“Questo è il fiore del partigiano,
o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao,
questo è il fiore del partigiano
morto per la libertà”.
L’ultima strofa della celeberrima canzone, popolarissima fino ad essere cantata il 25 aprile scorso da milioni di persone a squarciagola dai balconi d’Italia imbanditi a Tricolore, contiene lo straordinario desiderio partigiano: la libertà.
Libertà come condizione essenziale per uscire dalla fame e dalla miseria, conseguenze del nazifascismo, contro il quale, come storicamente noto, la lotta viene organizzata con ogni mezzo, combattuta armi in pugno dai partigiani e da tutti coloro che, perlopiù inermi, li sostengono finanche a pagarne il prezzo della vita.
Giovani nemmeno maggiorenni, che combattono per una liberazione che porterà il Paese a un nuovo ordinamento democratico rivestito per volontà della sua gente della forma repubblicana. Una Repubblica plasmata e radicata in una Costituzione esempio di civiltà e modernità, autentico Risorgimento di un Popolo alla ricerca di una Nazione pacifista ed europeista. Libertà e dignità, rime e sostantivi che hanno guidato i Padri costituenti nel concepimento della Carta ponendo al primo articolo l’importanza fondamentale del lavoro; vale la pena di ricordarlo il giorno del Primo maggio, soprattutto quest’anno in cui la grave pandemia del coronavirus impone riflessioni molto serie.
Il sindaco di Carpineti, Tiziano Borghi, nel suo discorso celebrativo il 25 aprile scorso dinanzi al monumento ai caduti di tutte le guerre, ha fatto proprio l’esempio civico testimoniato dagli ultimi quattro partigiani del Paese matildico ritratti in fotografia nella ricorrenza della Liberazione di qualche anno prima ed ora, purtroppo, scomparsi.
Il primo da sinistra è Ennio Pistoni, nome di battaglia “Taro”, classe 1922. Sposatosi nel 1943, dopo la Liberazione si trasferì a Genova dove esercitò il mestiere di camionista e gruista. Con il pensionamento dal lavoro fece ritorno a Carpineti, suo paese d’origine.
Al suo fianco c’è il fratello, Serino Pistoni, “Veloce” il suo nome di battaglia. Classe 1925 e coniugatosi nel 1956, non ha mai abbandonato le proprie terre sulle quali ha esercitato l’attività di muratore.
Giovanni Lugli (terzo da sinistra seduto). Classe 1926. Una vita da muratore. Combattente nella 26esima Brigata Garibandi, Battaglione “San Cassiano”, distaccamento “Benassi”, Brigata “Bigi”. La sua testimonianza partigiana è – tra le altre - raccolta nel volume “Ragazze e ragazzi del 1945” ad opera dell’autore Alessandro Carri (2002 - DS Edizioni).
Le zone presidiate dalla formazione partigiana modenese - nella quale si arruolò insieme a molti carpinetani abitanti nelle frazioni che dànno sul versante del Secchia - erano principalmente quelle di Montefiorino, Rubiano, Saltino, Santa Giulia, Dignatica e, nel reggiano, Cerredolo dove il 16 marzo 1945 sul campo di battaglia cadde, tra gli altri, Pietro Benassi ed il fratello maggiore, Umberto, catturato dai nazifascisti, venne rinchiuso ai “Servi”. Racconta lucidamente la sorella novantenne Clementina (che Giovanni sposò nel giugno del ’52): “Dal carcere cittadino, tristemente noto per le violenze barbaramente compiute su partigiani e antifascisti, Umberto, alto e moro, uscì quasi irriconoscibile e con tutti i capelli bianchi; dimostrava trent’anni in più...”.
Tra i ricordi di Giovanni vi è la figura di Don Nino, parroco di Massa di Toano, bravissimo nell’uso del mortaio. "Il 25 aprile del ’45 – racconta – si sperava fosse veramente finita. “Basta guerre” era la nuova “parola d’ordine” che in piazza a Modena, così come in tutta Italia, veniva pronunciata insieme da tutti i partigiani, “garibaldini” o “Fiamme verdi” che essi fossero. Le armi vennero buttate su un vecchio camion militare: avevano sparato abbastanza. Insieme ai fucili venivano gettati via odi e rancori della guerra civile, purtroppo duri a morire".
Bruno Valcavi (quarto da sinistra nella foto). Nasce il 9 dicembre 1925 a Riana, una piccola frazione di Carpineti. E’ il primo di otto fratelli. 14enne, rimane orfano di padre e deve provvedere alla numerosa famiglia.
Il 14 febbraio 1944, di fatto 19enne, Bruno Valcavi entra nelle file partigiane con un’azione che lo porterà ad impossessarsi delle prime armi da guerra. Si arruola con il nome di battaglia “Kira” nella 26esima Brigata Garibaldi, 3° battaglione, Distaccamento “Pasquino Pigoni”. Partecipa a diverse azioni resistenziali a Carpineti, Villa Minozzo, Sologno, Cerrè Marabino, Felina, Pantano e Marola. Il 25 aprile ’45 dismette gli abiti di partigiano ma non quelli di “resistente”: dagli anni ’50 fino al 2015 ha infatti presieduto l’Associazione locale dell’ANPI. Gli ideali della Resistenza, spiegava ai giovani, sono per tutta la vita.
Il suo impegno per la politica attiva entra vigorosamente nel vivo nel 1948 quando viene eletto segretario comunale del Partito comunista. Successivamente, dal 1959 al 1967, è dirigente sindacale nei comuni di Baiso, Casina, Carpineti, Castelnovo né Monti, Busana, Collagna, Ligonchio. I diritti e una politica economica per il lavoro in una montagna che rischia lo spopolamento sono i due pilastri su cui poggerà sempre l’impegno di Bruno Valcavi.
Con l’elezione a sindaco di Carpineti avvenuta nell’aprile 1967, infatti, Bruno conduce il suo Paese verso una nuova stagione di crescita che lo porterà ad essere per anni il motore di sviluppo della montagna reggiana. Un cambiamento di grandissimo rilievo, il cui merito del sindaco viene tributato dalla gente carpinetana in diverse occasioni; tra esse merita una particolare sottolineatura la popolarissima Festa dei contadini di Velluciana del novembre 1986, durante la quale a Bruno Valcavi viene conferito l’Attestato di profonda stima e gratitudine quale miglior sindaco che Carpineti abbia mai avuto.
Il 7 gennaio 2018, nella solennità della festa nazionale del Tricolore, il Consiglio comunale di Carpineti ha all’unanimità deciso di intitolargli la prestigiosa Sala del Consiglio comunale quale luogo della massima espressione democratica che simbolicamente rappresenta tutta la cittadinanza locale.