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Come l’Appennino può ripartire

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Nella drammaticità di questi giorni si profila all'orizzonte un'opportunità per l'Appennino Reggiano.

Molti reggiani hanno già deciso di non lasciare la provincia questa estate, preferendo soggiorni più vicini a casa e qualcuno guarda con interesse alla vicina montagna.

Emerge così la possibilità di instaurare con questi turisti locali un rapporto duraturo, in grado di fare ripartire i nostri comuni e ridare aria alle case nei borghi.
Certo non sarà una situazione normale e proprio per questo sarebbe necessario preparare le condizioni affinché questo tipo di turismo sia sostenibile.

Non si tratta infatti di incentivare un esodo di massa pericoloso per tutti.

La priorità è quella di garantire la sicurezza sia degli abitanti dell'Appennino che dei villeggianti, applicando le norme di salute pubblica che stiamo mettendo in pratica in questi giorni.

Già nelle prossime settimane saranno in molti quelli che si trasferiranno in collina e il farci trovare impreparati sarebbe disastroso.

Proprio con questo obbiettivo è necessario iniziare a ragionare e ad elaborare ora un piano ben strutturato, efficiente e completo.

Quale tipo di turismo riusciremo a gestire in sicurezza? Quanti villeggianti potremo “permetterci”?

Domande alle quali non si possono formulare risposte improvvisate e incomplete.

Non ci sono solo i tavoli di lavoro, le dichiarazione di intenti, la solidarietà espressa agli operatori del settore.

E' il momento delle scelte, del coraggio, delle idee e dell'azione.

Ci sono politiche da mettere in atto e da costruire assieme alle proloco, alle organizzazioni di cittadini, ai commercianti e agli operatori turistici. Magari anche prendendo suggerimenti da chi si sta già occupando di tali questioni.

Dalla ricerca di nuove aree da pedonalizzare, per permettere ai bar di installare tavoli all'aperto e a distanza, alla pulizia dei sentieri affinché ci sia più scelta per chi cammina (evitando così gli affollamenti).

In questi contesti si possono utilizzare metodi già sperimentati in altri Paesi. In Nuova Zelanda, per esempio, i sentieri più battuti vengono gestiti attraverso un sistema di prenotazione telematica (mi pare chiaro che non possiamo permetterci la salita verso la pietra di Bismantova con centinaia di persone). Oppure mettendo sensi unici nei percorsi circolari.

L' offerta di servizi multimediali, in collaborazione tra comuni montani e agenzie immobiliari, potrebbe fornire utili informazioni e facilitare la messa in contatto tra chi cerca una casa e chi può metterne una in affitto (tra l'altro attraverso il telelavoro il soggiorno potrebbe essere allungato).

E' necessario coinvolgere i ristoratori che già si stanno prodigando nella distribuzione a domicilio, così come i negozi di generi alimentari. Pensare a come organizzare spettacoli in modalità drive-in (in cui si può accedere solo in automobile). Capire come e dove installare igienizzanti in aree pubbliche e soprattutto coordinare il monitoraggio della situazione sanitaria. Pronti a fare scattare allarmi e limiti in caso di risalita dei contagi.

Si tratta naturalmente di poche idee da implementare, alcune anche scomode ma la situazione che stiamo vivendo non è certo di normalità. Sono certo che ci siano molti spunti già ideati da chi si occupa di turismo. Il lavoro da fare è urgente e imponente.

E' ormai chiaro che non assisteremo alle sagre affollate, ai concerti serali spalla a spalla con altre persone, alle piazze piene la domenica mattina.

Sarà un turismo nuovo, silenzioso e controllato (almeno nel 2020) e adesso è il momento di occuparsene, della pianificazione, del confronto e infine della sintesi.

Ci aspetta un futuro diverso, un paradigma da reinventare e dobbiamo essere all'altezza della sfida.

9 COMMENTS

  1. Questa di Manfredini è una riflessione interessante e credo che meriti di essere approfondita.

    Partiamo dalla fine: il futuro che ci aspetta è quello che saremo disposti a darci.

    Cosa intendo dire?

    Che ci troviamo di fronte ad una pandemia dai contorni incerti ma che, con ogni verosimiglianza, non durerà in eterno; se non si esaurirà da sola bisognerà attendere il vaccino, ma parliamo comunque di un periodo di non oltre un anno.

    Ciò significa che “il turismo nuovo” dovrebbe avere quell’orizzonte temporale, a meno di non voler trasformare l’emergenziale in normale, cosa che avviene molto spesso, in Italia.

