Amazzonia e Appennino c’è qualcosa che si deve e si può fare qui e subito? A rispondere, dall'Appennino, è Fausto Giovanelli, presidente del Parco nazionale dell'Appennino tosco-emiliano.
"Ogni singola persona così come i grandi del G7 dovrebbe dare una risposta. Il Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano, che per oltre il 70% è coperto da boschi, ha sicuramente il dovere di darne una e subito. Al contrario che nell’Amazzonia, i boschi nel Parco e in Appennino sono cresciuti e crescono. C’è tuttavia la possibilità e l’urgenza di fare qualcosa, per esempio aumentare e forse raddoppiare la capacità dei
nostri boschi di trattenere anidride carbonica".
E noi lo facciamo?
"Da questo punto di vista siamo in difetto, non basta la tradizione. Siamo – come si dice – ricchi di boschi poveri. E’ necessario intervenire per aumentarne la biodiversità, la resilienza ai cambiamenti climatici e anche la capacità di catturare e trattenere CO2 nella biomassa e nel suolo".
Come intendete parlarne e agire quindi?
"Per questo apriamo a partire da oggi, 29 agosto,alle 16,30, a Rigoso (Parma) un forum - tecnico e politico tecnico politico, aperto al pubblico - permanente per cambiare visione, azioni e pratiche dell’economia boschiva d’Appennino. Questa ha ruotato sempre attorno alla produzione di legna da ardere. Il futuro di questa economia, invece, si condensa nel valore del bosco come servizio ecosistemico, mitigazione del riscaldamento globale e biodiversità. Bisogna passare dalla vendita di legna da ardere alla vendita dei crediti di carbonio. Non si può fare dalla mattina alla sera, ma bisogna cominciare subito. Il Parco non adotterà divieti né misure coercitive. Proponiamo di valutare con tutti i titolari di diritti degli attori pubblici e privati la possibilità di indennizzare la rinuncia ai tagli periodici e quella di sostenere forme di conduzione del ceduo più idonee a trattenere CO2 nei suoli oltre che nel legno. Proporremo accordi volontari con privati e usi civici. Confronteremo valutazioni economiche e scientifiche, considereremo possibilità amministrative per sostenere la riqualificazione di una filiera del legno che oggi qui è di basso profilo e di scarsa redditività".
Quindi il bosco dell'Appennino può essere utile nella lotta al cambiamento climatico?
"Sì. La foresta, chi la conosce chi la gestisce e chi la vive, possono essere i protagonisti di una battaglia contro il global warming e costruire su questo anche circuiti economici e di lavoro più attraenti , remunerativi
e moderni. Nell’incontro del 29 a Rigoso comunicheremo anche un primo programma di interventi già definiti per un milione di euro (finanziati dal Ministero dell’Ambiente) per: la certificazione di sostenibilità della gestione forestale di tutta l’area Parco; azioni sul terreno di arricchimento di biodiversità e resilienza al cambiamento climatico. Queste azioni si aggiungono ai consistenti interventi già annunciati dalle regioni nei giorni scorsi di cui è stata data notizia nei giorni scorsi. Investiamo dunque contemporaneamente in azioni dall’immediata ricaduta economica e ambientale e in un parallelo e continuo confronto
che dovrà far crescere in tutta la Riserva di Biosfera l’approccio ai temi del bosco e del clima".
Anche al Chiesa si interessa al tema.
"Ed è per questi motivi - conclude Giovanelli - che riteniamo che l'incontro di oggi rappresenti anche il nostro modo di rispondere all’appello della Conferenza Episcopale Italiana per la giornata della Custodia del Creato del 1 settembre".
Condivido pienamente l’idea del Presidente del Parco Nazionale; sarebbe interessante che un proprietario di un bosco potesse avere la possibilità di valutare se tagliarlo o mantenerlo, ma se decide di mantenerlo deve ricevere in cambio un indennizzo in quando è l’intera popolazione mondiale a ricavarne dei benefici climatici. Proprio in questi giorni stiamo vedendo che tante Nazioni del mondo riconoscono al Brasile milioni di euro purchè riduca il taglio degli alberi della foresta amazzonica, ma la stessa funzione, nel loro piccolo, la fanno le foreste del nostro Appennino Tosco Emiliano, ma da noi non viene riconosciuto nulla, anzi su questi boschi si pagano tasse. Credo che il concetto proposto dal Presidente del Parco, se ho compreso bene, meriti di essere approfondito, se il bosco è solo un costo conviene cederlo ai boscaioli e ricavarne almeno le spese; se invece decido di non tagliarlo per 20/30/40 anni, qualcuno dovrebbe riconoscere qualcosa.
