Il vento del Monte della Croce, curvo sotto l'eternità del tempo, soffia gagliardo, tra i camini del paese, la storia della lingua ligonchiese dei nostri avi, una sorta d'eco di voci smarrite che ora trovano rifugio nelle pagine del nuovo dizionario.
Con fare amoroso, le parole accarezzano i caldi lidi della memoria: dalle osterie ai campi aridi e sassosi, dai sacrifici al temperamento, all'orgoglio e alla volontà indomita della nostra gente di montagna.
Dalle pagine fresche di stampa, emerge il ricordo commovente di come i nostri vecchi comunicavano in quegli anni lontanissimi, anni preziosi, visti con gli occhi di oggi, dove forse il silenzio valeva più della parola, anni che hanno custodito e trapiantato il loro fascino sospeso nella terra del presente.
Parole curiose, vestite con in velo di mistero, a volte impronunciabili, ancora più ostili da scriversi, parole con accenti ballerini che sfuggono lì per lì al lettore, per poi ridare, meravigliosamente, un significato familiare alla scrittura.
Parole trasmesse verbalmente tra generazioni e mai raccolte in un dizionario, parole come note sul leggio di una grande orchestra orfana di tanti elementi e coloro che rimangono sulla scena del "non dimentichiamo mai la lingua dei padri", cercano stoicamente di far sopravvivere l'identità del vecchio spartito originale.
Parole che bruciano l'anima, dentro lo spirito di quel tempo immacolato, da cui proveniamo, parole che riscaldano il presente nel ricordo.
Un linguaggio semplice e dimenticato di un'umanità perduta, ma che ci sta tanto a cuore, perché dietro i complimenti all'amica Sandra Bacci, autrice e curatrice del dizionario, nelle pieghe delle pagine si sente la voce del sangue.
Alberto Bottazzi
Bravo Alberto delle parole che arrivano sempre al cuore.
Bella la recensione e che arriva al cuore, bravo Alberto ed un brava alla Sandra per l’impegno che ha messo nella ricostruzione del dialetto ligonchiese.
(Gianni)