    Ora, in base a quanto detto sopra, io credo che per prima cosa dovremmo decidere quale orizzonte temporale vogliamo darci perché certe scelte, nel bene o nel male, potrebbero non essere reversibili.

    Detto in maniera ancora più chiara: certe scelte potrebbero diventare standard e certi comportamenti trasformarsi in abitudine.

    Chi ci dice che il distanziamento sociale e certe modalità di fruizione dei luoghi e degli eventi non potrebbero essere apprezzate al di là dell’emergenzialità? Siamo in una terra incognita.

    Quindi, tutte le scelte che si faranno saranno tanto più durature quanto più saranno impattanti, in termini di costi e in termini di cambiamento dei costumi.

    Immaginiamo un ristoratore a cui si offre la possibilità di occupare molto più suolo pubblico, probabilmente si dispiacerà di dover tornare all’interno dei suoi “confini” ad emergenza finita (senza contare i conflitti con gli altri esercenti che lo sviluppo di zone pedonalizzate potrebbero creare).

    Altro caso: immaginiamo un ristoratore che si vede costretto ad alzare barriere di plexiglas e a sanificare costantemente le postazioni ad ogni cambio di cliente. Quanto dovrebbe investire e quanto dovrebbe “buttare” alla fine dell’emergenza? Quanto gli conviene in termini puramente economici?

    Una sola cosa ho davvero capito dopo aver ascoltato una sfilza di sedicenti esperti e altrettanto comitati tecnico scientifici: ciò che conta davvero è l’igiene personale, il rispetto delle distanziamento sociale e l’eventuale uso dei dispositivi di protezione individuale.

    Se si fossero sensibilizzati sin da subito i cittadini sul rispetto di queste norme forse non sarebbe stato necessario il terrorismo mediatico, prima, e la ventilata certezza che la clausura forzata ci avrebbe portato presto ad un ritorno alla normalità, poi.

    Il punto, quindi, non credo sia tanto “Quanti villeggianti potremo “permetterci”?”, ma “quali” villeggianti possiamo permetterci.

    Credo che l’unica cosa che davvero ci lascerà questa pandemia, è la consapevolezza che non dovrà esserci posto né per i fanatici malmostosi dell’#iorestoacasa, né per i menefreghisti irrispettosi della salute propria e altrui.

    L’Appennino, le zone rurali in genere hanno, oggi, un vantaggio competitivo innegabile: grandi spazi e ambiente abbastanza salubre.

    Tutto ciò che la pianura padana, tra gli ambienti più inquinati ed antropizzati del mondo, dove l’epidemia è dilagata, non ha.

    Per questo ho trovato scellerato chiudere in casa persone che potevano tranquillamente rispettare il distanziamento sociale, pur uscendo, equiparando tutti i territori ad un ambiente urbano in cui tale distanziamento diventa effettivamente ingestibile.

    Tant’è, così hanno deciso ed ormai è acqua (quasi) passata.

    Spazio ed aria buona resteranno, quindi, ma credere che basti questo per soddisfare la domanda turistica, oggi, è del tutto fuorviante.

    Tornando al punto: alcune suggestioni proposte da Manfredini sono pure condivisibili ma, a mio avviso, dovrebbero rispettare alcune condizioni:

    1) Essere di facile implementazione e non costose, dal momento che sia il privato che il pubblico viaggiano sull’orlo della bancarotta. Per i drive-in servono grandi parcheggi e maxischermi, servizi di ristorazione, igienici e quant’altro. Quanto costa tutto questo? Conviene farlo per una stagione e basta? E se non lo facessimo per una stagione e basta, potremmo volerlo come modello di turismo futuro? Sarebbe adatto alle nostre zone?

    2) Non prevedere azioni che potrebbero diventare irreversibili, a meno che non desideriamo davvero che diventino tali. Quanto costerebbe alzare barriere di plexiglas (ovvero di plastica) un po’ ovunque per limitare il contagio? Potremmo considerarlo nell’ottica di un turismo green e sostenibile?

    Per come la vedo io, quindi, bisognerebbe pensare al turismo del futuro (l’Appennino sarebbe già in ritardo di 40 anni su questo) e non al turismo della prossima stagione in emergenza.

    Come?

    Decidendo che tipo di sviluppo vogliamo avere e che tipo di turismo vogliamo soddisfare, ma non da qui a sei mesi, ma da qui a dieci anni.

