Nella Messa del 16 agosto, il cardinale Re ha ricordato Giovanni Riva, il cui carisma generò l'Opera di Nàzaret.
“L’appartenenza al cristianesimo richiede un notevole risvolto di responsabilità, di libertà e di rischio, perché è una scelta libera”: con queste parole, tratte dal volume “Piccola Antropologia”, il professor Giovanni Riva (6 ottobre 1942 – 22 aprile 2012) presentava un suo ciclo di lezioni agli studenti universitari nel Paese del Sol Levante.
Venerdì 16 agosto, nella chiesa parrocchiale di Casina - il Comune dove agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso il docente si era trasferito da Milano per insegnare lettere e filosofia in alcune scuole reggiane - unita ai familiari si è raccolta in sua memoria un’assemblea cosmopolita, con persone provenienti oltre che dal Giappone da Argentina, El Salvador, Guatemala, Honduras, Messico, Venezuela e da diverse città dell’Europa e dell’Italia.
L’occasione che si è festeggiata è il ventesimo anniversario del riconoscimento dell’Opera di Nàzaret quale associazione privata internazionale di fedeli di diritto pontificio.
A presiedere la Messa, a mezzogiorno, il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto emerito della Congregazione per i Vescovi e presidente emerito della Pontificia Commissione per l’America Latina: 85 anni portati con una vigoria stupefacente.
Anche il parroco, don Carlo Castellini, nel suo saluto iniziale ha detto di essersi sentito subito messo a suo agio dall’immediatezza e dalla simpatia dell’ospite, che “ci fa sentire vicina la paternità di papa Francesco e la maternità della Chiesa”. Ha concelebrato il vescovo Massimo Camisasca; tra gli altri sacerdoti don Nicola Riva, figlio di Giovanni, e don Creardo Cabrioni, che pur nel nascondimento ricorda i suoi sorridenti sessant’anni di ministero presbiterale.
Doveva esserci anche l’arcivescovo Claudio Maria Celli, che all’ultimo ha preferito rimanere vicino al cardinale Achille Silvestrini, storico amico dell’Opera di Nàzaret, in difficoltà di salute (Silvestrini è poi deceduto il 29 agosto, ndr).
Indici dell’internazionalità della celebrazione - a cui hanno preso parte anche il sindaco e il comandante della stazione dei Carabinieri di Casina, insieme a rappresentanti dei gruppi dell’Appennino reggiano ricerca e soccorso, della Polizia Locale, della sezione locale dell’Associazione Nazionale Alpini protezione civile, di Avis, Croce Rossa e altre associazioni di volontariato - sono state letture e intenzioni di preghiera scritte anche in altre lingue nel sussidio liturgico, i testi dei canti, eseguiti a cappella, o gli auricolari con il traduttore simultaneo indossati da vari fedeli tra i banchi.
Nel suo intervento introduttivo la presidente dell’Opera di Nàzaret, Maria Paola Azzali, ha riannodato i fili della storia tornando al carisma educativo di Riva: “Per la sua chiara e mai nascosta fede cristiana e l’interesse che Giovanni Riva suscita nella scuola e nella presenza in alcuni quartieri poveri della città, diversi giovani si radunano attorno a lui, costituendo un primo gruppo chiamato One Way, espressione chiara di ciò che li aveva conquistati, ovvero una proposta radicale per la vita”.
One Way fu il nucleo di quella realtà che dal 1976 in poi sarebbe stata chiamata Opera di Nàzaret, un’esperienza cresciuta in ambienti e condizioni di vita differenti, ovunque interessandosi delle sfide e dei bisogni della popolazione, “soprattutto quelli che riguardavano l’educazione, la cultura, la pace, la giustizia, il lavoro e la libertà”. Da Giovanni Riva, ha concluso Maria Paola Azzali, “abbiamo imparato la passione per l’incontro umano, per l’invito alla condivisione dell’esperienza e la stima per ogni possibile fraternità”.
