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La meditazione di don Paul Paku sulla liturgia odierna

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don Paul Poku

Nella prima lettura di questa domenica vengono evidenziate le prescrizioni contenute nell’Antico Testamento riguardanti i malati di lebbra. Chi era colpito da tale malattia diventava un pericolo per la sua famiglia e per l’intera comunità e doveva essere perciò isolato per evitarne la diffusione («Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell'accampamento»). A queste precauzioni di carattere sanitario si aggiungeva anche lo stigma religioso: la lebbra era infatti considerata un castigo divino, che escludeva il malato dalla comunione con Dio e lo rendeva quasi un “morto vivente”. In questo senso la lebbra può essere vista anche come immagine del peccato dell’uomo, che separa dalla vicinanza degli uomini e di Dio.
Fatta questa premessa possiamo addentrarci nel brano del vangelo, dov’è descritto l’incontro tra Gesù e un lebbroso. Notiamo subito che, contrariamente alla suocera di Pietro per la cui guarigione avevano interceduto i discepoli (come abbiamo evidenziato domenica scorsa), stavolta è il lebbroso ad avvicinarsi a Gesù: infatti egli è ormai un “uomo morto” e nessuno si preoccupa per lui. Contro ogni “distanziamento sociale” ante litteram, il lebbroso si avvicina a Gesù dicendogli: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Vale la pena soffermarsi su queste parole: la coppia di verbi “se vuoi, puoi” rivela come il lebbroso si aspetta che anche Gesù lo respinga, ma allo stesso tempo che, grazie alla sua fede, riconosce la potenza di Gesù e si abbandona alla sua libertà. Inoltre non chiede la guarigione ma la purificazione, concetto che trascende il piano fisico per raggiungere una dimensione spirituale: egli vuole essere sanato per rientrare nella comunità degli uomini e di Dio. A questa sua richiesta risponde la misericordia del Signore («Lo voglio, sii purificato!»), che si concretizza nel tocco di Gesù. I lebbrosi dovevano restare distanti dagli altri uomini per non renderli impuri col loro tocco, ma questa volta è il tocco della purezza di Dio che cancella l’impurità della malattia. Questo è un insegnamento forte per noi: il tocco di Gesù annulla il male dell’uomo.
Dopo aver esaudito il lebbroso, assistiamo a uno strano comportamento di Gesù verso il guarito: «ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: “Guarda di non dire niente a nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro”». In quest’ammonizione sembra coinvolto il “segreto messianico”, che ritornerà altre volte nel corso del Vangelo; ma c’è dell’altro: Gesù voleva contrastare la convinzione errata secondo cui la lebbra era un castigo mandato da Dio. Il lebbroso guarito perciò doveva presentarsi al sacerdote non solo per riabilitarsi completamente agli occhi della comunità, ma anche per mostrare all’autorità religiosa il vero volto di Dio, non vendicativo ma compassionevole. Il guarito però disobbedisce al comando di Gesù: «quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città». Perché quest’uomo non ha taciuto, rispettando il comando? Forse perché non poteva contenere la gioia del tocco salvifico di Cristo, ma doveva condividere questo suo bene con il suo prossimo. Quella del guarito è una vera e propria evangelizzazione, che con la divulgazione del fatto trasmette l’annuncio dell’incontro con il Signore alla folla. Grazie a lui molti sapranno che in Gesù si rivela il volto del Padre, tanto che «venivano a lui da ogni parte». Anche noi non dobbiamo perdere occasione per annunciare la gioia dell’incontro con il Signore ai nostri fratelli.