    E questa decisione andrebbe presa in base a dati certi e a questionari fatti bene su cosa il turista si aspetta davvero e non in base ai “secondo me”, come è avvenuto negli ultimi decenni.

    Inutile pensare ad un ritorno della villeggiatura anni ’70, quella stagione è, ahimè, completamente sorpassata.

    L’obbiettivo non deve essere quello di tirare a campare e sfangarla per i prossimi sei mesi, ma quello di avere un’opportunità di sviluppo, per noi e per le generazioni future, nei prossimi anni.

    Un altro pensiero che covo da molti anni è che si dovrebbe pensare ad una offerta turistica “comunitaria”, dove per comunitaria intendo un sistema per cui tutti contribuiscono ad elevare l’offerta, anche estromettendo le “palle al piede”, detto in maniera brutale.

    Bisogna mettersi nell’ordine di idee che il turismo, oggi, è vissuto come esperienza complessa.

    Le “mele marce” non solo danneggiano sé stesse ma danneggiano anche gli altri e il territorio nel suo complesso.

    Ecco perché, dovrebbe esservi una “vigilanza attiva” e sana affinché tutti, ognuno per il servizio che offre, contribuiscano a fare crescere la qualità dell’offerta complessiva, ove per offerta non intendo il singolo ristorante od albergo, ma l’intero territorio.

    Da questa pandemia non usciremo come persone migliori, come tanti affermano, usciremo come persone più disilluse e diffidenti, temo. Allora tanto vale convogliare certe “attenzioni” ad un bene comune piuttosto che alla caccia all’untore, come spesso accade oggi.

    Roberto Sala

    • Firma - Roberto Sala
  2. Bravo Matteo! Le tue osservazioni sono molto opportune ed i tuoi suggerimenti
    ben si accordano con la gravità della situazione. D’altra parte abbiamo bisogno tutti di reinventarci un modello di vita, senza illuderci che il superamento di una fase sia di per sé significativo di una ritrovata salute generale; inoltre non possiamo pretendere che solo le pubbliche amministrazioni risolvano radicalmente un problema tanto complesso, in cui ognuno di noi ha le sue responsabilità.
    Grazie e…buon lavoro!
    MPaola, Alberto

    paola

    • Firma - paola
  3. Concordo con l’intervento di Manfredini e Auspico e in una linea guida con coesione da parte di tutti gli imprenditori Atta a creare situazioni sicure per l’accesso del turismo in arrivo ovviamente servono tante risorse e sicuramente la parte imprenditoriale della montagna e della collina sì presterà per la buona riuscita di quanto serve per la sicurezza il buon accoglimento

    [email protected]

  4. Avevo scritto un mio punto di vista, poi ci ho ripensato, riflettendo sulla parola “PITICAMENTE”. Ho cancellato tutto perché partiamo già con il piede sbagliato, qui si st parlando di turismo non con covid, ma turismo come concausa e approfittare di sistemare per i prossimi decenni avvenire al turismo locale….senza politica e burocrazia

    Daniele Canovi

    • Firma - Daniele Canovi
  5. Sono senz’altro apprezzabili tutti i contributi di idee e di proposte volte a far ripartire al meglio il nostro bell’Appennino dopo l’emergenza in corso, ma se stiamo all’esperienza di questi anni sembra che la programmazione o pianificazione via via concepita e praticata dalle varie Istituzioni non abbia prodotto alla fine grandi effetti o risultati (o quantomeno quelli che erano stati previsti, o soltanto auspicati).

    A fronte di ciò, anche in questa circostanza punterei innanzitutto sulla iniziativa ed imprenditorialità privata, ossia sulla sua autonoma e spontanea potenzialità, anziché volerla in qualche “instradare” o indirizzare, mentre l’importante ruolo che in questa fase può svolgere la mano pubblica può essere quello di sostenere concretamente l’iniziativa dei singoli operatori tramite supporti economici e fiscali.

    Se può valere come esempio di “spontaneismo”, in molti hanno sottolineato nel tempo l’importanza della nostra agricoltura, ma le loro parole sono rimaste di fatto sulla carta, salvo che questa emergenza ci ha fatto comprendere quale rilevanza abbia la produzione di alimenti, e il lavoro degli addetti, e può essere che tale consapevolezza si mantenga ancora a lungo, senza bisogno che qualcuno ce la debba ricordare.

    P,B. 03.05.2020

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    P:B.