Sta arrivando il Natale, quest’anno sarà un Natale diverso per i grandi, col coprifuoco come quando eravamo in guerra e mascherati come se fosse carnevale, ma per i bambini no, per favore, per quelli no, per loro deve essere la festa un po’ magica che attendono con ansia, con le luci, l’albero, il presepe e i regali. Sissignore i regali loro li aspettano e li devono avere e mentre preparerete con loro il presepe, ricordatevi di raccontare loro la storia della nascita di Gesù Bambino, non se la scorderanno più.
Loro sono i miei amichetti che ho conosciuto nelle scuole materne e alle elementari della Pieve o al Mater Dei. Ora saranno un po’ cresciutelli, ma credo che saranno sempre gli stessi, intelligenti, vispi e curiosi:
“Come giocavate voi quando eri piccola?”
Questa era una delle loro domande e ora risponderò senza la fretta di allora, mi era concessa solo un’ora e le vostre richieste erano tante. Perciò ho deciso di rispondere con calma ai vostri interrogativi e un po’ alla volta vi racconterò come si viveva ai miei tempi.
Che giochi facevamo?
A nascondino o alla settimana o “campana” se lo preferite disegnata per terra nell’aia con la punta di un bastone, o facevamo gli equilibristi sul timone del biroccio appoggiato in terra, oppure a “bacàn”, questo era un gioco fatto coi sassi, che si sceglievano nelle pietraie sotto la Pietra, ora queste non si vedono più, sono state coperte dalla folta vegetazione, ma sotto di questa esistono ancora, erano i sassi che annualmente si staccavano dalla roccia e cadendo si frantumavano formando la pietraia.
Si cercavano sassi a forma triangolare alti circa 20 cm si mettevano dritti tutti in fila i due più alti erano il re e la regina, stavano nel mezzo poi quattro da una parte e quattro dall’altra e questi erano i cavalieri, poi i giocatori si procuravano una pietra da lanciare e a una distanza di circa otto passi dovevi mirare e abbatterli uno alla volta, se sbagliavi il tiro, toccava all’altro. Come vedete non erano altro che birilli a “buon mercato”, era un gioco più da maschi, le bimbe invece sedute in terra a gambe incrociate giocavano a “sasèt” erano otto sassolini che si raccoglievano uno alla volta facendoli girare in alto, usando solo due dita una cosa complicata che io non ho mai capito bene forse ero troppo piccola.
Poi ci divertivamo a scalare Sasso Lungo scalzi per aderire bene alla roccia; i più coraggiosi arrivavano in cima mentre i più fifoni dopo qualche metro si ritiravano. Tutto questo quando portavamo al pascolo la capra o quelle quattro pecore e ci trovavamo con gli altri bambini della Pietra nell’ “Ara della Binella”, una radura verdeggiante nei pressi di Sasso Lungo.
“Ara della Binella” i nostri vecchi ci avevano raccontato che in quella conca nei tempi antichi, quando c’era la luna piena usciva una strega per ballare e poi ne arrivavano delle altre.
Ora ripensandoci, “Ara” significa altare, e Binella sarà stata una sacerdotessa? Naturalmente tutte supposizioni mie, ma quella delle streghe ancora ai miei tempi chi lo raccontava ci credeva. Poi queste streghe hanno cambiato nome ora si chiamano cartomanti o erboriste o guaritrici. Dovete sapere che le streghe erano soltanto donne intelligenti che avevano studiato e sperimentato il potere medicamentoso di certe erbe, ma essendo donne venivano calunniate di stregoneria dai “benpensanti” spesso finivano al rogo. Io personalmente 50 anni fa ho conosciuto una brava signora di Carnola che nel giro di un’ora mi ha fatto guarire da una brutta storta. Sono stata molto attenta a quel che faceva e ho capito che mentre recitava sottovoce giaculatorie incomprensibili, faceva massaggi al mio piede dentro a una tinozza di acqua molto fredda, ho capito che cercava di rimettere a posto i legamenti che si erano storti ed è stato così, ce ne fossero ancora di queste persone.
