In occasione della Giornata del Ricordo, le classi terze delle scuole secondarie di primo grado di Carpineti, Casina, Villa Minozzo, Felina e Castelnovo Monti ricevono copie del libro scritto da Graziano Udovisi, "Foibe - L'ultimo testimone" edito nel febbraio 2015, per approfondimenti, omaggio di Raffaella Udovisi, figlia dell'autore che nacque a Pola e morì a Reggio Emilia.
Se le misure anticovid possono in questo periodo condizionare ogni tipo di relazione, di certo non limitano, nel cuore di chi è legato a questa triste pagina di storia, il Ricordo delle Foibe e dell’Esodo degli italiani di Istria, Fiume e Dalmazia.
Dal 2004, quando questa Giornata fu istituzionalizzata, tutti i Presidenti della Repubblica che da allora si sono succeduti hanno ricordato gli orrori che in quelle terre, tra il 1943 e ben oltre la fine della guerra, sono stati commessi a danno della popolazione di lingua e cultura italiana.
“ La dittatura comunista di Tito scatenò in quelle regioni una persecuzione contro gli italiani, mascherata talvolta da rappresaglia per le angherie fasciste, che si risolse in vera e propria pulizia etnica, colpendo in modo feroce e generalizzato una popolazione inerme e incolpevole. Questa persecuzione, gli eccidi efferati di massa - culminati, ma non esauriti, nella cupa tragedia delle Foibe - l’esodo forzato degli italiani dell’Istria, della Venezia Giulia e della Dalmazia fanno parte a pieno titolo della storia del nostro Paese e dell’Europa”. ( Il Presidente Sergio Mattarella. Giorno del Ricordo 2020)
Dal 2004 si parla di questo argomento con sempre maggiore risonanza, nella consapevolezza che non ci possono essere vittime di serie A o di serie B ma tutte hanno pari dignità, che ricostruire la storia e farne memoria è un dovere da esercitare e un diritto da rispettare.
Da allora alle vittime di questo atroce e pianificato massacro sono stati intitolati monumenti, vie e piazze, sia in Italia che all’estero, nelle città e nei paesi dove gli esuli giuliano-dalmati hanno cercato di ricomporre la propria vita stravolta.
Fa male però, ancora oggi, assistere a violente opposizioni e a sterili riduzionismi.
Il Giorno del Ricordo delle Foibe e dell’Esodo istriano, fiumano e dalmata deve servire a tutti noi, soprattutto ai giovani, agli studenti, per riconoscere quanto devastanti sono gli effetti della guerra, dell’odio tra i popoli e ci deve far capire quan
to invece la pace, la libertà, la democrazia siano preziose e mai scontate. Ricordiamoci quali sofferenze hanno generato le guerre, i totalitarismi di destra e di sinistra e le opposte ideologie. Ricordiamoci che non sono i Trattati tra le Nazioni a costruire la pace. La pace passa attraverso le persone, attraverso il comune sentire. Passa attraverso tutti noi, la nostra intelligenza e la nostra volontà di pace.
Con questo spirito ritengo si debba celebrare il Giorno del Ricordo e così tutti i Memoriali dei drammatici eventi che hanno segnato la storia italiana (e non solo) del Novecento.
Nel libro “Foibe, l’ultimo testimone“, scritto da mio padre Graziano Udovisi pochi mesi prima di morire, c’è tutta la storia di quell’inferno. Una voragine da cui lui, pur sopravvissuto, con l’anima non è mai uscito.
Non si può dimenticare tutto questo. Non si può essere indifferenti, tantomeno avversari arroganti. Si deve diventare, con umiltà, testimoni.
Raffaella Udovisi
Di seguito la lettera di Raffaella Udovisi indirizzata ai docenti e agli studenti
Reggio Emilia 10 febbraio 2021
Cari studenti, gentili insegnanti,
la mia sarà una piccola ricostruzione storica con questa premessa che non finirò mai di ripetere:
lo studio delle vicende del passato, soprattutto quello più vicino a noi, quello della seconda guerra mondiale e del dopoguerra, va effettuato nella consapevolezza che tutto va fatto conoscere; che i testimoni hanno tutti lo stesso diritto a raccontare; che non ci sono vittime di serie A o di serie B ma tutte hanno pari dignità; che ricostruire la storia e farne memoria è un dovere da esercitare e un diritto da rispettare, lontano da ideologie politiche, in quella giusta trasversalità che solo l’assoluta neutralità del vero storico può garantire.
