Angelo Picciati è un artista a tutto tondo, ma lui stesso chiede con insistenza di essere definito “pittore di corte”.
Durante una recente intervista inutilmente chiedo spiegazioni di questa definizione, ma Angelo si limita ad asserire che “ognuno deve leggerci quello che crede”.
Picciati nasce a Toano il 16 dicembre 1959 e mostra fin da subito una spiccata predilezione per l’arte figurativa.
Caratteristica ineguagliabile di questo pittore, sculture e poeta è il non amare definirsi ed incorniciare le proprie opere in confini prevedibili e predefiniti.
Proprio in quest'occasione ho avuto la fortuna e l’onore di partecipare allo svelamento della sua ultima opera, riservato ad un piccolissimo gruppo di amici, con lo scopo di sondare la reazione del pubblico. Il primo momento di stupore nasce dall’assenza del titolo, che Angelo Picciati vuole regalare al pubblico. “Il titolo lo darà direttamente chi vedrà l’opera esposta per la prima volta”.
Il quadro verrà infatti svelato dal vivo domenica 2 febbraio, durante le celebrazione per la Giornata della Memoria “Tuttig(i)usti”, promossa dal Club per l’Unesco di Carpineti, che avrà luogo al Teatro Parrocchiale alle ore 16,30, dove ogni partecipante potrà proporre un titolo per l’opera, tra i quali il creatore sceglierà quello più adatto.
Angelo ci racconta del suo lavoro, nato da riflessioni personali sulla storia italiana e su quella della sua famiglia, che ha toccato con mano la deportazione e la prigionia. “Ho dovuto abbandonare l’opera più volte durante la sua realizzazione, non riuscivo a continuare… Mi interrompevo per un po’ e poi tornavo a riprenderla, con più convinzione.”
Piano piano toglie il foglio che cela il quadro, realizzato con tecnica mista che coniuga sapientemente pittura, disegno, scultura e poesia.
Un pugno allo stomaco, forte, inatteso, l’urgente desiderio di allontanarsi e l’assoluta esigenza di guardare meglio, di capire, di vedere oltre.
Piccoli particolari che emergono, che sembrano dimenticati lì, abbandonati per errore durante la realizzazione. Sullo sfondo, dove dalla foschia emerge senza ombra di dubbio l’immagine di un campo, si evidenziano disegni e foto di treni, di persone in fila, di povere cose. Sbuca tridimensionalmente dalla tela una valigia, una stoviglia, lo spallaccio di una borsa a tracolla, applicazioni che catturano ipnoticamente lo sguardo.
Occhiali, tanti occhiali, un pupazzo rotto, sporco, macchiato di sangue, appoggiato su di un tessuto a righe. Ad incorniciare l’opera, sulla sinistra, il filo spinato.
E lo sguardo, che ha tentato inutilmente di sfuggirle, si perde senza poterlo evitare oltre nelle figure centrali: un soldato, senza dubbio, ed una figura informe, quasi un fantasma, ciò che poteva essere stato un uomo…
Una scritta, sotto questa divergente moderna pietà: “La sua follia fu contro il mio volere. Porterò rimorso ai confini d’ogni tempo”.
Un rimorso che esplode nel gesto di soccorso del soldato che regge il capo di colui che non è evidentemente più.
Ma l’opera è anche speranza, che emerge da un colore verde diffuso, da un poco di muschio che resiste in un angolo, da un fiore che riesce a nascondersi al filo spinato.
Angelo Picciati ha sapientemente unito elementi comuni e arte per donare in una sola opera l’idea e la suggestione di un passato che non si deve dimenticare, che ancora vuole palesare tutto il suo orrore. (Foto Chiara Torcianti)
Rita Bacchi Pessina