Verso Natale, col freddo si stava di più in casa, allora la mamma ci lasciava giocare con le statuine del presepe, non potevamo toccare la “Sacra Famiglia”, ma le altre sì, ma con grandi raccomandazioni, perché erano di gesso e se cadevano si rompevano. In ogni modo questo per noi era una grande gioia.
Altrimenti facevamo la guerra coi bottoni, usavamo quelli vecchi che la mamma conservava in una scatola di latta. Li mettevamo tutti schierati come soldatini sul tavolo, ricordo che quelli bianchi erano i marinai. Anche qui esistevano delle regole da rispettare si dividevano in due parti contandoli, poi stando seduti uno di fronte all’altro, si mettevano ben schierati ogni pattuglia era dello stesso colore oppure della stessa grandezza. Le fibbie di bachelite erano i cannoni quelle di acciaio bianche o dorate erano i carri armati, nel mezzo del tavolo stava il bottone più grande o più colorato che bisognava conquistare. Si muoveva una fila per volta e l’avversario cercava di colpire con una bomba (erano i bottoni piccoli, lucidi e un po’ tondi che si usavano nelle tonache dei preti) solo che il colpo ne spostasse uno, veniva eliminato e messo nel cimitero dei soldati in un angolo del tavolo. Qui poi scoppiavano le liti:
“Si è mosso – No non si è mosso”
Fin che la mamma non arrivava con la scatola vuota in mano allora ci mettevamo subito d’accordo.
Oppure ritagliavamo sul cartone dei soldatini vi disegnavamo il vestito coi bottoni gialli e il fucile tracolla poi ci sedevamo per terra davanti alla cassetta della legna che stava in un angolo vicino alla stufa e su quella legna riuscivamo a far stare in piedi le nostre figurine mettendole cavalcioni sui ramoscelli che si usavano per accendere la stufa.
Non avevamo giocattoli, ma tanta fantasia e io ho amato tanto una bambola di pezza che aveva la faccia nera e gli occhi ricamati col filo bianco che mi aveva confezionato mia madre.
Poi più tardi ho avuto anche una bambola vera, me l’aveva portata mio fratello Valdo una volta che era venuto in licenza, lui si era arruolato in aeronautica e prima che scoppiasse la guerra faceva servizio all’aeroporto di Ciampino. Questa bambola però aveva la testa forse di gesso e un giorno che io ero stesa su due sedie con la solita febbre da tonsillite, mio fratello Nilo, mio compagno di giochi la fece cadere e la testa andò in frantumi, così io riabbracciai quella di pezza, che mi guardava con quegli occhioni spalancati un po’ stupita, quella almeno non si rompeva mai.
Il nostro gioco preferito però era quando potevamo andare nella falegnameria di nostro padre, cioè quando aveva spento tutti i macchinari pericolosi per noi, lì c’erano anche i due fratelli grandi che imparavano il mestiere. Valdo intagliava sui lati delle casse bellissime Madonne o Cristi e Nello che è stato il nostro mentore, lui ci ha anche insegnato a leggere e a scrivere, allora ci allungava una cassettina piena di chiodi storti e arrugginiti e ci insegnava come prenderli e come raddrizzarli dando piccoli colpi con un martellino.
A parte qualche schiacciata alle dita noi ci divertivamo e ci sentivamo utili e grandi come loro.
Buon Natale a tutti!
Elda Zannini
Signora Elda ci mancano tanto i suoi racconti ma meno male che questo Natale ci ha fatto il regalo. Molto bello. Auguro a Lei e famiglia un sereno e felice Natale ed anche un Buon Anno.
Paola Bizzarri
Grazie per la sua preziosa testimonianza , speriamo che questo Natale particolare ci porti a riscoprire i veri e semplici valori di un tempo.
Auguri a lei e tutta la sua famiglia e grazie perché i suoi racconti ci tengono compagnia in questi momenti difficili.
Luca Lusetti
Grazie Signora Elda per le belle atmosfere che ci ha restituito. A lei ed a tutti i suoi familiari l’augurio di un sereno Natale.
Elettra
Grazie e ancora buon Natale a tutti.
Buon Natale,signora Elda !Auguri a lei, che ci tiene tanta compagnia con i suoi piacevolissimi racconti,ed ai suoi cari.