Anche quest’anno si è tenuta, in data 12 giugno, la benedizione delle croci di Volpara e Montepiano e la commemorazione dei caduti in Comune di Vetto: sono stati ricordate tante persone. Presente il sacerdote don Giancarlo Denti che ha invocato la protezione del Cuore Immacolato di Maria, di cui ricorreva la festa il giorno precedente.
Luca Tadolini ha inquadrato il periodo storico, ritenendo preziosa questa iniziativa per ricostruire vicende che denunciano uno sfregio a società pacifiche quali erano quelle della nostra montagna reggiana, che non erano state coinvolte dalla guerra praticamente da secoli e neppure erano toccate da fenomeni di banditismo.
Racconta Tadolini: “Erano state oggetto anche di investimenti con la costruzione di infrastrutture e per favorire il lavoro, sia dalle autorità estensi, sia dallo stato unitario, compreso il regime fascista. Non vi era violenza, non vi era arrivata neppure la guerra mondiale, iniziata per l’Italia nel 1940. Essa colpì le comunità della montagna dalla primavera del 1944 perché si decise da parte del partito comunista, allora stalinista (le formazioni cattoliche arriveranno molto dopo) su richiesta e con l’appoggio degli Angloamericani, di iniziare una guerriglia partigiana in Appennino (che determinò una contro guerriglia italo – tedesca) con formazioni irregolari. Seguirono, insieme alle rappresaglie tedesche, uccisioni che proseguirono anche oltre la fine del conflitto, il successivo aprile 1945. La guerriglia uccise anche persone che potevano contrastare il progetto di passare dal regime fascista a quello stalinista, come nella vicina Jugoslavia. Furono colpite persone, scelte per creare un’ egemonia sul territorio e suscitare paura negli abitanti: "Se è successo a loro, potrebbe succedere anche a me..."
Ancora oggi è difficile tenere aperto il discorso su questi temi scottanti dei crimini partigiani ed ottenerne la condanna pubblica e l’impegno a che queste violenze non si debbano mai più ripetere. Rimane in alcuni una inquietante riserva mentale, che giustifica queste uccisioni. Ciò nonostante la nostra terra abbia visto nascere successivamente anche le Brigate Rosse. Per questo ringrazio la Chiesa e chi, fra la popolazione, è qui pacificamente a riflettere con noi”.
Era presente, per il secondo anno consecutivo, l’ANVG – Associazione Nazionale Volontari di Guerra - e il vice presidente Alessandro Casolari ha sottolineando come la vicenda del capitano Pietro Azzolini debba essere di riflessione e ispirazione per tutti coloro che si riconoscono nei valori fondanti di questa Associazione d'arma: “Spirito di servizio, lealtà verso la nazione, onore, altruismo caratterizzarono la sua vita fino al tragico epilogo della sua uccisione”. Infatti, ha proseguito Casolari, Pietro Azzolini, medico condotto di Vetto, non manifestò la minima esitazione, pur nel pieno della guerra civile, a rendersi disponibile quando gli venne comunicato che alcuni partigiani, gravemente feriti, necessitavano di assistenza medica. Accettò di partire verso quella che si rivelò una trappola mortale, orchestrata da personaggi senza onore e privi di scrupoli morali. Quest’anno, come ha ricordato Laurenzia Azzolini, nipote di Pietro, è stato fatto un passo avanti nella memoria, aggiungendo alle altre una targa in ricordo di un gruppo di ramisetani e di un esponente dei fratelli istriani, giuliano-dalmati, che pure hanno visto l’orrore, spogliati di passato e presente.
Mauro Zmarich, originario di Laurana (Istria) e proveniente da Ponte di Brenta (Padova) ha raccontato, non senza commozione, la vicenda dello zio Manfredi che finalmente ora ha una targa, e per i parenti un luogo benedetto a cui poter pensare e sul quale pregare. Infoibato nell’aprile ’45, persona retta, prelevato ed ucciso nel cuore della notte e il cui corpo non è stato ritrovato: aveva trenta anni.
