Riceviamo e pubblichiamo
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In questi giorni di lontananza e di festa cosi insoliti e senza precedenti credo sia importante rivolgere un pensiero anche ai nostri nonni, agli anziani che vivono soli, che non possiamo abbracciare e raggiungere.
Si dice spesso nei rapporti demografici che ci vengono forniti dall’Istat che l’Italia è un paese di vecchi, e questa condizione viene spesso esaminata come un’accezione negativa.
Quando si usa la parola “vecchio” il più delle volte la si utilizza riferendosi a qualcosa che è sorpassato, a un'evidenza emotiva o fisica di uno stato di decadenza, a qualcosa che si riferisce al passato, che è precedente o usato.
“Vecchio” in riferimento alle persone, è un vocabolo bellissimo, che racchiude memoria, valori e sul cui utilizzo dovremmo riflettere attentamente. Mi piace pensare a questo termine in chiave positiva, perche’ dentro a queste poche lettere c'è esperienza, tradizione, c'è affetto familiare, autorevolezza, rispetto, c'è un pezzo di storia.
Questo momento terribile ci sta portando via tante persone, tanti anziani soprattutto , che sono una parte importante di noi e della societa’. Ci sono paesi che non hanno più nonni, che non avranno più i loro vecchi sulle panchine a chiacchierare, nei parchi a camminare , nei bar a bere un bicchiere di vino o a mangiare qualche dolcetto di nascosto; vecchi che avevano vissuto la guerra, patito la fame, che erano sopravvissuti a tante difficoltà e battaglie della vita e che se ne sono andati in silenzio e in solitudine.
I nostri vecchi con le loro storie di vita passata da raccontare, tramandare e preservare, come la più preziosa delle eredità .
In questi giorni si ha tanto tempo per pensare e i ricordi arrivano ad affollare la mente, in un assembramento piacevole, ma anche nostalgico e malinconico.
Penso alle mie nonne montanare che non posso raggiungere e che non comprendono fino in fondo ciò che sta accadendo, perché in alcuni momenti la memoria se ne va e il disorientamento temporale e spaziale ha il sopravvento. E fa male dover dire loro che dobbiamo stare lontani per il loro bene, quando per loro il bene è stare vicini per essere rassicurati o accuditi soprattutto dai familiari.
Mi vengono in mente tante storie che mi hanno raccontato sulla guerra, sulla loro infanzia, sulla loro vita fatta di sacrifici, dolore, ma anche di felicità fatta di cose semplici: una lettera che arrivava da lontano, una festa di paese con danze e canti, un ritrovo nelle osterie… E guardando le foto della mia infanzia rivivo momenti, ricordi che i ritratti ti aiutano a ricostruire, attimi di vita che abbiamo vissuto con i nostri vecchi.
Ritrovo noi bambini in montagna a giocare fuori, liberi, rivedo la nonna negli inverni freddi e umidi, quando con cura preparava il letto con il braciere del “prete”: quella sensazione di passaggio dal freddo della stanza al caldo delle coperte era indescrivibile e impagabile, il riscaldamento “centralizzato" per eccellenza. O quando si giocava per le strade del paese con l'orecchio sempre teso al campanile che al dodicesimo rintocco ci avvisava di rientrare…
Piccole cose ma che ti restano dentro, che porti con te e che racconti oggi a tuo figlio, perché non vadano perse.
Forse saremo un paese vecchio per l'economia e per le statistiche, ma dobbiamo essere orgogliosi di essere una nazione vecchia per esperienza, tradizioni, affetto, ricordi, storie di vita, di amore e di speranza.
Giulia Ovi