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Don Paul Poku ritiene che la liturgia della seconda domenica dopo Natale può essere vista come un riassunto dell’intero Vangelo di Giovanni.

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don Paul Poku

La liturgia della parola della seconda domenica dopo Natale è ancora focalizzata attorno al prologo di Giovanni, brano particolarmente adatto a spiegarci il senso profondo della festività appena celebrata. Non è immediato fornire un commento di questo passo che sia al tempo stesso esaustivo e chiaro, perché è molto denso di significato: ogni parola del testo ha un suo scopo preciso e tutte insieme compongono una sorta di riassunto teologico dell’intero Vangelo di Giovanni.
Prima di passare al commento del brano del vangelo, è bene soffermarsi sulla prima lettura, tratta dal libro del Siracide. In essa la Sapienza di Dio compone un proprio elogio e descrive come essa, esistente fin dal principio, abbia ricevuto l’incarico da Dio di abitare presso Israele («Allora il creatore dell'universo mi diede un ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: "Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele, affonda le tue radici tra i miei eletti"»).
Questa Sapienza di Dio, che nel Siracide era un concetto astratto benché personificato, nel prologo di Giovanni viene sostituita dal più profondo concetto di Verbo, che non è una creatura di Dio ma è Dio stesso («In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio»). Per spiegare il ruolo del Verbo nella vita dell’uomo, Giovanni usa l’immagine positiva di luce, la vera conoscenza di Dio che viene a rischiarare gli uomini che a essa devono la loro origine («Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo»). Un’altra immagine centrale è quella negativa di mondo, intesa non nel senso cosmologico del termine, quanto piuttosto l’insieme degli uomini, delle loro scelte e dei loro atteggiamenti, che pur essendo stati creati dalla luce l’hanno rifiutata («Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto»). Come nella prima lettura, anche nel Vangelo è richiamato la relazione tra il Verbo e l’umanità: dapprima è nominato Giovanni come simbolo di tutti i profeti scelti da Dio per annunciare la sua parola («Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui»); in seguito il Verbo in prima persona si fa prossimo, ponendo la sua tenda nel popolo («E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi»).
Ma come possiamo riconoscere il Verbo nella nostra vita? Ce lo insegna Paolo nella seconda lettura, con una preghiera per i fratelli di Efeso in cui chiede «uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui». Come ricorda Giovanni nel Vangelo, «Dio, nessuno lo ha mai visto»; ma se saremo degni di ricevere lo Spirito, capace di rivelarcelo, potremo essere la sapienza di Dio sulla terra ed essere luce del mondo per diffondere, come Giovanni, la nostra testimonianza del Verbo. Buon anno!

2 COMMENTS

  1. Nelle fonti bibliche c’è un aspetto che mi ha sempre “affascinato”, ed è quello del tempo trascorso da quando il Verbo si rivelò ad Abramo, per dirgli di lasciare la propria terra e mettersi in cammino, e anche dagli anni delle profezie messianiche dei Profeti biblici, fino al momento in cui “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”.

    Se Abramo visse intorno al 2.000-1.800 a.C., come si legge, significa che un popolo è rimasto fedele al Verbo per circa venti secoli, pur con qualche transitorio “affievolimento”, un tempo veramente biblico rispetto ai giorni nostri dove spesso si vorrebbe tutto e subito, né riusciamo semmai a trasmettere un valore dall’una all’altra generazione.

    P.B. 03.01.2021

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