Lo abbiamo incontrato per due chiacchiere. Giacca di pelle, abbronzatura leggera, un accenno di barba incolta. Questa sera si esibirà a Palazzo Ducale di Castelnovo ne’ Monti assieme a Vania Tronconi e Silvano Scaruffi per la mostra di Alessandro Toni “Il gesto di ognuno”.
Sappiamo che ha preparato una performance artistica intitolata “I nostri stupidi vent’anni”, con la quale ha debuttato a Ligonchio per la rassegna Cose nelle bogge, e con la quale l’8 settembre si esibirà all’AnteFestival: un festival con l’obiettivo di parlare di giovani facendo parlare i giovani.
La prima domanda che vogliamo farti è molto semplice: di cosa parla la tua performance?
In realtà non lo so nemmeno se è una performance; ho un microfono, leggo delle cose che ho scritto, in sottofondo ci sono delle musiche, e nel frattempo, dietro di me, viene proiettata una video installazione. Sono tanti video, piccoli e brevi, ripetuti in loop. È nato un po’ per caso. Volevo fare qualcosa che potesse raccontare le cose per come le vedo io, che non è di certo il modo migliore di vederle, ma è forse un modo particolare di raccontarle.
Il titolo è parecchio suggestivo. I nostri stupidi vent’anni. Che significa?
È il titolo di un romanzo che ho scritto e nessuno ha letto. Qualche persona sì, a dire il vero. Ma non è un romanzo pronto, e questo lo so. Però pensavo fosse ingiusto lasciarlo lì, ad aspettare che le cose accadessero, così ho deciso di farle accadere.
Leggo dei brani, dei frammenti, di quel romanzo che deve ancora uscire, e anche altre cose. I nostri stupidi vent’anni è una frase che ci dicevamo spesso io e una ragazza con cui uscivo tempo fa. Questa ragazza non la vedo da parecchio, ma l’idea è rimasta. Mi sembra un’idea forte, hai ragione. Mi sembra che ci sentiamo sempre stupidi, a vent’anni. Ma ci sono accadute talmente tante cose che non c’è nulla di stupido nella nostra vita, in quello che facciamo, nel modo in cui ci sentiamo. Abbiamo paura, tutti i giorni, e abbiamo coraggio, tutti i giorni.
Quindi è la presentazione di un libro prima ancora che esca il libro...
In un certo senso sì.
È un messaggio generazionale, il tuo?
È un insieme di cose. In quei video ci sono ragazze che si spogliano, ragazzi che si buttano da cinquanta metri d’altezza, ragazze che si rivestono. C’è un pezzo di vita che abbiamo vissuto. Io e le persone che mi stanno accanto. Abbiamo vent’anni, o qualcuno di più. Ora, ad esempio, ne ho un po’ di più. Ma è ciò che mi circonda, e non posso fare altro che esserne attratto, odiarlo, amarlo, farmi ispirare.
A proposito di ispirazione, c’è qualcosa in particolare che ti ha ispirato a scrivere i brani che leggerai e a girare i video che proietterai?
Una cosa che mi è servita parecchio, credo, è stata studiare. Che è una banalità, ma è vero. All'università, in triennale, abbiamo fatto un esame di Grafica e Videocomunicazione, con i professori Marco Furini e Damiano Razzoli: è stata la prima volta che ho provato a scrivere, girare e montare un video. Quando abbiamo terminato, con i miei compagni di università, avevamo l’idea di aver creato qualcosa di veramente nostro.
Poi mi sono laureato, e ho continuato gli studi: Pubblicità, comunicazione digitale e creatività d’impresa. Avevo sempre le mani in pasta, insomma. Anche qui ho affrontato una materia che mi ha aiutato parecchio: Linguaggi intermediali, con il professor Nicola Maria Dusi. C’erano certe lezioni in cui ci mostrava video installazioni, e ci raccontava di come gli artisti contemporanei tendano a mischiare le diverse arti per creare una nuova commistione di linguaggi. Ho pensato che anche io avrei potuto farlo, e l’ho fatto.
Ok, ma nello specifico di cosa parlerai? E quali saranno i brani in sottofondo? Non ci dire che hai scritto pure quelli perché non ci crediamo...
No, infatti hai ragione: i brani non sono miei. Sono di una band che fa post-rock e ambient. Si chiamano Staindubatta e li ho conosciuti personalmente grazie a Silvano Scaruffi, che sarà con me questa sera. Mi sembrava che suonassero bene con il mood generale del tutto e infatti suonavano bene.
Le cose di cui parlerò hanno a che fare con quella che è la mia vita: le persone che se ne sono andate, le donne che ho amato, il rapporto con mio padre. L’appartenere ad una certa classe sociale e il dovercene fare i conti quotidianamente. Saper soffrire, andare avanti, costruire, e a volte, tirare giù tutto.
Ma questa tua performance la porterai anche al di là dell'Appennino: sarai ospite all'AnteFestival di Novellara, raccontaci come è successo.
Ho un amico che ho conosciuto ai tempi di TeleReggio, mi fa: “C’è questo festival, secondo me dovresti partecipare, anche se il bando è chiuso. Ti do il numero dell’organizzatore e glielo proponi, magari ti dice di sì.”
Mi piaceva l'idea che esistesse un festival indipendente, di tre giorni, in cui i protagonisti veri fossero gli anagraficamente giovani. Che ci fosse uno spazio vero dove mettersi in gioco e confrontarsi. Magari anche crescere.
Così ho contatto Claudio Junior Melioli, gli ho raccontato di cosa si trattava, e mi ha detto subito di sì, che trovavano un modo.
Per me è un regalo splendido.
Esattamente cos’è l’AnteFestival?
AnteFestival è un progetto ideato da un’associazione senza scopo di lucro: Artù Aps, fondata da ragazzi tra i 18 e i 25 anni. Hanno la mia età, più o meno, e mi piaceva il fatto che lavorassero tanto per promuovere l’arte in ogni sua forma.
È diviso in diverse serate, giusto?
Esatto: dal 6 all’8 settembre. Ci sono dei workshop e laboratori con esperti durante le giornate, mentre le esibizioni performative si terranno alla sera. Si esibiranno una ventina di artisti in tutto. È pazzesco, io ancora non riesco a crederci. Non tanto per me, ma per la bellezza del festival in sé. A partire dalla location: la Rocca dei Gonzaga.
È questo che ti ha spinto a proporti all’AnteFestival?
Questo e il fatto che il loro obiettivo principale è connettere le persone tra di loro.
Le persone, non solo gli artisti. Favorirne l’incontro, proporre modalità di condivisione di idee. Lasciare che le emozioni si mischino e si intersechino tra loro.
Questo vale molto.
Buona fortuna, allora, Gabriele. Per questo progetto e per “I nostri stupidi vent’anni”.
Grazie mille, e buona fortuna anche a te.
Buona fortuna a chiunque ci stia leggendo.
Buona fortuna a tutti quelli che stanno provando a trasformare il loro dolore in qualcosa di buono, che è l’unico vero gesto che ci può ancora salvare.
Silenziosamente. Ma facendo un casino pazzesco.
(Organizzazione evento “Il gesto e la parola: libere risonanze di crinale”)