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I racconti dell’Elda 37 / Coronavirus e peste

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Dal momento che sono qui chiusa in casa comincio a sfogliare libri che parlano della storia del paese, mi sono ricordata di una cosa e mentre cerco la conferma a questo ricordo trovo altre informazioni che mi colpiscono e voglio raccontarvele con le mie semplici parole.

Andiamo subito nel passato, nel 1575 quando in Italia era arrivata una grande epidemia di peste. I Castelnovini spaventati dall’arrivo di questa malattia avevano chiesto e ottenuto la presenza di un medico in paese al servizio di tutta la podesteria. Così per la prima volta furono fatti arrivare i “Soprastanti alla sanità” e “il medico condotto”. Sicuramente per ottenere il dottore fisico “Phisicus” era necessaria l’approvazione dei regnanti Modenesi, ma il servizio non era a carico dello stato, perciò dovettero ospitarlo e sobbarcarsi le spese, il contratto e il compenso erano annuali e in più l’utente doveva pagarsi la visita e la trasferta se era fuori dal paese. Il tariffario era concordato e prevedeva che lo speziale “farmacista” dovesse anche fornire la cavalcatura per gli spostamenti. Addirittura erano stati istituiti tre posti di blocco agli ingressi del borgo per impedire l’arrivo ai forestieri possibili portatori del contagio.

Fu in quel periodo che si instaurò nella chiesa della Pieve l’altare dedicato a San Rocco, riconosciuto come santo taumaturgo e protettore della peste.

Dal 1630 al 1632 arrivò un’altra pestilenza, tanto che le sepolture che in passato venivano fatte in chiesa, in quel periodo dovettero passare all’esterno, scavando grandi fosse dove venivano ammassati i cadaveri giornalmente.

In quel periodo i Castelnovini pii, si recavano dai notai per mettere in iscritto i loro voleri con dettagliate richieste per il loro funerale. In quei testamenti invocavano in primis l’aiuto “di Dio Onnipotente, della Beata Maria sempre Vergine sua Madre e di tutta la Corte trionfante dei cieli”. Qualcuno ritenendo di poter essere colto dalla morte in altra località dettava agli eredi le direttive per la propria sepoltura in quel posto. (Era impensabile il trasferimento di una salma da una a un’altra località della nostra montagna, dove le strade non erano carrozzabili, ma al massimo cavalcabili o si usavano animali da soma).

Il testatore lasciava sempre una somma di denaro alla chiesa, che gli eredi dovevano corrisponderle subito dopo la sua morte e pagare il numero di messe in suffragio della sua anima per un numero, alle volte dettato dal testatore, altre volte lasciato alla discrezione della famiglia secondo le sue possibilità.

Questo periodo avveniva durante il corso della guerra dei trent’anni 1618-1648; i Lanzichenecchi (truppe mercenarie Tedesche al soldo dell’imperatore Ferdinando 2°) che già avevano diffuso la peste in Lombardia, durante l’assedio di Mantova, si erano insediati al confine del nostro ducato e da lì l’epidemia era entrata rapidamente in città e nei paesi della pianura.

Nel 1630 Francesco 1° era riparato a Rivalta dove le condizioni ambientali sembravano essere migliori che a Modena e a Reggio. In quest’ultima città venne a mancare un quarto della popolazione.

Nel 1632 la pestilenza raggiunse anche il nostro Appennino, ma con caratteristiche meno virulente anche perché vennero istituiti posti di blocco militari atti a formare un cordone sanitario ai confini dello stato. Tuttavia vi furono parecchie perdite anche in montagna, la paura del contagio era forte e si deduce nell’escatocollo di un testamento rogato dal notaio Mailli il 25 luglio 1632: esso venne redatto all’aperto in un prato della Pieve chiamato “Groppo” che era vicino all’attuale Ponterosso confinante con la strada e la Pieve stessa, per il sospetto di contagio.

Negli anni che susseguirono arrivò una tremenda carestia che cominciò dalla pianura di Carpi e arrivò in montagna dove la gente sopravvissuta alla peste, moriva di fame, cercava di sostenersi cibandosi di ghiande, i raccolti erano andati perduti anche per il maltempo. Cominciarono a riprendersi in autunno con la raccolta delle castagne.

