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Vogliamo vivere in montagna, ma serve più attenzione verso gli anziani

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Nel post elezioni si è aperto un dibattito sulle aspettative di chi vuole continuare a vivere in Appennino e sulle scelte da fare. Contro lo spopolamento dei centri abitati sono necessarie delle politiche attive che rivolte sia ai giovani, sia ai più anziani. Servizi sanitari locali che diminuiscono, mezzi di trasposto inaffidabili e incura del territorio sono solo alcune delle proplematiche che chi vive in montagna vive ogni giorno.

In merito pubblichiamo integralmente la lettera che ci ha inviato Alberto Tondelli di Spi- Cgil Zona Montana.

"Lavoro, strade, anti-spopolamento, “ restanza” ed incentivi e servizi per le giovani coppie. Tutto condivisibile e probabilmente realizzabile se il percorso che verrà individuato sarà condiviso al di là della appartenenza ai diversi schieramenti politici. Ma nel frattempo si ci dimentica che tali obiettivi non possono che essere a medio e lungo termine e nel frattempo le persone anziane che presidiano il territorio dell’alto crinale sono costrette ad abbandonarlo per recarsi , nella migliore delle ipotesi, nel capoluogo montano, dove la presenza di servizi riduce la percezione di insicurezza ed annullando quasi completamente le relazioni sociali costruite in decenni di vita ed alimentando  solitudine ed isolamento.

Mentre si pensa all’incremento della nostra popolazione è indispensabile non dimenticare di tutelare quella che attualmente vive quotidianamente l’Appennino, cercando soluzioni e le giuste risorse per affrontare i problemi degli anziani già residenti e metterli in condizione di continuare a vivere in sicurezza nei borghi e frazioni dove sono nati.

Ci sono almeno tre buon e ragioni che impongono più attenzione verso gli anziani.

Primo: senza la presenza dell’uomo in una vasta area montana  già fragile e vulnerabile, tale territorio rischierebbe di non esser più fruibile  come lo immaginiamo e  desideriamo. Verrebbe messa a rischio un alleanza uomo-ambiente che il montanaro ha stipulato da sempre e che ha prodotto ottimi risultati in parte  ridotti con l’inizio dell’abbandono a metà del secolo scorso. La natura, si sa, è  molto più forte dell’uomo e prevarrebbe.  Senza contare il valore aggiunto che i pensionati  portano nell’economia della montagna.

Secondo: l’abitabilità non è più idonea ad ospitare persone di età avanzata. Le abitazioni progettate per famiglie, all’origine numerose e giovani, sono oggi sovradimensionate alle esigenze di nuclei famigliari composte da una o massimo due persone, con la presenza di  barriere architettoniche che limitano l’autosufficienza dell’anziano. Ci sarebbe bisogno di ristrutturazioni di buona parte del patrimonio edilizio in essere evitando la costruzione di nuovi edifici e  di conseguenza un ulteriore spreco  di territorio, portando  un po’ di ossigeno all’attività edile ed l’indotto ad essa collegato  tutt’ora presente in montagna.  Ma visti i costi elevati  dei recuperi edilizi,  urge, per primo, la volontà politica e le risorse economiche da parte del Governo centrale, della regione e perché no, dei comuni. Un’alternativa potrebbe essere l’individuazione di appartamenti Protetti, visto anche lo sproporzionato patrimonio edilizio presente nei comuni del crinale, che consentano all’anziano autosufficiente di mantenere la propria privacy ed autonomia e senza escludere un’ospitalità stagionale.

Terzo: servizi sanitari che tengano nella giusta considerazione le patologie che prevalentemente sono tipiche delle persone anziane. Senza con questo voler sminuire l’importanza del “ Punto Nascite”, occorre la dovuta considerazione e quindi dei giusti presidi per le malattie neurologiche che colpiscono le persone anziane e purtroppo non solo,  come il Parkinson e l’Alzheimer  o la cataratta secondaria che colpisce circa il venti per cento di chi già ha subito un intervento di cataratta primaria che per un intervento col laser della durata di pochi minuti si vede costretto a recarsi all’ospedale di Correggio con costi e tempi di percorrenza molto elevati e con non  liste di attesa a volte superiori  i sei mesi. E’ necessario poi affrontare come  ridurre i tempi di intervento del 118 previsti dal Ministero della Salute in 18 minuti, cosa sicuramente difficile  per la morfologia del territorio ma proprio per questo necessaria di una attenta  riorganizzazione.

Ritengo che tali riflessioni possano essere prese in considerazione e possano contribuire ad un minore spopolamento del nostro Appennino".

Alberto Tondelli

SPI-CGIL Zona Montana