Mio padre è stato gettato in una foiba il 14 maggio del 1945, aveva 19 anni.
Ha cominciato a parlare e a scrivere del suo agghiacciante dramma nel 1987, quando lo scrittore Giulio Bedeschi pubblicò la sua storia nel libro “Fronte italiano, c’ero anch’io”.
Un silenzio lunghissimo quello che mio padre sopportò, durato 42 anni.
Un silenzio sofferto, pesante, assurdo, imposto dalla situazione politica del tempo. Una seconda profondissima voragine in cui scaraventare una storia terribile che però quotidianamente riaffiorava nella sua mente e che non poteva condividere con nessuno.
In breve il racconto del suo dramma:
A 19 anni (settembre 1944) si arruola nella Milizia per la Difesa Territoriale sotto il comando di Libero Sauro, figlio di Nazario Sauro, eroe italiano dell’irredentismo italiano contro l’Austria. E’ forte in lui il sentimento di italianità (questa parola la sillabava I-TA-LIA-NI-TA’ Ricordo che calcava su queste sillabe come il martello su un chiodo). Come tantissimi altri volontari, giovani come lui, cerca in tutti i modi di difendere la sua terra e la sua gente dai partigiani di Tito che, subito dopo l’8 settembre del 1943, hanno invaso quelle terre e hanno iniziato i primi infoibamenti, soprattutto contro gli italiani, in tutta l’Istria e la Dalmazia.
Il 5 maggio 1945, a fine guerra, si presenta spontaneamente al comando slavo di Pola, città dove lui abita, dichiarando che il reparto di cui è tenente, stanziato a Rovigno, ha ricevuto l’ordine di sciogliersi ed è stato dirottato verso Trieste. A Pola quindi non c’è nessuno dei suoi commilitoni. Non è vero niente. In realtà il suo reparto è ricercato. Gli slavi sanno che è l’unico reparto ad aver ripiegato su Pola. I suoi compagni d’arme sono dunque a Pola, nascosti da qualche parte. Gli hanno chiesto di aiutarli.
Viene ascoltato da chi è seduto alla scrivania: un maggiore italiano di una non bene identificata Arma.
Viene creduto ma viene fatto immediatamente prigioniero e legato col fil di ferro. Qui comincia il suo calvario: un susseguirsi di torture fisiche in luoghi sempre diversi. Da Pola a Dignano, a Barbana, ad Arsia, ad Albona, a Fianona. Qui a Fianona, all’alba del 14 maggio, viene condotto sul bordo di una foiba, legato col filo di ferro ad altri cinque. E’ il primo.
Non aspetta che il cecchino slavo spari al primo per far cadere in foiba tutti gli altri. Decide di gettarsi prima che il proiettile lo colpisca. Rimbalza su un ramo sporgente e cade nell’acqua.
Sì, sul fondo della foiba c’è l’acqua. Si salva e salva anche un’altra persona, tirandola fuori dall’acqua per i capelli. Gli altri sono morti.
Appena fa buio, tutti e due si arrampicano sulla parete scivolosa della voragine. Escono finalmente sotto il cielo stellato.
“ Foibe l’ultimo testimone” da pag.43 a pag.49
Nìni e mio padre sono salvi, possono finalmente tornare a casa, ma ognuno vi ritorna per la propria strada. Si promettono reciprocamente di non rivelare a nessuno la loro storia e di non cercarsi mai più. Così è stato.