E adesso ringraziamo ancora Corrado Giansoldati, per questa bellissima ricerca che ho trovato nel suo libro “La Pieve di Castelnovo ne’ Monti. Pag.70-78-79-149”.

Umberto Monti invece, nel suo “Castelnovomonti. Pag. 59-60”, scrive della famosa peste del 1630 che funestò la montagna Reggiana; i paesi che ne venivano colpiti erano isolati con cordoni sanitari e le guardie, che erano poste ai confini dei paesi contagiati, potevano sparare a vista contro chiunque tentava di uscirne.

Il paese più infettato fu Gazzano nella valle del Dolo che ebbe 200 morti, una buona metà della popolazione. Quest’epidemia infieriva ora qua ora là, impedendo i commerci e intralciando i lavori dei contadini e provocò poi grandi carestie e il ritorno del banditismo fra le nostre montagne.

Anche Francesco Milani parla nei suoi libri di questo flagello.

Questo è ciò che ho trovato e non mi resta che dirvi come si diceva una volta, che nel tempo tutto torna a ripetersi, naturalmente in altro modo.

Veramente io in questi libri cercavo un’altra cosa e non l’ho trovata (chissà che don Giovanni non sia più informato). La parrocchia di Castelnovo, il 2 luglio di ogni anno si reca in pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Bismantova, per soddisfare un voto fatto nell’antichità dagli abitanti superstiti per aver fermato la peste. Questo è ciò che mi raccontava mia madre e io le chiedevo se era stato per la “spagnola” lei mi diceva di no, perché questa malattia c’era stata quando lei era già signorina, mentre in processione vi andavano anche quando lei era bambina.

Ricordo nel dopoguerra, questa lunga processione che si faceva di mattina e la grande croce davanti portata dai tre uomini che si davano il cambio, seguiti dal parroco e i chierichetti con preghiere e fermate presso le varie croci disseminate lungo il cammino e la mulattiera piena di gente, anche famiglie intere che poi ne approfittavano per fare una scampagnata e pranzo al sacco.

Poi col tempo, con le modernità e le esigenze di quest’epoca, quest’usanza si è affievolita, però continua a farsi ogni due luglio, si fa di sera quando la gente torna stanca dal lavoro e magari andare a piedi è piuttosto scomodo. L’anno scorso era presente solo un piccolo gruppo di persone, chissà che quest’anno non si risvegli questa devozione, vediamo un po’ se in quella sera, ci riesce di rinunciare alle quattro chiacchiere al bar e chiediamo pure alla Madonna di Bismantova di aiutarci come lo fece allora.

Chiediamo soprattutto che preservi i giovani, tenga lontano da loro questo virus, sì i giovani. Tanto noi vecchi un giorno più o un giorno meno conta poco, anzi vi farò una confessione, io nella mia lunga vita ne ho viste tante, di belle e di brutte, non ho più nulla da scoprire in questo mondo, perciò sono ansiosa e curiosa di vedere cosa c’è nell’aldilà.

E se non c’è niente? Dirà qualcuno di voi! Bene se sarà così, chiuderò gli occhi e “amen”, ma io credo fermamente che qualcosa di molto bello ci aspetta.

Elda Zannini

7 COMMENTS

  1. Carissima Elda,
    Lei non si smentisce mai.
    Curiosità, sintesi, simpatia.
    Le ultime righe di questa volta sciolgono il cuore.
    Continui a stare in casa e continui a scrivere per favore!
    Luca Fioroni

    Luca Fioroni

    • Firma - Luca Fioroni
  2. S’im gh’è lasne ancòra un po’ it inségn a parlàr in dialèt
    grazie alla cara Dilva, al troppo buono Luca
    e a tutti quelli che mi messaggiano al telefono
    e il due luglio tutti alla Pietra. Elda

    EldaZannini

    • Firma - EldaZannini
  3. Ora che dobbiamo stare in casa ,mai come aaadesso abbiamo bisogno dei suoi racconti e delle sue preziose testimonianze per capire come eravamo.
    lei ha vissuto in tempi difficili e ci può insegnare ad affrontare il difficile momento che stiamo vivendo .
    Quindi … Abbiamo ancora bisogno di lei per cui , cerchi di stare bene .
    Un abbraccio .

    Luca

    • Firma - Luca