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“Verso le buche” (racconto di Gianni Tincani)

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Potrebbe essere un'immagine raffigurante strada

Erano gli anni '50. Quando le giornate si  allungavano e veniva l'estate, tutti i ragazzi scappavano sulla Statale gridando e correndo, sporchi e mal rattoppati, e mancavano da casa per lungo tempo; sicché, quando ricomparivano, i loro familiari erano già in agguato col rametto di salice , e li spellavano. E loro scappavano un'altra volta.

Su quelle strade giocavano a "nascondino". E allora qualcuno incominciava a contare: "Uno, due, tre, quattro... Trenta, trentuno. Chi è fuori, è fuori! Chi è dentro, è dentro!".
C'era poi il gioco dell' "anello", il gioco del "dottore", il gioco della "moscacieca", il gioco della "cavallina", il gioco del "fazzoletto"; le ragazzine giocavano di preferenza alla "settimana", mentre i ragazzi giocavano quasi sempre alle "piastrelle". Il gioco era molto semplice: funzionava un po' come quello delle "bocce" dei grandi; solo che, al posto delle bocce, i ragazzi usavano dei sassi piatti levigati; e per dare più sapore alla gara, mettevano come posta dei bottoni. A sera, non erano pochi quelli che tornavano a casa con i calzoni in mano. E allora sì che erano botte!
A volte litigavano per un nonnulla: e finiva che si davano degli spintoni e dei calci, se non addirittura delle sassate. Poi qualcuno all'improvviso gridava:
"Scappate, che arriva l'autocorriera!"
La scorgevano in lontananza dal polverone che sollevava sulla strada sterrata a ghiaia fine.
Veniva la sera.
Era quella l'ora che tutte le donne del paese cominciavano a chiamare questo o quello a gran voce, e maledicevano. Sbucavano ogni tanto da un poggio che dava sui prati, sui boschi, sul fiume, verso la Statale, e cacciavano quello strillo come se stessero cantando:
"Tereee...sa!""Giaaa...nni!"
"Maaa...ria!"
Poi quelle urla lamentose, cadenzate, cessavano. E allora c'era una pace meravigliosa, e si sentiva soltanto qualche grillo.