Era il 15 agosto 1999 quando l’Opera di Nàzaret riceveva l’approvazione pontificia; all’epoca in diocesi l’assistente spirituale era don Nando Barozzi, parroco di Casina: lo sarebbe rimasto fino alla morte, avvenuta nell’estate 2010.
Commentando le letture (Is 54,1-10; Salmo 22; Ef 1,3-14; Gv 17,9-26), il cardinale ha sottolineato che Giovanni Riva “fin da giovane aveva scelto Cristo come la stella polare verso la quale orientare l’intera sua esistenza. Cristo unica via, e da lì "One Way”. Poi si è rivolto a membri e simpatizzanti dell’Opera di Nàzaret: “Siete chiamati ad essere fermento evangelico in una società che sta perdendo i valori cristiani e i riferimenti spirituali. Con la forza delle idee e ancor più con l’esempio della vostra vita e con le vostre attività dovete contribuire a costruire una società migliore, rispettosa dell’uomo e dei diritti umani, ma soprattutto aperta verso Dio”.
Come ricordo dell’anniversario del riconoscimento pontificio, Re ha lasciato un quadruplice invito ad avere fiducia.
Anzitutto nell’associazione: “In questi anni voi siete cresciuti e ora siete ramificati in varie nazioni del mondo, ma l’importanza non è tanto essere in molti o in pochi; quello che conta è essere sale e luce nella società di oggi”.
Il cardinale ha raccomandato quindi “amore incondizionato alla Chiesa”, istituzione sempre sorretta dallo Spirito Santo.
Ancora, fiducia nel nostro tempo: “Purtroppo notiamo che è un mondo secolarizzato, in cui la fede in Dio si è indebolita, però in pari tempo è anche un mondo che ha fame di Dio”.
Infine, parlando della passione educativa che segna l’Opera di Nàzaret: “Aiutate la gioventù - l’esortazione di Re - a sviluppare la propria personalità e a orientarla verso la via del bene, la via della verità. Aiutare la gioventù sulla via del bene e della verità è certamente l’aspetto più bello e più nobile della fatica dell’uomo e della donna su questa terra”.
Al termine Camisasca ha spiegato le tre ragioni di gioia e di preghiera che lo hanno accompagnato alla liturgia di Casina.
A proposito del ventennale - si è chiesto - che cosa un vescovo diocesano può desiderare se non che i fiori che nascono nella terra che Dio gli ha affidato diventino frutti? Di qui la domanda di una presenza sempre più efficace, gioiosa, vera e incisiva dell’Opera di Nàzaret nella nostra Diocesi e nelle Chiese di tutto il mondo dove l’associazione è presente.
“La Chiesa di Reggio Emilia ha bisogno di voi!”, l’affettuoso appello del pastore.
Il secondo motivo, la possibilità di riaccostarsi alla figura di Giovanni Riva.
Camisasca lo ha conosciuto quando erano ragazzi, con un’intensità di comunione e di rapporti; entrambi abitavano al Corvetto, a Milano, e le madri erano amiche del cuore. Di Riva, oltre ad alcune lettere, il vescovo Massimo conserva una lunga prefazione manoscritta alla prima biografia di don Giussani: documenti - ha dichiarato - che sarebbe pronto a donare per l’allestimento di un futuro archivio sul professore.
Camisasca ha citato come terza ragione di festa l’opportunità di ritrovare in diocesi, dopo i suoi trentacinque anni di vita romana e di frequentazione con Giovanni Paolo II, il cardinale che del santo polacco fu uno dei maggiori collaboratori, nonché di rivederlo “forte come un leone”, con riferimento alla terra d’origine del porporato (Brescia, Leonessa d’Italia).
Nella storia della Chiesa vent’anni sono un tempo piuttosto breve, e questo incontro non è servito solo a ringraziare per la giovane storia dell’associazione internazionale, quanto ancor più per invocare aiuto sul futuro, affinché l’Opera di Nàzaret continui a essere “fermento evangelico” nel mondo.
(La Libertà, edizione 04/09/'19)