“L’annata agricola 2019 è stata fortemente condizionata dai cambiamenti climatici i cui effetti negativi si sono sentiti in diversi comparti che hanno manifestato rallentamenti e difficoltà. Bene la viticoltura, il Parmigiano Reggiano e le produzioni biologiche. Il bilancio finale è discreto ma rimangono aperti molti interrogativi sul futuro”.
Parole di Antenore Cervi, presidente Cia Reggio, che analizza l’andamento degli ultimi dodici mesi partendo da una premessa fondamentale: “Il settore agricolo è quello che più di tutti subisce gli effetti dei cambiamenti climatici che causano fenomeni meteorologici estremi, dissesto idrogeologico, siccità e alluvioni, variazioni degli agro-ecosistemi, diffusione di nuovi insetti dannosi, perdita di sostanza organica del suolo. Ma l’agricoltura è anche il settore più impegnato nel contrastarli: occorre sostenerlo per aiutarlo a sopravvivere e a investire nelle innovazioni. I nostri principi sono contenuti nel programma ‘Il Paese che vogliamo’ che svaria dagli interventi di manutenzione delle infrastrutture alle politiche di governo del territorio, dallo sviluppo di filiere a vocazione territoriale a nuovi sistemi di gestione della fauna selvatica e alla coesione istituzioni-enti locali per il rilancio delle aree interne”.
Cervi inizia la sua analisi del 2019 dal Parmigiano Reggiano: “È l’emblema a livello nazionale degli ottimi risultati che si possono raggiungere quando valorizzazione e qualità vanno di pari passo. Se la filiera funziona, il prodotto ne guadagna. E con esso anche gli imprenditori agricoli. Grazie a buoni accordi internazionali, anche l’export va forte. I dazi americani? Un problema che deve essere risolto”. Il presidente Cia Reggio invita però a “non sottovalutare il calo delle quotazioni avvenuto nelle ultime settimane. Vanno ricercate le esatte cause - speculazioni o difficoltà strutturali - e devono essere affrontate per evitare che diventino un problema serio nel 2020”.
Capitolo viticoltura. Il lambrusco, spiega il presidente, “ha raggiunto quotazioni discrete anche grazie al calo di produzione avvenuto sul territorio reggiano (-6%) ma soprattutto in quello modenese (-20%). Ciò che ha dato grandi soddisfazioni è l’Ancellotta che, non dimentichiamolo, rappresenta il 50% del settore. È un prodotto con un ampio mercato ed enormi potenzialità ancora inespresse”.
La suinicoltura ha invece vissuto un anno di “montagne russe, passando dalle quotazioni bassissime d’inizio anno alla netta ripresa attuale. Il miglioramento non è però stato ottenuto grazie a un programma di valorizzazione ma alla drammatica crisi sanitaria cinese - la peggior epidemia di peste animale mai scoppiata, secondo l’Oms - che sta sconvolgendo il mercato. Dobbiamo sfruttare questo momento per far conoscere a livello non solo italiano ma anche europeo la qualità delle nostre carni. Una sfida da vincere per garantire il futuro”.
Note positive arrivano dall’Anguria Igp: “Ha raggiunto quotazioni che hanno sfiorato il prezzo della carne del suino - sottolinea Cervi -. Non sono però mancate pesanti problematiche fitosanitarie causate dai cambiamenti climatici”. E così è stato anche “nel settore dei cereali e per quello della frutta. I nostri agricoltori aspettano risposte concrete e non più rinviabili, a partire dalla questione della cimice asiatica”.
Nel 2019 si sono registrate rilevanti ripercussioni anche per le api: l’aumento delle temperature e la contestuale diffusione di nuovi parassiti stanno “mettendo a rischio salute e sopravvivenza delle api, con effetti drammatici sulla sicurezza alimentare globale. Perché dal loro ruolo essenziale di insetti impollinatori dipende il 70% della produzione agricola mondiale, e ovviamente anche locale, quindi del cibo che portiamo a tavola”.
Il presidente Cia Reggio conclude con un dato molto positivo che arriva dalle coltivazioni biologiche che rappresentano ormai una fetta importante del comparto dell’agroalimentare reggiano: “L’annata ha fatto segnare un boom di nuove aziende e nuove superfici coltivate: non siamo dinnanzi a una moda passeggera, è ormai una realtà consolidata che ha forti radici nella nostra tradizione agricola ed è destinata ad avere una decisa espansione anche negli anni a venire”.
