Eccomi qui un’altra volta e qui si chiuderà il ciclo per bambini.
Continuerò a rispondere alle loro domande, devono stare ancora in casa per questa pandemia che sembra non avere mai fine.
Stavolta parlerò di un’altra pandemia, arrivata in Italia negli anni quaranta “la Guerra”.
Naturalmente bambini, questa è la cosa che vi interessa di più e che mi chiedevate sempre con insistenza.
“Dai raccontaci della Guerra”:
Questa è sempre stata la domanda più frequente che mi facevate voi delle elementari e io ho sempre liquidato questa richiesta con poche parole. Vi chiedo scusa, ma come si fa a parlare di guerra ai bambini?
Ora che siete un po’ cresciuti ci proverò, raccontandovi le cose che tutti quelli della mia età di Castelnovo ricorderanno, lasciando dentro una scatola ben chiusa le mie personali.
Vi dirò che da noi è arrivata tardi, se ne parlava da tempo, ma qui ancora non c’era ha cominciato a farsi sentire nel 1943, praticamente avrebbe dovuto finire un anno dopo, invece si è portata dietro il dopoguerra con odio e violenze feroci scatenandosi fra gli stessi Italiani e che ha portato tanti lutti e dolore nelle famiglie, il più delle volte era odio personale e vendetta personale.
Dovete sapere che c’è sempre chi la fa la guerra e quelli che la subiscono.
Non so quando i Tedeschi sono arrivati a Castelnovo, io sapevo soltanto che si trovavano nella caserma dove c’erano anche i carabinieri. Sapevo anche che esistevano i partigiani e li avevo anche incontrati in un brutto giorno della mia vita sono stata anche in un loro rifugio, poi ogni tanto ne incontravi qualcuno nel bosco coi capelli lunghi, la barba incolta, un fazzoletto rosso legato attorno al collo e le doppie cartuccere sulle spalle, ma erano attimi apparivano e sparivano velocemente.
Mio fratello Nilo in quel periodo faceva il chierichetto ed era l’unico che accompagnava don Ugoletti durante i funerali. Un giorno durante un funerale sotto Monte Castello, il Crocifisso che lui portava si era impigliato nei rami di un pino e si era sfilato dall’asta ed era rimasto lassù, lui non se n’era accorto e apriva la processione tenendo alto un bastone vuoto. Due tedeschi lo inseguivano col Cristo che avevano recuperato e ridendo glielo rimisero nel suo posto. Da allora lo chiamavano Nixio, lui poi era biondissimo quasi albino “buon rappresentante della razza Ariana”.
Ogni tanto sapevamo di combattimenti fra partigiani e tedeschi, ma non vicino al paese per lo più erano nei paesi di alta montagna.
Quando a Castelnovo un tedesco moriva in qualche agguato allora venivano a prendere la cassa da mio padre arrivavano marciando in una decina entravano nella falegnameria coi fucili spianati sceglievano e se la portavano via, qualcuno poi gliela pagava, ma non so chi. Il giorno dopo li vedevamo per la salita del cimitero che marciavano dietro al feretro, mentre l’Arciprete li aspettava seminascosto dietro al muro di cinta e mio fratello vicino a lui con l’aspersorio in mano. Un giorno ne portarono tre e furono sepolti in una fossa unica, forse provenivano dalla stessa regione.
Poi una brutta mattina, molto presto, mi svegliò un gran frastuono, stavano bombardando Bagnolo, io ero in braccio a mio padre che stava scendendo le scale, ma lo spostamento d’aria ci sbatteva di qua e di là:
“Prest ragasèt tȇocc in t’al fòss ed la Bitaglia”
Il fosso era un ruscello sotto una riva nascosto in mezzo alle razze, ma ci infilammo tutti lì sotto, il papà mi teneva con un braccio e con l’altro proteggeva la mamma che urlava.
“Dai tira zò tȇutt spiana stè paés ed m…”
Scusate mi ero proposta di non parlare di noi, ma non era neanche un mese che per cause di guerra le era morta una figlia di soli 17 anni, e del più vecchio dei miei fratelli di solo 20 anni non si sapeva più niente, dopo che era partito per cercare la sorella, perciò la mamma era disperata non le importava niente del bombardamento.
Dopo che tutto fu finito, cominciarono ad arrivare i feriti, allora il buon senso riprese posto nella testa di mia madre e cominciò ad accudire queste persone che arrivavano piene di polvere, di sangue, di mosche che ronzavano attorno. Per prima cosa diede un vestito di mia sorella “e questo le fece molto onore” alla Lina che era scappata dalla Montadella prima che le bombe distruggessero la casa dove trovarono la morte un nonno e due nipotine, lei era in sottoveste piangeva a dirotto, tremava dal freddo e dalla paura e a suo fratello sanguinava abbondantemente un piede.
Poi cominciò a tirar fuori mettendoli sotto al pergolato i materassi di crine che erano del suo letto per far sdraiare chi stava male, cominciò a strappare un lenzuolo per farne fasce, aiutata da un infermiere “Bertino”, che anche lui quella mattina si era rifugiato da noi con la famiglia, accudirono queste persone facendo loro bere acqua zuccherata fin che nel pomeriggio arrivò un’ambulanza della “Croce Rossa” da Reggio, quest’infermiere a forza di correre su e giù dal paese era riuscito a contattarla, il nostro ospedale era stato bombardato e laggiù non funzionava più niente.
Ma come si fa a raccontare certe cose a dei bambini, ricordo benissimo il rumore degli apparecchi in picchiata, il fragore delle bombe, le urla che arrivavano da laggiù, i feriti, il pallore dei loro volti, gli occhi stralunati, il sangue, il ferro delle schegge conficcate nella carne, i lamenti ... ma chi se li scorda più? Avevo solo sei anni.
Ci fu anche un secondo bombardamento, ma quella volta colpirono il centro del paese e noi da qui vedevamo il polverone che si alzava dietro Monte Bagnolo e sentivamo le grida e i richiami della gente che si rifugiava su Monte Castello, quella volta qui non arrivò nessuno.
Oggi voi piccoli conoscete solo la guerra virtuale e forse vi fa divertire come noi conoscevamo quella dei bottoni, ma dopo quella vera nessuno di noi ha più fatto quel gioco, avevamo capito che la guerra porta solo tanto dolore.
Tanta gente era scappata dalle grandi città e anche dal nostro paese e si era rifugiata nelle borgate e nei casolari di campagna, si chiamavano “gli sfollati”.
In casa nostra erano stati accolti “Bertino” e la sua famiglia, lui non poteva allontanarsi troppo dall’ospedale, il suo lavoro continuava a farlo anche se c’era la guerra. Come calava la sera aprivano due materassi che la mamma aveva lasciato a loro disposizione e li stendevano sul pavimento della cucina e lì passavano la notte, Erano in cinque il papà, la mamma due bambine, Vanna di cinque e Mirella di sette anni più la vecchia nonna la cara signora Livia. Ricordo che Mirella aveva due zoccoletti rossi e quando si sdraiava per dormire, li teneva stretti in mano per essere pronta per scappare e ogni tanto la notte sentivamo che suo papà si lamentava perchè aveva preso una zoccolata sul naso.
Poi il mattino molto presto, quando mia madre andava a mungere la capra, loro toglievano le tende si lavavano nel fosso e passavano la giornata sotto il pergolato e per fortuna era estate.
Intanto la mamma allungava quei due litri di latte con altrettanto caffè d’orzo fatto in un “burghino” di rame, così riusciva a darne una tazza per uno: eravamo in dieci.
Poi la vecchia nonna e la figlia tutto il giorno cercavano radicchi e riccioni nei campi così la sera c’era verdura cotta e frittata anche questa molto allungata con latte e pane grattugiato, e certi pomeriggi Bertino ci accompagnava fin sotto la Pietra dove abitava l’Adelaide, una donna cieca che ci lasciava fare scorpacciate di more di gelso col pane che ci eravamo portati.
Questo durò due o forse tre mesi poi gli sfollati tornarono a casa, ma l’amicizia fra me e le due bimbe dura ancora dopo circa ottant’anni.
Ricordo il combattimento della Sparavalle dove perse la vita il partigiano Enzo Bagnoli: aveva solo diciotto anni e credeva veramente nella Liberazione, con lui caddero altri due della pianura. Più tardi quelli che si erano salvati raccontavano ridendo che durante la ritirata uno scappava coi pantaloni in fondo alle gambe, perché prima che arrivasse l’ordine gli era venuto un attacco di caghetto. Come vedete i ragazzi erano ragazzi anche allora, preferivano parlare di cose buffe che di cose dolorose e i partigiani non erano tutti eroi, c’era anche qualcuno che se la faceva sotto, come del resto anche i tedeschi non erano tutti cattivi c’erano anche quelli che raccoglievano un Cristo e sorridevano al chierichetto.
Noi quel giorno, da casa nostra vedevamo il fumo, il bagliore e sentivamo il rumore degli spari e la mamma pregava ad alta voce per tutti quei poveri ragazzi, partigiani e tedeschi assieme, li raccomandava tutti alla Madonna della Pietra, perché si salvassero. Lei ci aveva insegnato che nelle case che avevano lasciato anche loro avevano una mamma che li aspettava piangendo e forse in quel momento anche lei stava pregando.
Durante quel periodo è stato come se il tempo si fosse fermato, non esisteva più nessun progetto per il domani, aspettavi solo che finisse, come adesso il “covid”, ma non sapevi quando nè come sarebbe finita. Poi finalmente arrivò la “Liberazione” e io vi auguro di cuore che non succeda mai più ciò che ho visto e sentito io in quel periodo.
Poi ci sarà sempre qualcuno che ve la racconterà in un altro modo, ognuno di noi le cose le vede diversamente. Avrei tantissimi aneddoti da raccontare, ma allora non sarebbe più un semplice racconto, la cosa è già diventata troppo lunga.
Elda Zannini
Commovente e impressionante il suo racconto di vita vissuta.
Dovrebbe suggerire qualche riflessione in tutti noi, che adesso viviamo in pace e non ne comprendiamo il valore.
Ivano Pioppi