Riceviamo e pubblichiamo
“Con grande disappunto ho saputo di un evento al Teatro Valli di Reggio Emilia che verteva su due processi illustri del dopoguerra reggiano: quello celebrato presso la Corte d’Assisi Straordinaria contro Marianna Azzolini, accusata di delazione ai nazisti in relazione alla strage di Legoreccio del 1944 e quello svoltosi in Corte d’Assisi ordinaria contro Leonarda Cianciulli, la saponificatrice di Correggio. Ritenendo altamente lesivo sia l’accostamento tra il nome di mia zia Marianna ed una assassina seriale come la Cianciulli sia alla strage di Legoreccio del novembre ’44, ho immediatamente allertato l’avvocato di famiglia, lo storico reggiano Luca Tadolini, per presentare una querela per diffamazione aggravata a carico del Direttore della Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Paolo Cantù e dello storico Mirco Carrattieri incaricato di tenere la conferenza.
Cosa vergognosa ed inaccettabile la mancanza di ogni riferimento al Calvario subito da Marianna (nata a Vetto -RE- nel 1916, laureata in lettere antiche e all’epoca residente a Vetto), sorella del Capitano medico della G.N.R. Pietro Azzolini, trucidato il 23 giugno 1944, da un gruppo di killer partigiani comunisti, con la scusa di portare soccorso ad alcuni feriti. Pietro Azzolini si era incessantemente prodigato per salvare diversi paesi della montagna reggiana da rastrellamenti tedeschi, per salvare l’amico Prof. Pasquale Marconi, antifascista e partigiano delle Fiamme Verdi, alias Franceschini.
Il Calvario di Marianna, descritto benissimo nel libro di Elena Bianchini Braglia “CALVARIO ROSSO - Marianna Azzolini, storia di una violenza partigiana”, inizia il 30 novembre 1944 con il prelevamento della stessa, da casa, a Vetto da parte di un commando di partigiani comunisti. Portata in un casolare, in località Casone, subì violenza, udirono le grida strazianti tutti coloro che abitavano nei pressi, chiamava la mamma, povera Marianna! Che gentiluomini! Il suo calvario continuò in una lunghissima marcia. A piedi, senza scarpe, nella neve, senza biancheria intima, tanto da lasciare sulla neve gocce del sangue mestruale sino al carcere partigiano, alla Presa alta di Ligonchio (RE).
Nel gennaio del 1945 venne celebrato il processo partigiano, senza avvocato difensore. Tutti per la pena di morte… tranne Barbanera (Il notaio Annibale Alpi, ndA). Marianna stava malissimo, congelamento ai piedi, scabbia e broncopolmonite. Venne trasferita all’infermeria del carcere partigiano, a Coriano,… una fortuna per Marianna, perché il 13 aprile (del ’45) i partigiani portarono quei prigionieri che erano compagni di sventura di Marianna, tedeschi, italiani, uomini, donne, nel canalone di Gazzano (Cervarolo) e li uccisero. Là, in quel luogo è stata apposta una Croce, qualche anno fa per ricordare quegli uomini, prigionieri trucidati, a fine guerra. A quel punto Marconi capì che per salvare Marianna, doveva portarla via; fu così che Marianna visse a casa dell’amico di Pietro sino al settembre 1945, quando Marconi, posizionato sul predellino dell’auto della polizia partigiana, accompagnò Marianna per l’inizio del processo del CAS. Temeva ancora che qualcuno potesse farle del male.
Ecco dove sta la malafede degli organizzatori, il processo di Marianna non è famoso, è un processo per delazione, insieme ad altre 13 persone. Tra le quali 5 donne, uno dei tanti processi della Corte d’Assisi straordinaria. Venne condannata a 18 anni, riconoscendole le attenuanti, venne scritto in sentenza che non fu lei l’autrice della delazione su Legoreccio. Nel marzo 1947 la Corte di Cassazione annullò la sentenza in quanto era intervenuta l’amnistia Togliatti. Marianna restò segnata tutta la vita da quell’orribile tragica esperienza, era una bellissima ragazza, colta, simpatica, tornò con i capelli bianchi come la neve, non volle mai sposarsi, si dedicò all’insegnamento (al Liceo scientifico di Desenzano sul Garda ndA), al suo amato partito, restò lontana dall’Emilia per paura che qualcuno facesse del male ai suoi cari, insomma scelse l’esilio a Desenzano! La strage di Legoreccio non venne mai sfiorata neppure al processo partigiano, dove venne condannata a morte.
L’avvocato Tadolini ha rintracciato a Bologna la sentenza del processo, dove Marianna fu condannata a 18 anni, riconobbero le attenuanti generiche e di parziale vizio di mente per lo choc dovuto dall’uccisione dell’amato fratello e comunque di non essere lei l’autrice dell’informativa che portò alla morte di 24 partigiani. Quel verdetto ritrovato da Tadolini illumina con nuovi elementi tutta la vicenda dei miei zii, lo zio Pietro trucidato, a tradimento, nonostante avesse salvato il Prof. Marconi, portato i primi soccorsi agli abitanti di Cervarolo, messaggero del Vescovo Brettoni, dopo la strage e l’incendio da parte delle Ss della Goering; Marianna, stuprata e condannata a morte, nonostante le persone da lei salvate dai tedeschi ed innocente rispetto a Cervarolo.
