Le mascherine sui volti dei paladini, intenti a provare una scena, ci raccontano della quotidianità di questi mesi incerti. Eppure, ascoltando le voci dei due rappresentanti dell'associazione del Maggio costabonese, testa e cuore cominciano a veleggiare verso altre dimensioni. Il Maggio è un canto che nasce dalla terra e che racchiude in sé la storia di una comunità, una performance di arte teatrale che affonda le radici nella cultura contadina e che continua a raccontare l'essere umano. Infatti, si tratta di una forma d'arte che attinge alle quartine di Ludovico Ariosto e si nutre della tragedia greca - e che racconta ciò di essenziale che dell'umanità non resta impigliato nelle mutazioni della storia. Il Maggio, quindi, si dipana tra memoria e senso del tempo, perché parla all'essere umano, fondandosi sul pathos come accadeva per i tragici greci. Senza contare la passione di chi lo mette in scena: "Lo rappresentiamo", ci dicono,"perché ci piace farlo".
Il Maggio di Costabona non è un relitto di una società contadina ormai scomparsa, anzi: tale forma artistica continua a trasmettere valori e a coinvolgere tutto il paese, confermandosi una festa della comunità.
Le espressioni culturali più radicate nelle comunità umane sono preziose espressioni della creatività e della resilienza della nostra specie. Proprio pensando ad esse, l'Unesco ha adottato, nel 2003, la Convenzione per la Salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, ratificata dall’Italia nel 2007.
Prima di lasciarvi ai maggiarini costabonesi, vi offriamo due spunti. Il primo: coloro i quali vivono in pianura, sentono che la loro casa è l'Appennino - perché le relazioni vere sono qui - e si definiscono esuli. Il secondo, che preferiamo ascoltiate dalle loro stesse parole, riguarda il modo di guardare alla meravigliosa fragilità degli umani e della natura - un modo empatico, sporco di terra, intriso delle storie che l'essere umano inventa per comprendersi.
Ecco il link della video intervista: