testimonianze storico-archeologiche, ma per raggiungere questo obiettivo ambizioso sarà necessario intrecciarle con i dati geologici, geomorfologici e topografici del territorio in studio. E’ infatti evidente che le scelte insediamentali dell’uomo sono sempre dettate da esigenze che trovano la loro soddisfazione negli elementi naturali. Insomma il territorio è stato occupato nei millenni scegliendo luoghi che fase per fase potevano essere più o meno appetibili. Con gli esempi possiamo partire proprio da Castelpizzigolo, un castello posto in posizione anomala se non si considera che sta a controllo di una risorsa naturale molto importante per quel periodo: le fonti di Quara”.
Quindi? Queste sue considerazioni dove portano?
“Seguendo questa metodologia possiamo capire perché in montagna i primi agricoltori del Neolitico sono scarsamente documentati, essi infatti abbisognavano di superfici pianeggianti facili da dissodare, di cui la montagna è avara. Così come è ovvio che abitati dell’antica età del bronzo dobbiamo cercarli in zone umide o in grotta, dato che in quel periodo si viveva prevalentemente su palafitte e si frequentavano le grotte per ragioni rituali. Quelli dell’età del bronzo recente e finale li troviamo invece arroccati su alture perché in quel periodo i conflitti impongono la scelta di aree facilmente difendibili e la stessa cosa accade con i castelli del medioevo. E’ perciò naturale che gli spuntoni di roccia ofiolitica conservino resti di tali età”.
Quali potrebbero essere altri luoghi interessati dalle indagini?
“Altri siti importanti stanno alla confluenza dei fiumi o su terrazzi che ne sorvegliano l’accesso dalla pianura e il fondovalle. Insomma lo studio del territorio consentirà di intercettare nuovi siti archeologici, ma soprattutto, appunto, di capirne l’evoluzione diacronica dal paleolitico ad oggi”.
A nome dell’Antica Fabriceria Onlus, Corrado Caselli racconta ai lettori come ha preso vita il progetto degli scavi in pieve.
“L’ Antica Fabriceria Onlus , nasce come idea, una decina di anni fa quando tra un gruppo di amici locali si è condivisa l’esigenza di raggruppare le varie esperienze e competenze personali per convogliarle in un unico contenitore affinché si potesse meglio lavorare sull’idea progettuale che comprendeva la valorizzazione del territorio locale”.
Quale obiettivi vi eravate dati?
“Lo scopo dell’associazione è quello appunto di supportare dal punto di vista logistico la ricerca necessaria al percorso di divulgazione e riconoscimento degli aspetti storico architettonici del patrimonio culturale territoriale e nazionale”.
Come vi siete organizzati al riguardo?
“Grazie a rapporti di amicizia e di esperienze lavorative con vari professionisti del settore è stato possibile iniziare un percorso condiviso con laboratori di ricerca scientifici e università quali quella di Bologna e di Verona, organizzando incontri a tema tra gli addetti ai lavori ed in ultimo ma non in ordine di importanza, iniziare quella che è diventata il fulcro odierno dell’attività dell’associazione e cioè lo scavo archeologico sul campo”.
Dove avete reperito i fondi?
“L’attività si è resa possibile attraverso lo sforzo economico personale iniziale dei soci con risorse limitate ma con grande entusiasmo e consapevolezza che la strada intrapresa fosse quella giusta.
Ad ogni campagna annuale di scavo ed attività si sono aggiunti cammin facendo importanti sostenitori quali l’Amministrazione Comunale di Toano, la Diocesi di Reggio Emilia ed altre associazioni di volontariato locale oltre ad alcuni benefattori privati”.
Per ciò che concerne i lavori in partenza quali sono le vostre considerazioni?
“Lo scavo alla Pieve di Toano di quest’anno durerà un mese e permetterà di proseguire nella ricerca che ha già dato importanti risultati che verranno pubblicati a tempo debito dopo gli opportuni studi di settore. Ringraziamo per questa ultima avventura il Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano che ha contribuito al progetto e che si è aggiunto agli altri sostenitori iniziali”.
Quali le prospettive per il futuro?
“I risultati ottenuti hanno permesso poi di impostare un progetto a più ampio raggio in via di definizione che coinvolgerà l’Università di Verona e avrà come campo di studio tutta l’Emilia centrale e occidentale.
Siamo fermamente convinti che solo attraverso un recupero della nostra memoria storica si possa tentare di “ri-formare” una identità culturale che purtroppo attualmente sembra persa, il nostro passato ci parla ancora in maniera chiara e inequivocabile, bisogna tornare ad ascoltarlo. Il nostro pensiero racchiude il concetto che il recupero dei beni storici è fondamentale perchè tali manufatti sono come le lumache: lasciano sempre la scia”.