Qua voglio riprendere ciò che il bravissimo giornalista Ghiggini ha detto, cioè che la sentenza riletta oggi fa giustizia delle ricostruzioni bugiarde e reticenti che hanno inseguito la memoria dei miei familiari, Pietro e Marianna Azzolini… chissà che in seguito a questa nostra querela, non riesca a scaturire una nuova ricerca e un riconoscimento, bipartisan, della verità. Resta, da capire, da indagare perché i partigiani e i loro eredi si sono accaniti con tanta virulenza verso Pietro e Marianna, la risposta sarà in una nuova ricerca, in una altra puntata. Quel giorno spero di esserci ancora”.
Laurentia Azzolini, Presidente dell'Associazione Pietro e Marianna Azzolini
Dall’articolo non riesco a capire quali furono i reati riconosciuti dalla Corte d’Assise per i quali vennero comminati 18 anni di carcere. 18 anni non mi sembrano pochi. Si potrebbero riportare i passi relativi della sentenza? Perché non è riportato il verdetto di cui si parla? Se ho letto bene poi intervenne l’amnistia, non un successivo grado di giudizio. Nel settembre 1945 la guerra era finita. Il dolore per l’efferatezza della guerra civile aumenta non diminuisce l’importanza della completezza dell’informazione, anche e soprattutto per chi ricerchi i dati necessari a comprendere i fatti storici.
(Commento firmato)
Anche io mi sono posto la stessa domanda: se è stato riconosciuto in sentenza che non sia stata responsabile della delazione, per cosa le sono stati comminati i 18 anni di carcere? Aggiungo anche, con tutto il rispetto per i morti e senza voler offendere nessuno, che far passare un ufficiale della GNR per un buon samaritano mi pare quantomento bizzarro. E’ stato provato da innumerevoli fonti e testimonianze che siano stati proprio gruppi di appartenenti alla GNR, a portare la Hermann Goering a Cervarolo. Inoltre non dimentichiamo cosa successe sotto la repubblica di Salò: case di tortura in ogni città, la decima mas che imperversava uccidedno e torturando chiunque non fosse allineato, oltre alla deportazione di migliaia di ebrei mandati a morire col gas in Polonia. Chiunque appartenesse alla GNR era sempre e comunque in qualche modo corresponsabile di crimini osceni, e questo non va mai dimenticato. Con tutto il rispetto per i morti, lo ripeto, e senza negare gli errori, a volte atroci, commessi anche dai partigiani, abbiamo a mio avviso il dovere morale e storico di non confondere le vittime con i carnefici.
Andrea
A sintetica replica dei commenti alla lettera di Laurenzia Azzolini, comunico che per metà marzo (emergenza sanitaria permettendo) è prevista una conferenza dove verrà esposta integralmente la sentenza delle Sezioni Speciali di Corte di Assise del Gennaio del 1946, impugnata, e poi annullata dalla Corte di Cassazione nel Marzo 1947, per amnistia, così che nel 1951, il certificato penale generale di Marianna Azzolini riportava nulla. Il capo di imputazione di questo tribunale speciale riguardava “collaborazione con il nemico”. In istruttoria venne riportato il processo partigiano che l’aveva condannata a morte per due dispacci sulla condizione dei partigiani nella zona (il processo partigiano non contestò responsabilità per Legoreccio). La sentenza riporta giudizi positivi sul fratello Ufficiale Medico Pietro Azzolini, che non ha responsabilità per la Rappresaglia di Cervarolo, ma meriti perché si attivò per salvare altre frazioni circostanti. Il processo contro Marianna si svolse nel gennaio 1946, mentre fuori gli ex partigiani comunisti ancora uccidevano (Don Pessina venne assassinato nel giugno 1946). Al processo testimoniò contro Marianna, Eros, Didimo Ferrari Commissario Politico del Partito Comunista (allora Stalinista, Partito rimasto consenziente al patto Molotov Ribbentrop fra Hitler e Stalin 1939-1941, e condiscendente al sistema di sterminio nei Gulag). Il quale era colui che nel Marzo 1944 aveva fucilato a MonteOrsaro 6 prigionieri italiani e tedeschi catturati a Cerrè Sologno nel primo scontro con i tedeschi dall’8 Settembre ‘43 nel Reggiano. Eros, osservato da aerei da ricognizione tedeschi si ritirò a Cervarolo. Quando i tedeschi stavano per raggiungere la frazione, sciolse la formazione e si diede alla fuga, senza avvertire i montanari del pericolo. Nell’Aprile 1945, invece, mentre Marianna, già seviziata, era nel carcere partigiano della montagna, lo stesso Eros Didimo Ferrari ordinò di uccidere tutti i prigionieri Italianj e tedeschi detenuti dai partigiani. Ne vennero fucilati 20 e lasciati i corpi proprio sopra a Cervarolo, mentre si avvicinavano truppe tedesche, che per fortuna si arrestarono prima. Marianna si salvò nascosta in infermeria. Ferrari testimoniò al suo processo. Poi Eros Didimo Ferrari dovette fuggire all’Est comunista per fuggire processi per i delitti partigiani. Sui processi di Reggio Emilia delle Sezioni Speciali intervennero le Autorità Alleate, chiedendo che venisse posta fine alla mancanza di garanzie minime di diritto a fronte di condanne a pene gravissime. Scusate per la sintesi.
Luca Tadolini