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Fiumi della riserva MAB: la storia del Secchia

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Foto di Elisabetta Guidetti

In questo periodo di incertezze e di ripensamenti sulla nostra vita e su una società che cerca di uscire dalla pandemia e dalla crisi economica è giunto il momento di porci quelle domande esistenziali su cui non ci eravamo ancora soffermati. Una di queste può essere: ma i fiumi sono di sesso maschile o femminile?

A questa questione epocale (mi si consenta di scherzare) si può rispondere facendo riferimento alla lingua popolare e ai dialetti. Con questo taglio i fiumi che terminano con la lettera A sono da sempre percepiti al femminile, la Trebbia, la Parma, la Secchia. Tuttavia i nostri bravi maestri delle elementari ci hanno insegnato che i fiumi sono invece tutti dei maschietti perché bisogna considerare oltre al loro nome la sottintesa, e prevalente, qualifica di “fiume”, che è parola di genere maschile. E così interpretano i caposaldi ufficiali della cultura geografica, dal Touring alla De Agostini alle varie enciclopedie fino alle denominazioni ufficiali della burocrazia.

Però, se guardiamo alle statue che nei secoli hanno impersonificato i fiumi fin dall’epoca romana, magari travestiti da divinità, la differenza di genere ricompare. E ne abbiamo molte testimonianze perché i fiumi si prestano ottimamente a essere raffigurati come statue, se non altro per la scusa che offrono di ospitare magnifiche fontane. E non occorre andare molto lontano. I giardini della reggia di Rivalta, che il comune di Reggio Emilia cerca di valorizzare per quelloche ancora ci rimane, erano chiusi da una specie di abside che conteneva tre statue: il Crostolo al centro, in piedi, con una brocca in mano da cui zampillava acqua e, accasciate ai piedi, le statue di un Panaro
barbuto e di una prosperosa signora che raffigurava, appunto, “la Secchia”.

Un reggiano si potrebbe stupire: cosa ci fa da noi una immagine del Panaro mentre nel trio manca l’amato e vicino fiume Enza? La risposta è ovvia: il duca di Modena era - appunto - modenese e ha voluto rappresentare solo i fiumi che scorrono all’interno del suo ducato essendo l’Enza invece terra di confine con lo “straniero”, cioè il ducato di Parma. Poi uno si può anche stupire che della prevalenza data nel trio al fiumicello più derelitto, il Crostolo, ma anche questo si spiega bene: scorreva a poche decine di metri dietro alle statue, al di là del muro del giardino. Non vogliamo dargli una prevalenza? Superiorità che si è perpetuata anche sul loro destino essendo il nostro Crostolo finito a decorare la piazza principale della città di fronte al duomo e al municipio mentre le altre due statue sono state collocate sulle spalliere del ponte sul Crostolo alla periferia sud di Reggio con un degrado del materiale che le rende ormai poco leggibili (il duca aveva risparmiato sulla qualità del marmo).

Così, stabilito che, almeno storicamente, “la” Secchia è una signora non si può sfuggire al paragone tra lei e il cugino (o la cugina) Enza, i due fiumi che delimitano la provincia reggiana. Con i pro e i contro. Il Secchia (torniamo alla lezione dei maestri) non può vantare la stessa frequentazione estiva che rallegra con bivacchi e balneazioni le rive dell’Enza, almeno da Ciano in su. Nel suo tratto medio il Secchia è piuttosto maltrattato da interventi umani pesanti anche se, almeno fino a Castellarano, le sue belle distese di ciottoli non sarebbero meno ospitali rispetto all’Enza, con una portata di acqua normalmente superiore e con una pescosità, per chi amasse il genere, decisamente più ricca.

Foto Mauro Malvolti

Il vantaggio indubitabile del Secchia è un altro: i suoi affluenti. La vallata del Dolo, che ha come “capitale” Civago, e quella dell’Ozola, che interessa la zona di Ligonchio, sono due gioielli ambientali che hanno pochi paragoni nell’arco
appenninico emiliano. Dobbiamo ringraziare il Secchia per questi suoi “figlioli”. L’Enza, pur attraversando il fascinoso ramisetano all’ombra dell’Alpe di Succiso e del Ventasso, non ha immissari di uguale personalità.

Facciamo sintesi: Secchia e Enza sono due cugini di diversa personalità ma altrettanti preziosi e ben radicati nel cuore dei reggiani. Idealmente, con in mezzo il buon Crostolo, meriterebbero una ricollocazione nella reggia di Rivalta, lasciando il Panaro ai modenesi. Senza rancore.

(Qui la storia del fiume Enza)