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Socialmonti: Ameya osserva dall’India il coronavirus nostrano

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Mi trovo in India dove vengo ogni anno a seguire terapie ayurvediche per gli acciacchi dell’età. E come ogni anno lavoro da qui, continuando la mia vita di psicologa che lavora online in Italia e nel mondo.
Condivido con voi, lettori di Redacon, questo mio personale pensiero.

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“Stamattina U. non è venuta al lavoro.
Ieri mi diceva che suo cognato era all’ospedale in fin di vita. Vecchiaia. Le ho chiesto l’età e mi ha detto 71 anni. Al mio stupore lei mi racconta che la sua generazione sempre "hard work", lavoro duro. E che se arrivi a 65 anni sano sei fortunato. A 70 arrivano in pochi. A 80 poi non se ne parla.

Oggi scopro che non verrà nemmeno S. Sua figlia di 17 anni è epilettica e quando ha gli attacchi deve portarla in ospedale.
Leggo sui portali indiani che qui i casi di Coronavirus sono stati tre in tutta l’India guariti subito e al secondo negativo sono stati dimessi.
Da questa mia postazione distante, rifletto che ai paesi con emergenze di salute quotidiana un virus nuovo gli fa un baffo, avvezzi a combattere con tragedie quotidiane molto gravi.
Sono abituati che la vita non è scontata, che va spremuta da ogni cosa semplice perché in un soffio "hospital and die", ospedale e morte.

Guardate da qui, le foto degli scaffali vuoti dei supermercati in Lombardia mi fanno pensare a quanto terrore abbiamo di vedere minacciate le nostre certezze e il nostro benessere, che diamo per scontati.
Visti da qui, noi italiani la salute la pretendiamo più che ringraziarla.
L’ansia e il panico sono virus ancora più contagiosi che portano a eccessi inutili.
Credo sia fondamentale ascoltare chi fa della scienza la sua professione, sottovalutare o sopravvalutare sono indici di creduloneria e superficialità.

Ascoltiamo invece con umiltà e prudenza chi ne sa davvero, poi viviamo. Magari con un grazie nel cuore.

 

*Ameya Gabriella Canovi è PhD, docente e psicologa, si occupa di relazioni e dipendenze affettive. Da poco ha terminato un dottorato di ricerca in ambito della psicologia dell’educazione studiando le emozioni in classe. Ha un sito e una pagina Facebook “Di troppo amore”.

 

1 COMMENT

  1. Mi sembra che queste righe intendano dire che nei Paesi “avvezzi a combattere con tragedie quotidiane molto gravi” prevale una sorta di fatalismo o rassegnazione, che lascia poco spazio a sentimenti di paura e panico di fronte a nuove ed ulteriori “emergenze” (verso le quali si diventa sostanzialmente meno “reattivi”).

    Laddove invece le “condizioni di vita” sono migliori o più vantaggiose, è abbastanza comprensibile che possa insorgere il timore di veder ridursi il livello di “protezione” sociale e di sicurezza cui ci si è via via abituati, e si “pretendano” o ambiscano ampie garanzie (che semmai, nel concreto, potranno essere difficilmente soddisfatte, ma l’illusione resta).

    Bisognerebbe trovare una sorta di via di mezzo, anche perché nelle società cosiddette “più avanzate” dovrebbe imporsi la razionalità, pure nell’affrontare le situazioni impreviste, ma questo non sempre succede, e capita invece di lasciarsi prendere dal “panico”, come pare essere avvenuto di fronte al coronavirus (ma credo esservi un fattore da considerare).

    C’è da pensare che le “pestilenze” del passato si siano diffuse in modo piuttosto lento – perché le comunità vivevano in modo abbastanza isolato, e gli spostamenti erano tutto sommato limitati – così da prepararsi “psicologicamente”, mentre nel sistema di oggi tutto procede in modo accelerato (e forse questo ci espone maggiormente alle suggestioni).

    P.B. 27.02.2020

    P.B.

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