Mio padre mi raccontò solo una parte della sua terribile storia quando stavo terminando l’Università. Ero poco più grande di voi di una decina di anni. Non capivo il perché di tanta ferocia in quella storia. Sì, le guerre sono mostri orrendi, ma quello che mi si presentava andava ben oltre ciò che immaginavo in un fronte di guerra. Però non c’era nessun fronte di guerra, non c’era un nemico ben identificato contro cui combattere a viso aperto, come in trincea, addirittura la guerra era già ufficialmente finita; da poco, ma finita.
Papà mi mostrò le foto dei corpi degli infoibati recuperati dai Vigili del Fuoco, su cui belve, non uomini, si erano accaniti. Inorridivo incredula e decisi di non affrontare più quell’argomento. Non mi piaceva parlarne. Capii dopo, molto tempo dopo. Quello che lui cercava di raccontarmi non era la “sua storia”, era un pezzo importantissimo della nostra Storia italiana, sconosciuto, negato, oscurato, seppellito per decenni insieme ai morti. Era la storia di migliaia di italiani massacrati in modo barbaro, bestiale, orrendo e fatti scomparire dai partigiani di Tito nelle viscere della terra, anche a guerra finita. Sistema sommario, veloce, sicuro, ampiamente utilizzato per coprire i propri atti criminosi, ben lontano dalle norme giuridiche processuali del diritto internazionale.
Era la storia di centinaia di migliaia di italiani che abbandonarono la propria terra, le proprie cose, i propri affetti, il proprio lavoro, per andare profughi in Italia e nel mondo, costretti da un regime straniero di stampo comunista che impose una diversa organizzazione politica ed economica, la confisca dei beni, l’azzeramento delle consuetudini sociali, delle tradizioni e della vita religiosa, l’uso esclusivo della lingua croata e slovena, l’apparato repressivo poliziesco che portò alla negazione delle libertà individuali fondamentali.
In aggiunta a tutto ciò, il senso della completa estraneità a questa nuova realtà fece sì che circa 300.000 persone su 500.000 che abitavano nelle località cedute alla Jugoslavia dopo il Trattato di Parigi, il 10 febbraio 1947, lasciarono la Venezia Giulia.
Sottolineo soprattutto che si trattava di italiani che andarono profughi in Italia, pagando sulla propria pelle il prezzo della sconfitta del nostro Paese. Prezzo di gran lunga più alto rispetto al resto degli italiani sopravvissuti nelle altre regioni della nostra penisola, alla fine della guerra.
Oggi quando pensiamo ad un profugo pensiamo ad uno straniero che di sua volontà viene in Italia, o comunque ad una persona che abbandona la propria patria per cercare accoglienza in un altro Paese. Allora invece erano italiani che furono costretti ad abbandonare una terra italiana (l’Istria, Fiume, Zara ) e a cercare accoglienza in Italia come profughi. Profughi in patria? Un controsenso … eppure non sempre furono accolti con gentilezza e solidarietà dai propri connazionali.
Nelle stazioni ferroviarie di Venezia, Ancona, Bologna, dove i treni dei profughi si fermavano, furono addirittura osteggiati violentemente ed ai bambini furono negate le cure indispensabili o gli alimenti basilari, ad esempio un semplice bicchiere di latte. Erano tutti considerati fascisti. Se andavano via dalle terre occupate dai comunisti di Tito non potevano essere altro che fascisti. Quindi non potevano essere accolti benevolmente. A tali assurde conclusioni portavano le ideologie del tempo. Fortunatamente non tutti in Italia la pensavano in questo modo. Molti di quei profughi o esuli (come si è soliti anche considerarli) trovarono una cordiale e solidale ospitalità in diverse città o paesi, sia in Italia che all’estero, dove poterono ricostruire la loro vita stravolta.
Molti altri furono sistemati nei 140 Centri Raccolta Profughi (C.R.P.), caserme dismesse, scuole, alberghi, alloggi requisiti, disseminati da nord a sud della nostra penisola, proprio come oggi si fa con gli immigrati da paesi stranieri. Circa 250 famiglie di italiani provenienti dall’Istria e dalla Dalmazia tra il 1954 e il 1970 furono collocate nel campo di concentramento di Fossoli, vicino a Carpi, noto per essere stato un campo di deportazione di ebrei e politici verso i lagher del Reich fino al 1945. Durante la permanenza dei profughi giuliano-dalmati fu denominato Villaggio San Marco.
