Non molti giorni orsono, ho sentito teorizzare in modo piuttosto convinto che il futuro del Belpaese, anche in forza della globalizzazione, si gioca intono alla capacità di sapersi innovare, il che ha sicuramente ineccepibili ragioni, né dovrebbe impensierirci più di tanto visto che, su tale piano, l’estro, l’ingegno, e la maestria di casa nostra non temono rivali, ma se noi fossimo proiettati solo e soltanto in avanti, ossia verso il nuovo, non saremmo così attratti, come pare, dai racconti sul passato.
Racconti che troviamo non di rado anche su Redacon, dove sembrano peraltro incontrare costante interesse, e che ci riportano indietro nel tempo, alla vita che conducevano i nostri nonni e loro padri, e ci fa semmai piacere immergerci in quella vecchia ed avvolgente atmosfera - pur se gli “odori” di una volta si sono estinti con la fine della “ruralità” di allora - il che starebbe in apparenza a dirci che anche il mondo moderno e tecnologico ha in fondo bisogno di ritrovare le proprie radici.
nel turbinio di continue trasformazioni
Orbene, se resta viva ed autentica l’affezione che ci lega a quegli anni andati, dovremmo prenderli in qualche modo a riferimento, o comunque tenerli presente e non metterli nel dimenticatoio, anche per avere una sorta di ancoraggio che ci aiuti a non perdere la nostra identità, e a non disorientarci nel turbinio di continue trasformazioni in cui siamo immersi, ma incoerenze e contraddizioni sono però dietro l’angolo (non a caso, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, come si usa dire).
L’attaccamento alle tradizioni non comporta affatto che ci si privi di quanto possono offrirci la scienza e la tecnica, e lo riprova la storia dei popoli, dove si annoverano secoli ricordati come quelli delle grandi scoperte ed invenzioni - talora dai tratti piuttosto “rivoluzionari” - molte delle quali hanno cambiato il nostro vivere, facilitandolo ed affrancandoci da tante fatiche, ma le nostre peculiari usanze si erano nondimeno mantenute e tramandate nell’arco di una così lunga stagione.
una curiosità di fatto superficiale e passeggera
Si ha cioè l’idea che durante tutti quegli anni il perenne conflitto tra tradizione e innovazione avesse trovato spazi di convivenza, mentre oggigiorno, pur con tutto il nostro “sapere”, un tale “equilibrio” sembra difficilmente raggiungibile, o più contraddittorio e precario, basti pensare, per fare un esempio semplice, al calante numero di famiglie che festeggiano ricorrenze come la sagra del paese, mentre fino a qualche decennio fa in pochi vi rinunciavano, salvo poi appassionarci un po’ tutti alle consuetudini di una volta.
A questo punto, viene da pensare che, a conti fatti, la “”curiosità” verso il passato di noi “moderni sia di fatto superficiale e passeggera, tanto da esaurirsi velocemente senza lasciar segni, perché se ci avesse almeno insegnato qualcosa il rispetto sobrio ma tenace dei nostri nonni verso la terra, dalla quale traevano di che vivere, ora non dovremmo correre in fretta ai ripari per “salvarla”, una “corsa” che pare già foriera di tensioni visto che c’è chi paventa l’affermarsi e prevalere di un ecologismo ideologico ed autoreferenziale.
(P.B.)
La frase famosa di Mark Twain sulla creazione è: ”Nulla è stato creato invano, ma la mosca ci è andata vicino”. Il dubbio, unica ed eterna certezza della natura umana: Mark Twain avrebbe detto ‘mosca’ se fosse stato un lettore di Redacon?
Giovanni Annigoni
Ho cercato di “decifrare” il significato di questo commento di ieri, e sono arrivato alla conclusione, non so quanto giusta od errata, che le mie righe siano considerate inutili, o quasi, da parte del suo Autore.
Se così fosse potrei anche dispiacermene ma dovrei comunque prenderne atto, ed è in ogni caso una eventualità che va sempre messo in conto quando si decide di scrivere qualcosa sull’uno o altro argomento.
P.B. 03.10.2019