L’agricoltura di montagna è sicuramente un settore da salvaguardare,pero:
finchè in Italia, ci sarà un settore come quello agricolo che non paga le tasse, che non fa la denuncia dei redditi, che non fa la denuncia iva, che non paga l’imu sui fabbricati e che prende solo contributi a fondo perduto per tirare avanti e che adesso ce li ritroviamo nelle gare d’appalto dei comuni, provincia e bonifica con una concorrenza sleale, penso che purtroppo le cose non potranno che andar male. LE TASSE LE DEVONO PAGARE TUTTI, ANCHE GLI AGRICOLTORI!!!!
Non ho mai sentito un politico parlare di questo, di nessun colore per paura di perdere voti. Ormai non si sa più dove prendere i soldi, si ci inventa manovre fiscali per grattare il fondo e per mettere sempre più in crisi gli unici settori che veramente tengono in piedi l’ITALIA, i piccoli artigiani e commercianti penso che ormai sia ora di riflettere e agire. Comunque fanno bene perchè è la legge che lo consente e per questo anch’io sto cercando di inventarmi qualche allevamento o semina strani per portare a casa dei contributi.
Buon anno a tutti, a chi paga le tasse e chi no.
Un artigiano stanco di pagare le tasse solo lui.
Caro signor artigiano stanco,prima di parlare a vanvera s’informi meglio….Iva,camera di commercio, denuncia dei redditi ed altro vengono pagati regolarmente senza nessun sconto…..un contadino montanaro
Un contadino montanaro
Dopo decenni di anni di lotte per sostenere l’unica opera in grado di ridurre i danni derivanti dai cambiamenti climatici e dall’aumento dei fabbisogni idrici ad usi plurimi, non mi resta che sperare che il Grande Spirito faccia comprendere ai responsabili del comparto agroalimentare e alle Associazioni del mondo agricolo di Reggio e Parma che stanno procedendo verso il baratro. Non solo la CIA ma tutti sanno che i cambiamenti climatici stanno provocando ingenti danni; scioglimento dei ghiacciai, incendi, aumento delle temperature, siccità, alluvioni, prosciugamento delle falde, subsidenza, inquinamento delle acque dei fiumi, aumento della CO2 in atmosfera, dissesti idrogeologici, fabbisogni energetici, ecc. ecc. Tutti conosciamo la malattia e tutti ne conosciamo la cura, ma sulle Province di Reggio e Parma non si fa nulla per curare la malattia o per prevenirla; non si fa nulla per trattenere le acque di montagna nei periodi di abbondanza per usarle quando servono per l’agricoltura e per produrre energia pulita; si preferisce prosciugare le acque dalle falde fino a 200 mt di profondità o usare le acque del Po invase ogni giorno da tonnellate di microplastiche, ma della ripresa dei lavori della Diga di Vetto, nulla; un’opera definita su Decreto nel 1987 dal Ministro dell’Agricoltura “Urgente ed indifferibile” per Parma e Reggio Emilia; un’opera su cui il Ministro Carlo Ripa di Meana espresse il suo Giudizio di Compatibilità Ambientale. Da allora cosa è stato fatto?; sono stati pagati centinaia di milioni di euro per danni da siccità e da esondazioni, danni ben superiori alla costruzione della Diga di Vetto. Mi fermo qui, vorrei dire tante cose che non posso dire; ribadisco solo che da 30 anni sulla Valle dell’Enza stiamo buttando via la più grande ricchezza dell’Umanità, l’acqua; questo grazie a qualcuno.
Franzini Lino Presidente del Bacino Imbrifero Montano dell’Enza
I due primi commenti esprimono pareri molto diversi, se non opposti, con argomentazioni tutt’altro che banali e che riguardano, in entrambi i casi, categorie molto importanti per la nostra montagna, e per non lasciare in sospeso la domanda che potrebbe farsi al riguardo più di un lettore – col chiedersi chi dei due commentatori abbia ragione – sarebbe interessante conoscere il punto di vista in proposito delle rispettive Associazioni di categoria.
P.B. 29.12.2019
P.B.