Che cosa rappresentano le foibe per noi oggi?
Un orrore da ricordare, sempre. Esito di quel male assoluto, mai abbastanza identificato, combattuto e mai definitivamente sconfitto che ieri ha portato a quella tragedia. Ma che anche oggi si ripropone e produce altri orrori.
Nell’agosto 2020 infatti, a ulteriore conferma di quanto accaduto in quegli anni, un’agghiacciante scoperta è avvenuta in Slovenia, nella zona del Kočevski Rog, nelle immediate vicinanze di un vecchio ospedale partigiano. Si tratta di un’altra foiba.
A 14 metri di profondità gli speleologi hanno trovato i resti di 250 persone, quasi tutte civili e giovanissime. Tra loro 100 adolescenti e 5 donne. E’ stata denominata la “Foiba dei ragazzini”. L’esecuzione di massa accadde probabilmente in un’unica notte del 1945. Tanti i proiettili trovati fuori e dentro la voragine.
Da decenni la voce dei sopravvissuti ai massacri del maresciallo Tito ci raccontava tutto ciò, ma questa volta a parlare sono i corpi delle vittime. Impossibile non ripensare alla testimonianza di mio padre. Ad oggi in Istria sono state trovate più di 1.700 foibe.
Pur cercando nel mio spirito cristiano la forza del perdono, di fronte ad un genocidio di tale atrocità mi è difficile farlo, forse solo Dio riuscirà a perdonare questi carnefici. Ringrazio Graziano Uduvisi e la figlia Raffaella per il contributo che hanno dato a far conoscere alle nuove generazioni a quale livello può arrivare la cattiveria umana mossa dalle ideologie politiche. Per motivi personali, che non sto ad elencare, conosco bene quanto successo agli Italiani infoibati e inorridisco ogni volta che ci penso; e mi dico sempre: almeno li avessero ammazzati prima di buttarli nelle foibe. Spero solo che ricordare questi fatti serva ad evitarli in futuro, si dice che la storia dovrebbe insegnare.
Franzini Lino
Per la verità, la maggior parte dei circa 5000 morti venne uccisa prima di essere gettati nelle foibe, e peraltro buon parte non finirono nelle Foibe.
Non credo peraltro corretto parlare di genocidio, sia perché nella guerra in quell’area gli Italiani furono quelli che ebbero meno vittime civili, rispetto a croati e sloveni, sia perché la base degli omicidi commessi soprattutto nella fase titina fu più politica che etnica.
Diciamo che quelle che noi chiamiamo foibe sono due fenomeni distinti.
Il primo del settembre 1943 fu un movimento più spontaneista ed era sostanzialmente una caccia all’Italiano, da parte sia di partigiani che di civili.
La seconda fase, fu un’operazione politica compiuta dai titini per assumere il controllo politico soprattutto di Trieste.
In questo si inserisce lo scarso supporto fornito dall’Italia agli italiani in Istria e Dalmazia, sia per diversi imbarazzi politici/nazionali, sia perché come nazione sconfitta avevamo poca capacità contrattuali rispetto ad una nazione vincitrice
Poi è chiaro che la vicenda del ricordo è stata accantonata per anni per principalmente 3 motivi:
1) L’imbarazzo dei comunisti sulla vicenda
2) La scelta dei governi italiani (a guida DC) di proteggere il proprio esercito rifiutandosi di consegnare i criminali di guerra italiani. Cossa che comportò chiaramente la scarsa volontà di aprire un conflitto sul tema del trattamento degli italiani. Insomma un noi non ci occupiamo dei civili uccisi dagli jugoslavi e voi non vi occupate dei deportati ed uccisi da parte degli italiani
3) Per motivi geopolitici i paesi occidentali decisero di “coccolare” Tito in funzione antisovietica. Scelta probabilmente complessivamente giusta, ma che fece forse chiudere qualche occhio di troppo su Tito
Piansano