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Il taccuino ritrovato del poeta ottocentesco Antonio Peretti. La pubblicazione integrale 80 anni dopo

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Da Reggio Report, di Pierluigi Ghiggini

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Antonio Peretti, studente a Marola

Da Umberto Eco a Sepulveda, a Dan Brown sino un profluvio di scrittori di mistery, la letteratura contemporanea trabocca di documenti segreti, libricini riemersi dal profondo dei secoli, lapidi arcane. Per tacere della mitica moleskine nella quale il papà di Indiana Jones (Sean Connery al cinema) custodiva i segreti del Santo Graal.

Quella del manoscritto di fantasia, della frase misteriosa quanto inventata, della pagina strappata come pretesto per avviare in modo effervescente una storia di successo, è del resto uso antico in letteratura, come sa chiunque abbia letto almeno per obbligo scolastico la prefazione dei Promessi Sposi del Manzoni.

Il taccuino

Nel nostro caso, invece, è tutto vero. Persino incredibilmente vero. Qui parliamo del taccuino personale, ritrovato da Giovanni Tadolini veramente per caso, del poeta risorgimentale Antonio Peretti. Nato nel 1815 a Castelnovo ne' Monti, Peretti è fra i poeti più conosciuti nella prima metà dell’Ottocento, talvolta accostato ad autori ben più celebri come Pellico e Carducci. Poeta di corte del duca di Modena Francesco V (e per questo catalogato, erroneamente, tra i poeti di circostanza, sia pure “sommo”), poi convertito alle idee liberali e al sogno della nuova Italia, Peretti fu licenziato dal Duca, e per salvare la testa fuggì esule in Toscana e in Piemonte, senza mai più rivedere la terra natia. Morì giovane a soli 43 anni a Ivrea, dove si guadagnava la vita come preside di liceo, nel 1858, troppo presto per assistere all’alba della Patria unita. A lui è dedicata una delle piazze principali di Castelnovo ne' Monti.

Qui allora parliamo di un libretto di 12 centimetri per 18, originariamente di 153 pagine, compilato da Antonio Peretti con scrittura ordinata e minuta. Una prima nota, una sorta di moleskine ante litteram, riempito negli anni della maturità, quasi sino alla morte, con poemetti, satire politiche, liriche sue e di altri autori.

A ritrovarlo e a conservarlo per decenni è stato dunque Giovanni Tadolini, già noto imprenditore e, da anziano, prolifico ricercatore e autore di saggi di storia reggiana (se ne contano almeno ventidue).

Aveva 19 anni il Tadolini, quando nel 1942, nell’antichissima Abbazia del Traghettino di Castelnovo Sotto (espropriata ai Gesuiti, poi dimora e azienda agricola dei banchieri Rocca e dei Parodi Delfino, oggi ridotta in macerie) incespicò in un cumulo di libri abbandonati, poi finiti in un falò, e gli arrivò in mano proprio il taccuino del Peretti, con alcune pagine strappate e qualche foglio volante. Come fosse giunto lì dall’esilio, ancora oggi non è chiaro. E’ certo che Tadolini lo ha salvato tenendolo come una reliquia e a un certo punto ricopiandolo a mano, con grande pazienza, a caratteri di stampa, sino a rivelarne l’esistenza, con una breve sintesi del contenuto, in un articolo su Reggio Storia del 2003.

Oggi Giovanni Tadolini, alla età davvero importante di 98 anni, ha dato alle stampe il contenuto integrale di quel prezioso taccuino in un libro intitolato, appunto, “Antonio Peretti – Il taccuino personale” , pagine 241, per i tipi delle Edizioni Terra e Identità. Contiene non soltanto le trascrizioni accurate dei lavori, inediti, del Peretti come del Monti, di G. Pietro Tonelli, del Borghi, e fra gli altri un invito al 1948 di Alessandro Valoti – ma anche la copia fotografica di tutte le pagine del libretto e dei fogli ad esso allegati.

Il valore non è soltanto nell’avventuroso ritrovamento e nella curiosità bibliografica. I testi aggiungono nuova luce alla vicenda dell’intellettuale perseguitato per le sue idee, rivelandone un’intelligenza politica non comune, le doti di polemista e anche una sorprendente potenza dei suoi versi.

