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Il racconto, “La voce e l’onore del lampadario ferito”

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La voce e l'onore del lampadario ferito

 

Il cielo s'incupisce, i vetri tremano, crepe profonde si aprono all'improvviso sulla facciata della mia chiesa, deturpandola come taglio di coltello su carni vive. La campana in vetta al campanile, sbatacchiata dalla forza ribelle e violenta della natura, chiama sorda e disperata la sua gente. 21 Giugno 2013 il terremoto ha colpito il mio paese: Ligonchio.

Il tempo passa, i danni restano. Tra ansie e lavori tardivi la mano del restauro mi disarciona, lasciando sola la mia catena attaccata al soffitto ed il mio spirito in preda allo sconforto. Finisco in una scatola di cartone, smontato, malconcio, avvilito, tra vecchi oggetti polverosi e dimenticati, lasciando presagire per me un futuro incerto e deludente. Poi un giorno di primavera dell’anno 2017 il mio angelo custode, attento e premuroso, si ricorda di me, del mio onore ferito e mi viene in soccorso.

Il mio cammino per arrivare fin qui è stato sereno, non meritavo un simile trattamento. Sono giunto in questo bel paesino dell'Appennino Tosco-Emiliano alla fine dell'Ottocento, portato in dote, con un altro lampadario gemello, da Don Giovanardi da Bergogno, giovane sacerdote appena insediato in parrocchia. Sono stato chiamato per fare quello per cui son nato: luce!

Le mie candele ardenti illuminarono la navata centrale povera di gloria, la fonte battesimale, le panche, il confessionale, le stazioni della Via Crucis. Per i paesani rappresentavo un simbolo, un punto d’incontro con i fedeli.

Tuttavia un giorno inaspettato, il parroco, seguendo il suo percorso di fede, dovette lasciare Ligonchio ed allora i miei paesani, con le loro offerte,  decisero di tenermi stretto nel loro cuore, lasciando partire Don Giovanardi con un solo lampadario. In cent’anni di storia algonchina ho sempre fatto il mio dovere fino a quel tremendo, infausto giorno del terremoto.

Poi l'oblio, il nulla, con la speranza di riaccendere al più presto le mie luci.

Oggi son rifiorito al posto dignitoso che mi spetta, riattaccato alla catena un tempo orfana, riconciliato alla vita della chiesa di Ligonchio nel rispetto e nella riconoscenza della gente di allora, per la gioia e l'orgoglio di quella presente. Sono tornato al posto che mi compete, con un po’ di nostalgia per il mio fratello gemello, le cui luci risplendono nella chiesa di Pianzo di Casina. Adornato da bracci luccicanti a sostegno delle mie luci splendenti e decorato da foglie di vetro soffiato da bocca sapiente, mi ergo fedele tra i fedeli. Maneggiami con cura Ligonchio, abbi la cautela degli specchi, perché la mia stirpe è nobile, viene da molto lontano, dall'isola dei cristalli di Murano”.

 

 - Il lampadario 1887 -

 

Alberto Bottazzi 

 

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