Lorenzo Caluzzi
Era una calda mattina d’estate e mi trovavo presso la mia abitazione di Borgo di Levizzano, vicino a Baiso. Erano le 6:30 di mattina quando sono stato svegliato dal mio gallo. Come ogni mattina, mi sono alzato e ho fatto colazione con pane, cereali e latte, mi sono preparato per andare a lavorare nei campi con il mio compagno Giovanni. Alle 7 ci siamo incontrati davanti a casa mia e ci siamo incamminati verso Caliceto, dove lavoravamo nei campi. Durante il viaggio, con la coda dell’occhio, ho notato alcuni soldati che ho subito riconosciuto come appartenenti all’esercito tedesco per le loro fasce, nonostante ciò non ci ho fatto molto caso e abbiamo continuato per il tragitto. Arrivati poi ai campi, abbiamo iniziato a zappare e a raccogliere gli ortaggi e, grazie alla radio che Giovanni aveva portato, il nostro lavoro era reso più sopportabile. Il tempo trascorse velocemente e, verso l’ora di pranzo, abbiamo deciso di tornare a casa per mangiare. Abbiamo raccolto le nostre cose e gli ortaggi che avremmo mangiato da lì a poco e ci siamo incamminati nuovamente. Quando siamo arrivati alla nostra abitazione, ho notato alcuni soldati tedeschi che portavano via due mucche; subito ho pensato che avessero rubato i miei animali, quindi dissi a Giovanni che mi sarei avvicinato a loro di nascosto per scoprire cosa stessero facendo. Egli mi guardò con aria dubbiosa e sembrava quasi terrorizzato, cercò subito di dissuadermi, temendo una ripercussione tedesca, ma io non gli ho dato ascolto. Mi sono nascosto dietro a un albero dove potevo osservare cosa stesse succedendo e Giovanni mi ha seguito controvoglia. Io mi sono avvicinato sempre di più, arrivando all’angolo della casa, mentre il mio compagno rimase dietro l’albero. Tuttavia, quando ho sbirciato con la testa, sono stato visto dai soldati, i quali accorsero verso la mia direzione. Non ho fatto in tempo a girarmi verso Giovanni che i tedeschi mi avevano già raggiunto, mentre il mio amico era scappato. Sono stato arrestato e scagliato su un carro dove si trovavano altre persone della zona e tra questi ho riconosciuto alcuni miei conoscenti, catturati anch’essi dagli invasori. Quest’ultimi ci parlarono in tedesco, ma io non capii neanche una parola di quello che stavano dicendo. Per fortuna un prigioniero, che conosceva la loro lingua abbastanza bene, ci ha tradotto il loro discorso: ci avrebbero portato a Fossoli con la scusa di darci un lavoro, entro sera siamo arrivati sul luogo. Siamo rimasti nel campo per circa una settimana e, durante questo periodo di tempo, ogni giorno, arrivavano sempre nuove persone. Una mattina, dopo la solita conta giornaliera, arrivò un camion sul quale furono caricate tutte le persone presenti e durante il viaggio ci è stato detto che avremmo ricevuto un lavoro, una volta raggiunta la Germania. Il trasferimento è durato all’incirca una settimana, siamo stati condotti in un complesso chiamato Reimahg vicino a Kahla dove avremmo lavorato come operai per diverse aziende locali, in fabbriche ubicate all’interno del complesso stesso. Queste erano costruite sotto terra, internate in una collina, per resistere agli assalti aerei nemici ed erano raggiungibili tramite tunnel appositamente scavati nel terreno. Nelle fabbriche gli operai erano impegnati nella costruzione di caccia, utilizzati per scopi bellici, dall'aeronautica militare. Quando siamo arrivati per la prima volta nel campo, ci è stato ordinato di liberarci dei nostri vestiti e di indossare quelli fornitoci, che presentano un simbolo di riconoscimento per ogni persona, indicante una nazione diversa. Dopo abbiamo pranzato in compagnia dei soldati tedeschi e il cibo non era niente di spettacolare, ma neanche disgustoso. Dopo una breve pausa le guardie ci hanno diviso in più gruppi, ognuno destinato a un lotto diverso, dove avremmo alloggiato durante il periodo lavorativo. Ci hanno radunato in una parte del campo, ci hanno spiegato il regolamento e ci hanno illustrato le varie zone del complesso, in particolare le varie fabbriche. Tuttavia ci hanno vietato severamente di entrare in una parte specifica del complesso senza spiegarne il motivo. Giunta sera abbiamo cenato in compagnia dei compagni e ci hanno rinchiusi nelle baracche, dove abbiamo passato il resto della notte. La mattina seguente siamo stati svegliati all’alba dai soldati, che fecero la conta e, una volta confermata la