(*)Nicola Mancassola è professore a contratto presso il Dipartimento di Culture e Civiltà dell’Università di Verona. Il principale filone della sua ricerca è rappresentato dallo studio del mondo rurale tra VIII e XIII secolo, approfondendo l’indagine dei rapporti di lavoro,
dei sistemi di conduzione agraria e della società contadina. Accanto a questi temi ha portato avanti alcune indagini sulla famiglia dei Canossa, analizzando le basi patrimoniali del loro potere e il complesso rapporto con le istituzioni religiose tra X e XII secolo. Da un punto di vista archeologico, da numerosi anni sta portando avanti scavi in territorio emiliano riguardanti sia castelli, sia edifici ecclesiastici di età medievale.
(**) Iames Tirabassi è Laureato in lettere con tesi in archeologia all’Università La Sapienza di Roma. Archeologo pre-protostorico e del territorio presso i Musei Civici di Reggio Emilia per 40 anni, quindi conservatore dei Musei di Ostiglia (MN) per 6 anni e di Magnacavallo (MN) per 3 anni ed ora direttore del Museo del Po di Revere(MN), conservatore del Postumiae Antiquarium di Gazoldo degli Ippoliti (MN) e Ispettore Onorario della Soprintendenza per la provincia di Reggio Emilia. Ha realizzato sei diversi allestimenti museali, un parco archeologico e 16 mostre temporanee. E’ stato consulente archeologico per il nuovo Piano Territoriale della Provincia (PTCP) e per le i Piani Strutturali Comunali (PSC) di Campegine, Castelnovo ne’ Monti, Bibbiano, Bagnolo, Canossa, Quattro Castella. Mentre ha diretto le ricerche per le Carte Archeologiche dei comuni di Campegine, Montecchio, Quattro Castella, S. Ilario, Ostiglia (MN). Ha diretto 25 in provincia di Reggio Emilia e co-diretto 23 campagne di scavo fra emilia, lombardia e Veneto ed ha partecipato a 47 scavi anche in diverse parti d’Italia. Ha partecipato come relatore a 30 convegni nazionali e internazionali ed ha pubblicato oltre 200 articoli scientifici e divulgativi oltre a 7 monografie. Si è occupato e continua ad occuparsi prevalentemente di tutela dei siti archeologici, topografia storica, studio ed esplorazione di siti pre-protostorici (dal Neolitico al Bronzo Finale).
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Pareri positivi circa il lavoro in progetto sono stati raccolti da più fonti
Le parole che seguono sono del vicesindaco di Toano Romano Albertini: “Continua l'impegno del Comune sugli scavi intorno alla antica Pieve di Toano. Grazie alla collaborazione con l’Università di Verona, riprendono le esplorazioni sotto la supervisione dell'archeologo Nicola Mancassola. Siamo fiduciosi circa la possibilità di scoprire nuovi tesori che ci arrivano dal passato. Speriamo possa essere l’occasione per riportare alla luce la storia del nostro territorio. Ringraziamo per la collaborazione l'Antica fabriceria, la Curia di Reggio Emilia, la parrocchia di Toano, la Proloco del paese e ancora ma non certo da ultimo il Parco Nazionale dell’Appennino tosco emiliano per il sostegno che ha garantito al progetto”.
Ed è proprio con il pensiero del presidente del Parco Fausto Giovanelli che si prosegue: “La Pieve di Toano rappresenta un patrimonio non locale ma di tutto il sistema insediativo, religioso, storico, matildico e una pietra miliare lungo la Via Matildica del Volto Santo. Portare interamente in evidenza anche con una campagna di scavi realizzata anche con il piccolo contributo che da il Parco a questa grande iniziativa, si fa qualcosa di importante. In qualche modo si valorizza pienamente, dal punto di vista culturale, tutto l’itinerario storico-religioso. Il ritrovamento di una moneta che “parla” di Mantova e Lucca è stata una cosa molto significativa. Ora, questo riferimento nei reperti rinvenuti riconducibili alla dominazione dei Franchi, dice comunque che ci sono dei significati sepolti, che vanno portati alla luce, portati alla conoscenza del grande pubblico. Non solo per avere più attrattività nei numeri ma per dare davvero a chi fa il turista, il pellegrino, l’escursionista, il camminatore e anche ai residenti la consapevolezza dei valori che sono sedimentati nell’Appenino nel corso dei secoli”.
Sulla ripresa degli scavi interviene anche don Giancarlo Bertolini, parroco di Toano per esprimere il suo parere in merito: “Posso dire che la decisione di iniziare gli studi archeologici è stata ben meditata e ponderata, nel procedere si è cercato di valutare per il meglio tenendo nel debito conto i diversi aspetti che riguardavano il progetto. La parrocchia oggi non può che dirsi contenta e soddisfatta di quanto sin qui fatto ma anche per gli sviluppi futuri che si hanno in previsione. La Pieve può essere considerata senza ombra di dubbio il simbolo di Toano dunque l’attenzione posta su di essa è di sicuro stimolo anche per spingere l’interesse turistico verso i nostri territori. Questo è ancor più da sottolineare oggi quando si registra un inteso interessamento anche sulla Via Matildica del Volto Santo lungo la quale si spera si possa veder crescere il numero di camminatori e di pellegrini”.