Il ricordo della zia Maria da parte di Aristide Gazzotti, missionario laico della Casa de Los Niños Cochabamba in Bolivia
Ciao! Carissima zia Maria, la zia Maria di Milano, la zia Maria dello zio Amos! La zia Maria di tutti noi, suoi nipoti.
Finisce oggi una delle tante stagioni della tua vita. La stagione dell’inverno...
Abbiamo vissuto insieme, tante volte, la stagione della primavera a Milano. Una stagione molto bella e intensa, per te e per lo zio. Una stagione lunga per voi, ma credo la più bella, tanto vi sentivate utili e uniti, in quel minuscolo appartamentino, tra la cucina di 2x1,50 e la stanza da letto dove, a Natale, riuscivate a fare un posto anche per me. Era la stagione del servizio, del servizio dei poveri delle nostre montagne obbligati ad emigrare a Milano per fare i portinai, poveri che hanno fatto del loro lavoro un principio di grande dignità, lavando le scale dei ricchi, lucidano di brillo i loro passamano, che tra l’altro non usavano mai per via dell’ascensore, aprendo le porte con tanta gentilezza, sempre, alle signore “bene” della metropoli, mettendo da parte, spicciolo dopo spicciolo, tutti i risparmi del sudore di una vita.... La primavera, soprattutto, del bacio furtivo allo zio, tutte le mattine, quando usciva per andare al lavoro in fabbrica con la sua bicicletta vecchio modello...
La stagione dell’estate, a Toano, salutandoci alla luce del nuovo giorno, da una finestra dirimpetto all’altra, delle nostre case “sorelle”, dopo aver aperto e fissato gli scuri e spalancato i vetri della bella sala, finalmente tua, vostra, amplia e sempre sorridente d’ordine. Dove vi ritrovavate nell’aia con la mamma e le altre zie a “cucire”, in dialetto montanaro, i ricordi di una vita troppo semplice per essere dimenticata da Dio. Nello scrigno dei ricordi di Dio sono custodite, infatti, tutte quelle perle che imbastiscono le corone di una vita di esempio di donazione umile delle nostra mamme. Ricordi che non dimentichiamo neppure noi, vostri figli e nipoti, che in quell’aia siamo nati, giocando col niente perché mai abbiamo avuto bisogno di giocattoli regalati. Noi che in quell’aia voleva svegliarci per riprendere all’alba le strade dei campi di famiglia, per aiutare gli zii a fare il fieno, a mietere il grano o a raccogliere patate e fagioli...
La stagione dell’autunno, giù a Reggio, su nell’appartamento al decimo piano. A dire il vero, non ricordo bene se era il sesto, o il decimo o più in su... Un autunno avvolti nella nebbia della pianura, tu e lo zio, ma al calduccio del riscaldamento, ormai scelto e necessario per i vostri corpi in pensione, ritti sempre, anche se consumati da tanti anni di servizio. Una vita da pensionati dal lavoro, ma mai pensionati dall’affetto che vi univa e dalla gioia dell’incontro, quando noi nipoti facevamo una scappata per andarvi a trovare. E c’erano sempre i baci Perugina ad aspettarci o i tortelli di castagne...
E alla fine, la stagione dell’inverno... Un inverno scelto, insieme a tua sorella. Ci dicevi che eravate felici della vostra scelta di sorelle novantenni... Ora noi, invece, la viviamo come una scelta di grande tristezza e di grande pena. Né un bacio, né un abbraccio, neppure un breve saluto o un pianto “vicino”, in quest’oggi in cui tu congedi per sempre le tue stagioni e ritorni a riempirti della gioia di donna e di sposa con il bacio furtivo allo zio, che ti aspetta radioso e che ti è venuto a prendere con la sua bicicletta... Lassù in quel cielo dove le stagioni, che tu all’alba di questo giorno cominci a vivere o rivivere, sono mille e più. Sono le stagioni di Dio, dell’eternità e dell’infinito.
Ciao zia... Scusa se oggi piango un po’ al mandarti questo saluto, da lontano...
Bello e struggente: dalla “fine del mondo” un ricordo ricco di sentimento e di luce divina.
Ivano Pioppi
Maria avrei tanto voluto poterti rivedere e risentire la tua voce e stringere le tue mani…anche se con i guanti… Mi davi del “lei”. Quante volte ti ho detto che dovevi darmi del tu altrimenti sarei passata anche io al lei che con te mi risultava difficile perché per me eri la zia la nonna… Ma ora ho capito da quanto scritto sopra che tu eri abituata dal tuo lavoro a dare del “lei” ai signori “bene” di Milano e ti risultava difficile passare al “tu”. . La tua gentilezza era naturale, ma avevi un tratto signorile che ti contraddistingueva.
Purtroppo sei partita prima. Non ti ho potuta riabbracciare come ci eravamo promesse per telefono.
Voglio pensarti ora nelle mani di quel Dio che pregavi, che prego per te e per i tanti che se ne sono andati.
Sarà difficile dimenticarti.
Laura