presenza di tutti i lavoratori, ci è stata consegnata la colazione: ci è stato dato del pane secco con della marmellata, probabilmente scaduta. Ci hanno subito fatto iniziare a lavorare, senza mai fermarci, le uniche pause erano per il pranzo e la cena. Alla fine della giornata siamo stati rinchiusi nelle baracche senza alcuna possibilità di uscire e siamo crollati esausti sui nostri letti. È passato un po' di tempo e ora rimpiango quei primi giorni. Lla situazione dopo di allora è diventata critica, le ore di lavoro erano sempre più lunghe, fino ad arrivare alle 12 ore giornaliere, mentre le pause erano sempre meno, più corte e più distanti. Il cibo peggiorava di giorno in giorno e anche i pasti diminuirono. Prima è stata rimossa la colazione e poi è stata abolita la cena. A pranzo ci veniva consegnato del pane nero ammuffito composto da segale e segatura di pioppo con un po di marmellata o una fetta di salame, e, una volta alla settimana, dovevamo avere un pezzo di margarina, ma pochi ricordano di aver ricevuto questo cibo regolarmente. Anche la situazione igienica era disastrosa: i topi infestavano le nostre capanne e i vestiti erano pieni di pulci. Questo era dovuto al fatto che non ci è mai stato dato un cambio di vestiti, che c'era solo un bagno per tutta la nostra casata e che le docce comuni erogavano acqua sporca e non erano mai state pulite. Era stato anche istituito un ospedale, ma questo era del tutto inutile: molti dei bisognosi che si recano in quel luogo erano in condizioni tali che, nella maggior parte dei casi, non riuscirono a sopravvivere ed erano mandati lì semplicemente a morire. I soldati, che all’inizio erano apparsi abbastanza clementi, con lo scorrere del tempo, diventarono sempre più aggressivi nei nostri confronti e le violenze diventarono sempre più comuni. Capitò diverse volte che alcuni nostri compagni, dopo le bastonate dei militari e senza un aiuto medico, morirono sul posto all’istante. Inizialmente ci buttavano l’acqua fredda addosso e ci affaticavano con lavori inutili, ma col tempo le loro azioni si sono rese sempre più estreme. Ho sentito dire che in una delle baracche vicine alla mia un prigioniero aveva trovato una mela e, mentre stava per mangiarla, un tedesco se ne è accorto e, credendo che l’avesse rubata, gli ha sparato. Alcuni dei miei compagni hanno provato a ribellarsi e per una settimana non li ho visti, certi sostengono di aver visto i militari bastonarli e portarli in quella parte del campo a noi vietata. A causa della mia curiosità ho deciso di scoprire che cosa succedesse in quella zona e di cercare di scoprire questo mistero: mi sono nascondendo dietro ad un camion per il rifornimento per circa trenta minuti e finalmente hanno aperto i cancelli. Non avevo idea dell’orrore che avrei visto da li a poco: vi erano cadaveri a terra, uomini che lavoravano mentre erano bastonati dalle guardie e alcuni prigionieri che scavavano enormi fosse mentre altri gettavano i corpi dei propri compagni in queste buche. I cancelli si stavano per chiudere, ma ho fatto in tempo, purtroppo, a vedere una scena orrenda: un bambino si era avvicinato a un soldato, ma questo gli ha sparato, senza un minimo di compassione. Mi sono sentito male a tal punto che pensavo di svenire sul luogo, così mi sono allontanato, se mi avessero beccato lì, sarei stato io quello ad essere rinchiuso in quel posto maledetto e al solo pensiero mi vengono ancora i brividi. Le sorprese però non finirono qua, infatti la pessima condizione in qui mi trovavo era aggravata anche dal tempo sfavorevole. La situazione era già difficile da sopportare in estate, ma in inverno la vita era insostenibile. Infatti, nonostante la pioggia, eravamo costretti a lavorare e si dormiva con i vestiti bagnati. La maggior parte di noi non riuscì a sostenere il peso di quei giorni terribili e morirono, altri preferiscono buttarsi sul filo elettrico, che circondava il complesso ed essere folgorati all’istante, piuttosto che sopportare un altro giorno di fatiche nel campo. Poi una mattina mi sono svegliato più stanco del solito, il giorno prima avevo lavorato fino a notte fonda e dormito per circa un’ora soltanto. Il clima era più rigido del solito e le guardie più nervose e irascibili del normale. Appena svegli ci fu stato comunicato che quel giorno non avremmo ricevuto alcuna portata a causa della carestia. Non sono riuscito a sopravvivere.