Riceviamo e pubblichiamo
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Io non lo so, comunque voi chiamatelo pure destino,
chiamatelo fato, oppure caso, fate come volete, ma questa
è un’altra delle mie storie vere e ve la devo raccontare.
Voglio che sappiate come alle volte certe tragedie possono
coinvolgere tante persone allargandosi come un’enorme
ragnatela. Da allora sono trascorsi più quarant’anni e il
ricordo è ancora vivo nella mia mente.
Il 2 agosto 1980 era un sabato, il nostro primogenito allora
vent’enne si era preso una settimana di svago al mare con
altri tre suoi coetanei, la comitiva era composta da tre neo
ragionieri e un musicista anche lui da poco diplomato al
“Peri”.
Quella famosa mattina dovevano rientrare col treno che
passava da Rimini alle 8,30 ci aveva avvisato la sera prima
con una telefonata fatta da una cabina del posto. Dovete
sapere, che allora non si usava il telefonino come adesso,
che tutti ne hanno uno in tasca, perciò io se volevo sentirlo
lo chiamavo a ora dei pasti alla pensione dove
soggiornavano.
Torniamo a quel giorno, erano circa le 10,35 stavo come al
solito chinata sulla macchina da cucire, quando vedo
arrivare in casa mio marito, pallido agitato, quella mattina
era di servizio, perciò era in divisa, non mi guardò e non
rispose alle mie domande, prese con una mano il telefono
e con l’altra scartabellava la guida telefonica:
“Ma dove c… l’hai scritto?”
Mi avvicinai e a stento mi disse che cercava il numero della
pensione di Rimini, gli tremavano le mani ed era
pallidissimo, potete immaginarvi come mi sentii io.
Fece per due o tre volte il numero, ma la linea cadeva
sempre, allora presi io il telefono in mano, pensando che
nell’agitazione sbagliasse la chiamata, ma niente la linea
non si poteva avere. Intanto lui confusamente mi diceva
che alla stazione di Bologna era successo un disastro.
Niente la linea cadeva sempre, allora lui correva via
sbattendo le porte e dimenticando i guanti e il berretto.
Io rimasi lì in piedi vicino al telefono senza capire e senza
sapere cos’era accaduto.
Poi il telefono squillò, risposi freneticamente, ma era solo il
padre di uno di quei ragazzi, chiedeva se sapevamo se
erano partiti con quel treno che a quell’ora doveva essere
a Bologna. Poi squillò ancora due o tre volte erano sempre
i genitori che davanti al televisore seguivano le notizie
della strage di Bologna col cuore in gola, i nostri ragazzi a
quell’ora dovevano trovarsi su un treno fermo su un
binario in quella stazione.
Passò molto tempo, oppure poco non ve lo so dire quanto,
io lì in piedi incollata vicino al telefono, aspettavo la notizia
più orribile che potesse capitare, col cuore che pulsava
all’impazzata.
Finalmente uno squillo, era mio marito che molto
rasserenato, mi avvisava che non erano partiti a quell’ora
non avevano fatto in tempo a svegliarsi erano rimasti
addormentati.
Tramite il distaccamento di polizia stradale di Rimini che
aveva contattato via radio e che si erano subito prodigati
ad arrivare alla pensione, abbiamo saputo che la sera
prima avevano fatto “bisboccia”, la mattina si erano
svegliati tardi, li avevano visti uscire coi bagagli e gli
occhialoni neri verso le nove, perciò quel treno senz’altro
non l’avevano preso.
Un grande sospiro di sollievo e forse per l’unica volta nella
mia vita, benedii quella “bisboccia”.
Intanto cominciavano ad arrivare notizie certe sulla strage
di Bologna, una bomba a tempo, nascosta in una valigia
“dimenticata” nella sala d’aspetto di seconda classe
scoppiò investendo il famoso treno fermo al primo binario,
il tunnel sotto i binari mandando all’aria le rotaie e fece
crollare tutta l’ala sud-ovest della stazione e parecchi danni
ai palazzi adiacenti.
Nessuno si aspettava un attentato del genere, pensavano
di aver messo a tacere le famose “Brigate rosse o nere”
come volete voi, invece all’improvviso una strage, la più
grande di quegli anni, con ben 85 morti e più di 200 feriti, il
più alto numero di vittime nella storia del paese in quei
famosi anni detti di “Piombo”.
Bologna reagì subito con prontezza, in poco tempo fu
smontato tutto l’arredamento interno di un autobus per
poter caricare il gran numero di morti e portarli nelle
camere ardenti, mentre i feriti venivano messi su macchine
di privati e taxi che si offrirono per il trasporto in ospedale.
I cittadini di Bologna superato un attimo di sgomento
affiancarono i vigili del fuoco e le forze dell’ordine per
estrarre dalle macerie persone e cose.
(Nella sala d’aspetto di seconda classe nulla sembrava
diverso dal solito vi era chi leggeva, alcuni bimbi che si
rincorrevano sotto l’occhio attento dei genitori, Boy Scout
accampati in un angolo, un signore che osservava il
tabellone, storie di gente comune…in una stazione come
tante altre nel mondo…)
Dal libro di “Daniele Biacchessi: Un attimo…Vent’anni,
Bologna 2009 pag. 9”
Intanto i nostri ragazzi erano saliti su un altro treno non vi
so dire che ora era.
Soli in uno scompartimento, cominciarono a cantare, era
sempre piacevole ascoltare le loro voci giovani e fresche,
ogni volta che si ritrovavano lo facevano. Arrivati nei pressi
di Bologna il treno rallentava per cambiare binario, ma non
si fermava proseguiva lentamente. Allora uno di essi vicino
al finestrino li faceva zittire:
“Ragazzi, ma dove siamo capitati? Qui non si capisce più
niente”.
Si affacciarono al finestrino e quel che si presentò ai loro
occhi fu una cosa impressionante: macerie dappertutto,
rotaie divelte gente che vagava sulle rovine, sirene di
ambulanze, intanto il treno proseguiva lentamente la sua
corsa. Anche gli altri passeggeri si erano affacciati e
qualcuno cercava di sintonizzare la radiolina portatile per
raccogliere notizie, ma non ci riuscivano.
Spiegò loro tutto mio marito, che non riusciva a stare qui
con l’ansia addosso, era andato ad aspettarli in stazione a
Reggio, non vi so dire quanto tempo sia stato là seduto
sotto una pensilina con un mucchio di pensieri che gli
affollavano la mente. Finalmente il treno arrivava con
molto ritardo.
Sentendo la grave notizia e vedendo i titoli cubitali sui
giornali già usciti in edizione speciale, attaccati all’edicola
della stazione, i ragazzi rimasero senza parole, fecero il
resto del viaggio in macchina con lui in silenzio, forse
anche loro pensavano di essere sfuggiti a una triste sorte
solo per “caso”.
Elda Zannini