Non sempre le aziende applicano le norme sulla sicurezza per salvaguardare la salute dei loro operai, che si recano al lavoro con il reale rischio di contrarre il virus.
“Ieri ed oggi sono riuscita ad ottenere due giorni di ferie, ma lunedì devo riprendere il lavoro. Ed ho paura”.
Conosco Cristina (il nome è di fantasia) da molto tempo. E’ una tranquilla donna di 62 anni, che lavora per la stessa azienda metalmeccanica da sempre.
62 anni, sufficienti per essere considerata una categoria a rischio, ma non abbastanza per raggiungere l’età pensionabile.
Così Cristina continua a lavorare.
L’azienda conta tanti operai, ha tanto lavoro. Per fortuna, va detto, dati i momenti di crisi che l’industria ha passato. Il lavoro, nella famiglia di Cristina è quantomai necessario. Impossibile anche solo pensare di poterne fare a meno, tutto quello che guadagna è fondamentale per il sostentamento della sua famiglia.
Cristina, operaia di 62 anni, ha sofferto di una grave patologia che l’ha vista sottoporsi ad un complesso intervento chirurgico poco più di un anno fa.
Non ne è ancora completamente uscita, ma ha dovuto necessariamente riprendere il lavoro, dopo aver usufruito del periodo di malattia massimo concesso.
“Le pressioni sono troppe, ti fanno chiaramente capire che se non sei in grado di lavorare l’unica strada è il licenziamento e io, a cinque anni dalla pensione, proprio non me lo posso permettere”.
Il lavoro di Cristina, come quello di molti operai del settore metalmeccanico, è un lavoro duro, un lavoro per lo più fisico, a turni, 8 ore al giorno, 5 giorni la settimana, nel caldo soffocante del capannone privo di aria condizionata d’estate e al freddo d’inverno.
Cristina, in questo difficile momento, ha paura e non ne fa un mistero con i suoi superiori. “Le condizioni in azienda sono quanto di peggio si possa pensare, in questo momento. La macchina sulla quale lavoro prevede la presenza di due operai, che devono necessariamente lavorare a stretto contatto tra di loro, il metro di distanza non è neppure ipotizzabile”.
Il periodo di certo non è dei più favorevoli, ma il peggio inizia quando da più parti viene gridata la necessità di salvaguardare le categorie a rischio. Cristina ne fa parte a pieno titolo.
“Ogni giorno assumo farmaci per cercare di contrastare la mia patologia, cerco di tirare avanti come posso, ma ora ho davvero paura”.
Cristina nota che il collega con il quale lavora starnutisce insistentemente per tutto il turno di lavoro. Prova a dire qualcosa, ma viene rassicurata, di sicuro si tratta solo di un raffreddore, non si facciano drammi dove non ce ne sono.
Cristina è sempre più preoccupata. Chi dice che si tratta solo di un raffreddore? Nessuno, ovviamente, ha mai sottoposti i colleghi che presentano sintomatologie sospette ad un tampone.
Allora inizia a fare alcune richieste, fa notare che tra i colleghi non viene rispettata la distanza e chiede almeno una mascherina.
Non è possibile, questo tipo di presidi è pressoché introvabile, o i prezzi sono troppo alti.
Chiede di poter avere almeno un disinfettante, almeno uno a disposizione dell’intero reparto.
“Mi viene risposto che forse, da qualche parte, probabilmente, c’è dell’alcol e che faranno in modo di farmelo avere. Passano le ore, finisce il turno di lavoro, ma nemmeno l’alcol arriva”.
Allora Cristina gioca la sua ultima carta, chiede di poter avere le ferie, spiega ancora una volta di essere un soggetto a rischio, che le condizioni di sicurezza in azienda non sono rispettate, che alcuni colleghi presentano dei sintomi poco rassicuranti.
Dopo un consultazione con i dirigenti le ferie, incredibilmente, le vengono negate.
La motivazione è che se il governo deciderà per la chiusura delle fabbriche, quella sarà l’occasione per godere delle ferie arretrate.
Forse sarà possibile usufruire, in futuro, anche di un periodo di cassa integrazione, motivo per il quale ora non è possibile fermare la produzione, ma occorre cercare di far fruttare il tempo presente il più possibile.
Le ferie, poi, si fanno ad agosto, si sa che l’azienda chiude un mese, se vengono fatte ora poi ad agosto come si fa?
Incredibilmente, la richiesta viene negata.
Cristina si oppone e, dopo molte insistenze, gli vengono dati due giorni. Due. Giovedì e venerdì. Lunedì si deve riprendere. Prendere o lasciare.
“Non so che altro fare, dovrò necessariamente riprendere a lavorare, ma se poi mi ammalo? So che la mia protesta non ha giocato a mio favore, so che il mio lavoro è a rischio, ma non so più come fare”.
L’onere della sicurezza è tutto nelle mani delle aziende, che devono garantire le condizioni ottimali per la sicurezza dei dipendenti ma, evidentemente, questo non sempre viene rispettato e il motto “restiamo a casa” per alcuni rimane solo un miraggio.
Buongiorno, sono sconvolto da quello che scrive “Cristina” , l’unica possibilità che ha è quella di mettersi in malattia.
miki
Tanti,troppi lavoratori come Cristina(speriamo senza patologie pregresse alle spalle) sono costretti a lavorare in questi giorni. A lavorare in aziende che di strategico o indispensabile non hanno proprio nulla; a lavorare a contatto di gomito con compagni e tutti senza mascherine, guanti ,ecc.
Così ha deciso il “padrone” interpretando a suo modo decreti non chiarissimi,sapendo che il sindacato non interviene e ,naturalmente, non facendo sfoggio di buon senso.
La logica suggerirebbe :perché non fare ora le ferie a cui si ha diritto? Mica l’ha ordinato il medico che si chiuda ad agosto cascasse il mondo! Tra l’altro pensiamo che le ferie sono un capitale mio ,un mio diritto. Perché non lo posso usare?
In questi giorni che tutti noi ci sentiamo così vicini al personale sanitario tutto, che davvero ha un comportamento eroico,encomiabile,grandioso , ai volontari, diciamo un grazie anche a tutti quelli che sono costretti a lavorare. Anzi DUE grazie perché se gli ospedali funzionano e’ grazie alle tasse che i cittadini pagano e i lavoratori dipendenti le hanno sempre pagate fino all’ultimo centesimo. Grazie a loro vengono curati tutti,anche gli evasori. A questi ultimi non dico neanche di pensarci un attimo: è inutile.
F.M.