Vera gemma di satira politica, tanto per dire, è il dialogo immaginario scritto in pieno 1948 nel quale il Re di Napoli Ferdinando II, il suo ministro di Polizia marchese Del Carretto e un monsignore confessore del Re discutono se sia lecito far fuori con il veleno papa Mastai Ferretti, Pio Nono, (“codesto Papa, testa di Rapa…“) colpevole di aver concesso la Costituzione, e così inguaiando gli altri regnanti italici. Concludono che un Re, secondo i “Monita”, può essere fatto fuori se c’è di mezzo la difesa della religione, però un papa no, proprio non è permesso in nessun modo ammazzarlo. Non resta che lavorarsi con “sorde pratiche” le Eminenze, i Monsignori, le Eccellenze “accio s’oppongano / con varie forme / alle sataniche / Nuove riforme… “

Un testo che probabilmente celava la denuncia, sia pure prudente e con il trucco della satira alla Pasquino, di un vero complotto ordito dalla teste coronate contro Pio IX. Le quali riuscirono comunque nell’intento di depotenziare il Vicario pur senza ricorrere a pozioni letali: perché da liberale, Mastai Ferretti diventò reazionario, ferocemente anti liberale e anti massone, e ciò grazie anche ai reportage di Padre Bresciani, l’autore di quell’Ebreo di Verona saccheggiato in anni recenti e senza ritegno da Umbero Eco nel suo Cimitero di Praga.

Struggenti di nostalgia, invece, i versi in cui nella Viola Mammola, Peretti rivela tutta l’amarezza per la lontananza dai monti reggiani e per come la vita lo aveva malamente trattato: “O sepolcri dei viventi/Città infauste io vi abbandono/Io palustro augel non sono/ nato il fango ad abitar”… Rivedervi posso ancora/O mie libere foreste/ L’alma ingenua che mi deste/Non corruppe il nuovo asil/Ritrovar l’antica pace /nel silenzio antico io spero/Avrà un fiore il mio sentiero/nella mammola gentil”…

In definitiva, un libro, “Antonio Peretti – Il taccuino personale“, che non può mancare nello scaffale di chiunque sia appassionato delle vestigia letterarie emiliane.

Ma come è nata questa piccola gemma? E soprattutto, cosa ha spinto l’autore – che in questi anni ha anche ricostruito la mappa dell’antica cittadella del vescovo di Reggio – a dedicarsi con risultati sorprendenti alla ricerca storica, in età matura, una volta conclusa un’attività lavorativa di tutt’altro genere? Le risposte nell’intervista che segue , raccolta in questi giorni con la collaborazione del figlio Luca, nella quale Giovanni Tadolini spiega, in fondo, che le passioni intellettuali nascono dalle circostanze dell’esistenza, che comunque non bisogna mai scoraggiarsi e che, davvero, non è mai troppo tardi.

Il segreto delle mie ricerche: intervista a Giovanni Tadolini

Giovanni Tadolini

Colgo l’occasione dell’ultimo libro che lei ha scritto “Andrea Peretti – Poeta- Castelnuovo Monti 1815 Ivrea 1856 – Il Taccuino personale”, per le Edizioni terra e Identità di Modena. E’ il frutto di una passione personale per la poesia o per la nostra storia risorgimentale?

Indubbiamente più per la storia risorgimentale di cui mi sono già occupato, poi la fortuna di avere un documento reperito in un luogo che un tempo era uno scrigno di storia: la Tenuta Traghettino, dove rimaneva una biblioteca benedettina e gesuita.

Mi trovavo davanti ad un mucchio di libri abbandonati dai Gesuiti nella Basilica del Traghettino dai tempi della Riduzione Ecclesiale e ho notato per la sua particolare rilegatura in pergamena il taccuino. Mi è stato concesso di tenerlo. Eravamo nel 1942 e il libretto è rimasto custodito nella mia biblioteca fino al 2002, quando casualmente me lo sono ritrovato fra le mani e valutandone l’interesse, ne ho pubblicato uno stralcio sui Marchesi d’Ivrea nella rivista “Reggio Storia”, allora di Gino Badini.

Sono trascorsi altri vent’anni. Questa volta mi sono deciso a lavorarci per ristamparlo integralmente. E’ il ventiduesimo libro di storia locale. Ho cominciato a settantadue anni, dopo una vita di continuo e intenso lavoro.

Quale motivo lo ha spinto a cercare stimolo di vita in modo così antitetico alla precedente attività?

