Caro Babbo,
sono un bambino di montagna e mi chiamo Ligonchio, ho il naso per aria che guarda nel cielo infinito e vede volare le aquile.
Felice di essere baciato dal sole splendente e semplicemente bello come solo un bambino sa essere, ma quando abbasso lo sguardo vedo un manto gelido che copre le mie spalle, sento un silenzio solitario e sogno il vestito leggero e profumato della primavera, che mi riporterà il suono della voce degli amici selvaggi e umani.
Con le giornate corte e fredde sento il mio corpo lacerato dagli spuntoni degli alberi rotti dal gelo, sento le mie vene d’acqua intasate da un male lento e inesorabile, che gli adulti chiamano “incuria”.
Il mio sangue chiaro e limpido disseta, ma si infuria e ribolle portando distruzione alle mie membra tenere che cadono a valle.
Sento i miei arti che si diramano con fatica dai miei fianchi che vacillano e si spezzano indeboliti, senza più il sostegno di quelle mani antiche e povere che costruivano muretti fatti di sassi e tanta pazienza.
Caro Babbo, alla mia letterina ho affidato semplici desideri, vorrei svegliarmi e trovare montanari assunti a tempo pieno per curare le mie vene d’acqua soffocate e disperse.
Vorrei sentire mani di montagna che curano le mie membra crollate, spezzate e impoverite.
Vorrei sentire Gente della mia Gente che tiri a lucido le mie bellezze perché possano brillare in ogni stagione, come gli occhi dei bimbi felici.
Caro Babbo, ti scrivo come tutti coloro che ancora sperano, se al risveglio non sarà stata letta, potrò pensare soltanto che sono rimasto orfano e abbandonato o già vecchio e lasciato alla morte.