L’ultima omelia di don Eleuterio Agostini alla sua Chiesa è una forte parola di speranza. Lo ha affermato don Giuseppe Dossetti nell’omelia della messa esequiale che il vescovo Camisasca ha presieduto questa mattina, mercoledì 21 luglio, in Cattedrale.
“Una prima parola, egli la rivolge a tutti: a noi, suoi fratelli nella fede, ma anche alle tante persone che ha incontrato nella sua vita, anzi, se possibile, a tutta l’umanità. Egli ci dice: Abbiate speranza. A un uomo di Dio, si anzitutto questo: che ci aiuti ad avere speranza. Don Agostini è stato un uomo di speranza, l’ha trasmessa a tutti coloro che lo incontravano, c’era in lui quasi un puntiglio, un’ostinazione nel contrastare visioni pessimistiche del mondo e della Chiesa.
Egli ha conservato la giovinezza dello spirito e oggi ci consegna il compito di riconoscere l’azione di Dio nella storia, in quella grande del mondo e della Chiesa e in quella piccola della vita di ciascuno di noi.
I suoi occhi e il suo sorriso sono quelli di un bambino.
Don Giuseppe ha poi evidenziato che questo messaggio è tanto più prezioso, perché la vita di don Eleuterio ha conosciuto il dolore e la prova. Il dolore non ha risparmiato la sua famiglia. Egli ha vissuto il suo sacerdozio in tempi di grandi trasformazioni, quando non era facile mantenere la fedeltà alla Chiesa e nello stesso tempo la fedeltà ai propri ideali. Egli ha avuto il dono di essere insieme un uomo fedele e un uomo libero.
“Infatti, è in questa libertà che egli ci esorta ad amare la Chiesa. Per usare l’immagine di Isaia, i fiumi dello Spirito santo scorrono nel deserto: talvolta, sono fiumi carsici, nascosti, ma capaci di dissetare il popolo. Per lui, come per tanti sacerdoti del suo tempo - penso a don Angelo Cocconcelli, a don Mario Prandi, a don Dino Torreggiani - la Chiesa è “la Sposa bella”, che l’Agnello continuamente purifica con il suo sangue”.
Da dove gli veniva questa speranza? Sta proprio nel suo sguardo rivolto all’amore di un Dio crocifisso, la ragione della speranza, ma anche dell’apertura del cuore ad ogni uomo.
Un’altra parola- ha sottolineato don Dossetti, rivolge don Agostini in particolare ai sacerdoti: “Ci esorta ad essere vicini al popolo, a guardare all’uomo con un occhio buono, a riconoscere i segni dell’opera dello Spirito. E’ da questa visione che nascono in lui l’affetto per i poveri e il desiderio di una Chiesa che si costruisce “dal basso”, rinunciando al potere.
La sua biografia parla per lui: la scelta di andare a lavorare in fabbrica, a 49 anni; l’apertura,quando diventò parroco, della casa canonica all’ospitalità verso i poveri; l’amore per le Case della Carità.
Egli guardava con pazienza, con sguardo sapiente, il terreno che incontrava: non si lasciava spaventare né dai sassi né dalle erbacce, perché il seme era anche lì, nascosto, ma presente”.
Ciò spiega, ha evidenziato don Dossetti, un’affermazione ricorrente nei suoi interventi, in particolare nelle assemblee del clero. Egli amava parlare, con un po’ di civetteria, della “volgarità” del Vangelo e della Chiesa. Volgarità nel senso della parola latina “vulgus”, popolo. Infatti, affermava in un ‘intervista: “Se c’è qualcosa che esclude ogni visione elitaria è il Vangelo, perché coglie la povertà dell’uomo, la sofferenza dell’uomo e la morte dell’uomo. E quindi ecco che il Vangelo è volgarità”. Di qui, il rifiuto degli atteggiamenti, che definiva “aristocratici”.
Per 74 lunghi anni don Agostini è stato fedele al suo sacerdozio, inteso come fraternità con tutti, accoglienza, accompagnamento dell’uomo a riconoscere il mistero che è in lui.
Don Dossetti ha così concluso: “Don Eleuterio ci aiuti a conservare la giovinezza dello Spirito, ad amare la Chiesa, a stare vicini ai poveri: sono essi i nostri signori, perché in loro c’è Gesù. Saranno essi i nostri avvocati, quando saremo davanti al Giudice”.
g.a.rossi