Terminato il periodo lavorativo, che mi trovava totalmente impegnato nella mia attività di imprenditore, ho potuto dedicarmi a ricerche, studi storici e alla documentazione che l’incrocio di varie storie e indirizzi famigliari aveva accumulato nella mia residenza nel centro storico reggiano.

Qui ho potuto attingere argomenti anche differenti, ma sempre collegati alla ricostruzione storica di fatti locali in pace e in guerra, nella cultura e nell’economia.

Dai titoli dei libri, gli argomenti trattati sono tanti, molto diversi fra loro, e non correlati. Esiste un filo conduttore che li unisce?

Non è esistita alcuna intenzione di connetterli. Scrivevo per il piacere sempre avuto nella ricerca delle cause che hanno motivato ogni azione. Non esiste azione senza motivo. Mi diceva un contadino “dal cervello fino” che “neanche il cane muove la coda per niente”. Un contesto esiste sempre.

Mio padre è stato dirigente della Tenuta Traghettino, una grossa azienda agraria di Cadelbosco Sopra e lì vi sono nato. Studiando quella realtà dove lavorava, ho ricostruito la storia di quel luogo, fin dall’antichità, quando era una terramare e l’ho pubblicata in due libri.

Mio suocero, Enrico Giusti, giovane nazionalista durante la Prima Guerra Mondiale, volontario al fronte per tre anni, ferito tre volte, scriveva lettere che sono state conservate e con queste ho ricostruito nel libro “Irredentisti”, la storia inedita dei Giovani Nazionalisti Reggiani nei quali militava.

In una lunga lettera indirizzata al padre di mia suocera, figlia di Giuseppe Romani, Sindaco di Cadelbosco Sopra nella seconda metà dell’Ottocento, ho trovato la storia di un capitano spagnolo repubblicano, che per detronizzare il Re di Spagna aveva accettato di andare a comprare armi all’estero portando con sè novemila franchi francesi. Scoperto, ha seppellisce il denaro in Italia, ma con un tranello, rientrato in Spagna, viene arrestato e condannato a quarant’anni anni di carcere. La storia continua complessa come un romanzo che mi ha ispirato il libro “Un tesoro sepolto a Cadelbosco Sopra.”

Una collezione di immagini di propaganda della Prima Guerra Mondiale, conservata da mio suocero che aveva partecipato al conflitto, ha pure motivato un libro con la storia delle cartoline patriottiche.

Inoltre mi sono dedicato a ricerche storiche sullo stabilimento in cui io lavoravo, fondato nel 1870. Un tempo mulino e produttore di carta, era azionato con l’acqua del Canale del Buco del Signore. L’acqua in passato era il petrolio e l’energia elettrica di oggi. Ho approfondito la ricerca e riprodotto, da disegni d’epoca, tutti i mulini azionati ad acqua sui tre canali artificiali allora esistenti nel libro “Canali di Secchia, Enza e Buco del Signore”.

Trovato il soggetto, con quale procedura ha potuto svilupparlo fino a raggiungere ipotesi sulle origini del formaggio grana e il Castello del Vescovo?

Nell’azienda agraria, dove sono nato e vissuto da giovane, ho visto la fabbricazione del grana. Ritengo di avere indicato nel libro “Origini del Parmigiano Reggiano”, la genesi medievale ed il luogo dove si è passati dal caseus vetus al grana. Ho allargato la ricerca agli eventi del momento ed ho trovato che nel 1234 una forte gelata ha distrutto gli uliveti, e l’olio, unico condimento nell’alimentazione, è mancato. Nella necessità, i Benedettini lo hanno sostituito con il burro ed il grana ha iniziato la sua corsa nella storia alimentare, con successivi altri artifici, verso il Parmigiano-Reggiano.

Un altro studio al quale mi sono dedicato in questi anni è stato il Castello del Vescovo. Alla fine delle invasioni barbariche gli Ungari, eredi in qualche modo degli Unni, devastarono Reggio e uccisero il Vescovo. Negli anni seguenti – siamo nel Nono Secolo d.C. – l’Imperatore consentì ai Vescovi successivi di costruire una fortezza nel centro di Reggio, tra la via Emilia e le due attuali piazze. Nella cinta era contenuto il Duomo e San Prospero, ma anche la curia. Così, partendo da scavi avvenuti negli anni Trenta del Novecento nella nostra via Vittorio Veneto, ho potuto ampliare le ipotesi su questa imponente fortificazione, oggi sparita, perché assorbita dalle abitazioni, compresa quella in cui abito.