Nino Piccinini e Giorgio Fontana: 23 giugno 1944
Per quanto siano stati diversi gli scontri combattuti in territorio baisano e, purtroppo, per quanto siano stati diversi i caduti, solo uno di questi viene ad oggi ricordato con un cippo. Il suo nome era Stefano Piccinini, ma il suo nome di battaglia (che fu prima, probabilmente, soprannome, come a suggerirne l’esilità) fu “Nino”. Era un giovanissimo studente Sassolese: salì in montagna con gli amici e, con loro, prese parte alla liberazione di quella grande zona che passerà poi alla storia come “Repubblica Partigiana di Montefiorino”. Proprio in difesa della zona libera (che si estendeva fino a Toano, ma che aveva spinto diverse formazioni partigiane a stanziarsi tra la Costa Alta di San Cassiano e Levizzano, per controllare la strada sul Secchia) nella giornata del 23 giugno 1944 Nino, Giorgio “Geppo” Fontana (di Roteglia) e altri si erano spinti fino al ponte del Carnione. L'obiettivo era far esplodere il ponte e bloccare così la risalita dei nazifascisti dalla pianura.
Testimonianza di Vittorio Roncaglia: «La mattina del 23 giugno –ricordo che c’erano i covoni di grano nei campi – io, Nino Piccinini, Giorgio Fontana e uno che era stato nei pontieri e diceva di essere pratico di esplosivi, dalla base di Cerredolo fummo mandati a minare un ponticello sulla Radici, all’altezza del bivio per Baiso e Levizzano. Ci portarono giù con una macchina e sarebbero tornati a prenderci verso sera. L’ex militare iniziò a minare il ponte, mentre noi ci eravamo messi in posizione da dominare la strada che veniva su da Sassuolo. Sono poi capitati lì dei borghesi, con i quali ci siamo messi a parlare. Dopo un po’, prima di mezzogiorno, abbiamo visto alzarsi una nuvola di polvere sulla strada bianca e poi intravisto un sidecar tedesco. Piccinini si è spostato verso il Secchia, io sono rimasto nella parte alta, vicino a una grossa siepe. La gente che era lì con noi è scappata verso il fiume. Quando ci siamo accorti anche della macchina che seguiva il sidecar, era troppo tardi. Piccinini ha cominciato a sparare con il moschetto, ma i tedeschi l’hanno centrato subito con una raffica di mitraglia. Io, d’istinto, sono saltato dentro alla siepe fitta e piena di spine e sono rimasto lì tutto il giorno. I tedeschi hanno catturato Fontana e poi rovistato tutt’intorno, hanno interrogato gli abitanti di una casa lì vicino, (li sentivo parlare) e hanno anche sparato contro quei borghesi che stavano scappando verso il Secchia. Mi sono passati vicino più volte, anche a un metro o due di distanza… solo quando ha fatto notte sono uscito dalla siepe e lungo il Secchia mi sono avviato verso Cerredolo. Sulla strada mi sono incontrato con i nostri, che stavano venendo in giù con le camionette».
Testimonianza di Ottavio Tassi: «Al comando tedesco di Sassuolo, posto nel Palazzo Ducale, il Fontana era sottoposto ad un duro ma affrettato interrogatorio. Dal rapporto fattomi da un nostro informatore, mi risultò che il Fontana, palesando una insospettata sicurezza di carattere, quale possono avere solamente gli eroi, oppose alle domande tedesche il più assoluto mutismo, sopportando con stoicismo ammirevole insulti e percosse. Esasperati dal contegno del partigiano, i carnefici decisero di fucilarlo immediatamente. Dando un’ennesima dimostrazione del loro cinismo, a Mons. Virgilio Franzelli, presentatosi al Comando tedesco per ottenere di poter assistere il condannato veniva risposto che «non ve n’era bisogno, poiché il Fontana non sarebbe stato fucilato». Solamente a 15 minuti da tale risposta, cioè alle 10 e 15, il Fontana, calmo, sereno, trasfigurato nello sguardo dalla luce che emana dalla certezza di sacrificarsi per qualche cosa di più grande e di giusto, scortato da una selva di baionette, attraversava il paese seguendo l’itinerario: Via Rocca, Piazza Grande, Via Battisti, Piazza Garibaldi e Via Mazzini e si arrestava di fronte al campo sportivo».