È recente, l’inizio di ottobre, l’uscita del romanzo edito da Mondadori Il signore delle maschere di Patrick Fogli, scrittore residente in Appennino, già vincitore del Premio Scerbanenco 2018 per l’opera A chi appartiene la notte (Baldini+Castoldi).
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Patrick, come nasce Il signore delle maschere?
“Nasce dall’idea dei due personaggi principali, Laura e Caronte, all’apparenza molto diversi, ma in realtà legati da caratteristiche simili.
Caronte è un uomo senza volto e senza nome, nessuno conosce la sua faccia, nessuno sa chi sia in realtà. Se qualcuno gli chiedesse una definizione di se stesso, direbbe che è un terrorista etico, ossimoro per definizione, uno che crede che per aiutare gli ultimi occorre spazzare via i primi. In senso letterale, fisico.
Laura è un’insegnante di letteratura all’università e, allo stesso tempo, fa parte di un’organizzazione che aiuta le persone a scomparire, cambiare vita in senso radicale. Nuova città, nuova nazione, nuova identità, un nuovo passato. È una donna, quando la incontriamo, in uno di quei momenti in cui la vita intera sembra che ti sia crollata addosso e forse è proprio lei la prima a dover decidere chi è, cosa desidera, cosa vuole che sia il suo presente e che diventi il suo futuro.
La storia nasce da loro e da un ragionamento sull’identità. Cosa identifica una vita? Quello che siamo? Quello che facciamo? E si può cambiare vita se non cambiamo prima noi stessi?”
Quanto tempo ha richiesto?
“Se intendi la parte di scrittura, qualche mese. Prima di arrivare a scrivere, però, è passato molto tempo, quasi due anni. Funziona sempre così, con le mie storie. Devo tenerle con me per un po’, prima che sia ora di metterle sulla carta.”
Ripensamenti sulla trama durante la stesura?
“Dal momento in cui ho iniziato a scrivere, no. Cambiamenti, ma non sull’idea di base. Per cominciare ho bisogno di sapere già dove sto andando, il finale, gli snodi principali della vicenda. Diciamo che la strada è tracciata fin dall’inizio, il viaggio è chiaro, restano le tappe intermedie.”
Quando scrivi, prevalentemente?
“In pausa pranzo e dopo cena. Sempre negli stessi posti. Ho bisogno di un luogo tranquillo, che sento mio, altrimenti mi distraggo.”
C’è qualcosa che ti ispira in particolare per la scrittura?
“L’osservazione della realtà, in generale. Cerco di raccontare il mondo in cui vivo, le crepe della contemporaneità, i lati che restano in ombra, del nostro mondo e degli esseri umani. Viviamo un’epoca superficiale, smemorata e crudele. Le ispirazioni e i temi sono molti.”
Pensi alla reazione dei lettori, mentre scrivi?
“No. E non è presunzione, solo il tentativo di rendere il servizio migliore al lavoro che sto facendo, scrivere una storia. In quel momento il lettore non c’è, come non c’è nulla di quanto può accadere a un romanzo dopo la sua uscita. Solo il mondo che va raccontato e i suoi personaggi.”
Com’è l’esperienza con Mondadori?
“Da un lato in continuità con il passato, tutti i romanzi che ho pubblicato tranne l’ultimo sono usciti con un editore del gruppo. Dall’altro completamente nuova, visto che la casa madre è una macchina molto più grossa e potente. Ecco, cambia la cilindrata, per semplificare. Dal punto di vista umano mi trovo molto bene con tutti.”
Prossime presentazioni?
“Sarò a Ravenna il 26 ottobre, a Bookcity a novembre, sto organizzando la presentazione in montagna e il prossimo calendario. Ora si va in giro ad accompagnare il romanzo.”
Prossimo romanzo?
“Ho un’idea in testa che ho cominciato a scrivere da un po’. Ma non ti dico altro, è troppo presto.”