Ricordato da Liliana Dazzi lo zio Alfonso: l’ombra del silenzio anche intorno alla sua morte, figura stimata e padre di due bimbi rimasti prestissimo orfani. Tecnico del comune di Ramiseto, operò in molti settori, progettò ed attuò, in collaborazione con il parroco di Acquabona, don Mario Iotti, l’acquedotto locale ottenendo finanziamenti sostanziali, opera ancora efficienti e progettò varie strade per collegamenti sul territorio, lavorò per abbassare le tasse, o diluirle, alle persone in difficoltà.
Laurenzia ha poi ricordato Maria Costi, Filippi Lodovico, Filippi Marino, Filippi Pierino per la loro storia straziante, in quanto di questa famiglia oltre alla memoria dimenticata, non è rimasta neppure la casa. Ricordati poi Bernardo Genitoni, Franco e Roberto Rinaldi: di quest’ultimo non è mai stato ritrovato il corpo mentre quello di Franco riposa a Cola. ”Ricordare è un dovere di chi si occupa di memoria” ha affermato e così ha citato anche le persone che nel tempo hanno aiutato a percorrere questo cammino di posa delle croci, tra cui il Maestro Angelo Margini di Casina.
Hanno presenziato anche persone di spicco della politica come Cinzia Rubertelli e Marco Eboli che ha ricordato come la destra abbia avuto il coraggio di conservare le memorie volutamente dimenticate, anche del confine orientale. Come uomo ha affermato di aver sempre creduto sia giusto diffondere il seme della conoscenza e della verità: ”Il nostro territorio è disseminato di croci. Chiunque passi di qui si interroghi per conoscere queste persone e per lasciare emergere la verità: la guerra di liberazione è stata anche guerra civile e il sentiero aperto dovrà diventare strada per far passare alle giovani generazioni la memoria. Il Martirologio è poi una pietra miliare” e ha lodato le iniziative del Vescovo in memoria di Rolando Rivi.
Ricordata anche Norma Cossetto per la quale a Reggio Emilia si sta lavorando per l’intitolazione di una via. Alla benedizione della croce di Ostilio Ferrari sono state lette le testimonianze prese dal libro di Guido Riva: “Un prete tra i partigiani” dove si parla della difficoltà per il ritrovamento dei corpi di Azzolini Pietro e Ostilio e la testimonianza di don Nando Barozzi tratta da “I cattolici Reggiani” di Sandro Spreafico dove si racconta la storia di un disertore austriaco che passò ai partigiani, poi scappò da questi, dopo aver conosciuto le uccisioni occorse nel vettese nella notte tra il 21 e 22 giugno ’44. Poi, dopo avere raccontato la triste storia di Ostilio e la sua efferata uccisione di cui si conoscono mandanti ed esecutori, sono state elevate preghiere di perdono, pace e misericordia, con lettura anche di poesie di Clara Bussi Borghini. Sono state ringraziate le persone che, nel tempo, hanno fatto sì che la memoria di questi fatti atroci via via emergesse e gli abitanti della zona che, partecipando, hanno dimostrato sensibilità, svelando anche come gli stessi abbiano lasciato un segno profondo sul territorio e nella comunità.
Ha concluso Don Giancarlo Denti affermando, con riferimenti al presente e a situazioni di odio, come la storia non sia mai solo un fatto del passato: “… Perché aiutare il nemico? La fede è la risposta. Non dobbiamo avere paura. Dio guida la Storia”. “Volate sulle cime del crinale con le ali della libertà. Riposate in pace”, riportava il volantino preparato per l’occasione dall’Associazione Pietro e Marianna Azzolini e dal Centro Studi Italia e “Il sangue dei martiri lava le anime che si avvicinano a Dio” citava quello per la benedizione della croce di Ostilio Ferrari, predisposto dai familiari, in memoria.
Di Maria Alberta Ferrari
“Non vi era violenza…Essa colpì le comunità della montagna dalla primavera del 1944 perché si decise da parte del partito comunista, allora stalinista (le formazioni cattoliche arriveranno molto dopo) su richiesta e con l’appoggio degli Angloamericani, di iniziare una guerriglia partigiana in Appennino (che determinò una contro guerriglia italo – tedesca) con formazioni irregolari.”
Praticamente, secondo questa interpretazione, a me sembra che a scatenare la violenza forono i partigiani, mentre le sante camicie nere e i loro bravi fratelli nazisti, che stavano facendo solo del bene, si sono trovati nella situazione, poverini, di dover reagire ai soprusi di quei farabutti di angloamericani, spalleggiati dai balordi banditi partigiani.
Io sono per la libertà di parola, ma anche per la libertà di critica, e trovo questa visione dei fatti a dir poco disgustosa. Quanto tempo dobbiamo attedere, per sentirci dire che le povere SS furono vittime delle rivolte dei sanguinari prigionieri ebrei di Birkenau e Treblinka?
Andrea
Signor Andrea, ho pubblicato le lettere delle vedove di Cervarolo e degli abitanti di Civago, trovate nell’Archivio di Stato, nel libro La RSI a Reggio Emilia, (4^vol) dove emerge chiaramente la tragica dinamica guerriglia/rappresaglia nelle borgate della nostra montagna. Troverà anche (libro “Communists”) i documenti dei servizi OSS in appoggio alle formazioni del PCI (anche da noi), poi oggetto d’inchiesta del Congresso USA. Sulla persecuzione ebraica non ho mai trovato all’Istoreco un solo volantino o manifesto delle formazioni partigiane reggiane contro l’Olocausto, e nessuna azione dei partigiani contro il campo di Fossoli.
Tanto per iniziare non sarebbe male, nell’esporre le proprie opinioni, firmarsi con nome e cognome.
Ciò premesso, e peraltro ben sottolineato, la cosa inaccettabile è che, al di la dei fatti e della loro completa, non parziale, contestualizzazione, non ci si vuole spostare dall’aberrante assunto che esistono i morti di seria “A” e quelli di serie “B”.
Chi continua, purtroppo, a pensarla in questo modo, almeno abbia la decenza di firmarsi in modo completo; per il doveroso rispetto ai morti, compresi, se non soprattutto “suoi”
Un commento molto sensato il suo, soprattutto visto che non è firmato (io almeno ci metto il nome, lei manco quello!).
A parte questo, e precisando che i caduti civili morti per mano dei partigiani hanno tutto il mio rispetto, a mio avviso ci sono casi in cui i morti di serie A e di serie B esistono eccome, e lo rivendico. Equiparare le vittime civili delle stragi, ai morti tra le fila delle SS, degli invasori nazisti, o dei loro spalleggiatori repubblichini, questa si è un’aberrazione. Se per lei queste persone meritano tutte lo stesso rispetto, a mio avviso c’è qualcosa che tocca…
Saluti
Andrea
Caro Andrea, di fronte alla morte siamo tutti uguali: la pietà cristiana non ha colore politico, è pietà e basta.
Se poi consideriamo che anche Papa Francesco ha detto: ” chi sono io per giudicare ? “, penso che anche lei si debba allineare…
Buongiorno Sig.Andrea,
la cecità, il pregiudizio, l’ottundimento ideologico; la censura della conoscenza e della verità; gli eventi mistificati, evitati e sottaciuti dalla storiografia ufficiale, la narrazione distorta e capziosa… Questo trovo sia aberrante!!!! La storia ha il dovere di essere fedele a tutti gli eventi, così come si sono realmente svolti. I giudizi e le valutazioni personali sono altro. Un popolo che non rispetta e non ha il coraggio di fare i conti con la propria memoria difficilmente troverà gli strumenti per affrontare e costruire degnamente il proprio futuro.
Buongiorno a lei!
Ogni lettore, potrà eventualmente valutare se la sua risposta sia meglio indirizzata al sottoscritto, oppure a Tadolini.
Cordiali saluti
Andrea
Signor Andrea,
qualunque lettore, libero da preconcetti ideologici, non avrà il minimo dubbio… La storia la scrive chi vince, chi deve costruire e consolidare un potere..
Un cordiale saluto
Caterina