Franzini Lino
Per piacere non diciamo fesserie, sarebbero boschi impenetrabili, e poi in montagna la legna la bruciamo dalla notte dei tempi perché in inverno ci dobbiamo scaldare, meglio quella che altri combustibili.
Anonimo
Che mondo strano questo. Fino a pochi anni fa tutto era proteso allo sfruttamento dei boschi in Appennino e venivano organizzati incontri e convegni per promuovere filiere del legno e centrali a biomasse ovunque, persino il regolamento forestale regionale era proteso ad aumentare il taglio del legname, ora si cambia rotta e fortunatamente si prende atto che i boschi possono avere anche un diverso valore. E’ solo di pochi anni fa il disboscamento di monte Leto, legalmente autorizzato e concesso in cambio di pochi soldi, il risultato della devastazione è ancora evidente e sotto gli occhi di tutti ma allora venne considerato un intervento necessario, quasi un’opera buona. Si sono forse pentiti ora i promotori di allora ?. Da anni a livello europeo si parla di Patrimonio Verde, di investimenti sul mantenimento di zone boscose; alcuni paesi del nord hanno da tempo progettato ed investito su questo, qui ci si arriva adesso, stimolati da quanto sta succedendo nel mondo e richiamandosi ad una enciclica di qualche anno fa. In un mondo che corre, sono tempi di reazione troppo lenti ma per cercare di guardare e considerare le cose sotto aspetti diversi, per cambiare, non è mai troppo tardi. Speriamo che l’obbiettivo sia più ambizioso e nobile dello spendere il milione e duecentomila euro previsti per il pur lodevole progetto di creare una nostra piccola Amazzonia.
Antonio D. Manini
Prima di scrivere che si dicono fesserie sarebbe bene conoscere la proposta che nulla cambia in merito alle attuali disposizioni sul taglio dei boschi. Le attuali normative sul taglio dei boschi restano tali e quali, chiunque può tagliare ciò che vuole, dove vuole e quando vuole; chi taglia legna non è minimamente penalizzato da questa proposta; questo mi è sembrato chiaro, non c’è nessun vincolo o veto per i boscaioli o per i privati che vogliono tagliare i loro boschi; il bosco è una ricchezza per la montagna e per chi lo taglia e nessuna legge lo deve penalizzare. La proposta fatta è un’altra cosa, la proposta vorrebbe indennizzare chi decide di non tagliare il bosco e riconoscere a costoro un contributo equivalente al valore ecosistemico. Considerando che sul nostro Appennino ci sono tanti boschi, molti di questi, diciamolo chiaramente, inaccessibili a chiunque, compreso ai boscaioli, perchè non avvantaggiarsi di questa proposta che riconoscerebbe ai proprietari un piccolo indennizzo?. Il mio dubbio è che difficilmente si concretizzerà.
Franzini Lino
La mia generazione ha avuto una certa qual dimestichezza e familiarità con la legna da ardere, visto che agli esordi, ossia all’epoca della nostra giovinezza, moltissime case si scaldavano ancora con le tradizionali stufe, e così succedeva anche per non poche aule scolastiche, poi fu la volta dei combustibili fossili, quali gasolio e gas, salvo poi ritornare in questi anni ad un impiego abbastanza diffuso dei materiali legnosi, anche in forma di “pellet” o cippato, sotto la spinta di motivazioni varie, tra cui quella di ricorrere quanto più possibile alle energie rinnovabili, dal momento che le altre non sono inesauribili.
Va da sé che chi è cresciuto in detta logica si è parimenti abituato a considerare del tutto normale il taglio dei boschi, ed il loro rinnovo o avvicendamento, e sono inoltre in buon numero quanti si sono “convertiti” o “riconvertiti” più di recente all’utilizzo della legna, semmai dotandosi di impianti abbastanza costosi, mentre oggi sembra giungerci un messaggio abbastanza diverso, posto che si dovrebbe “bruciare meno legna” così da conservare quanto più possibile il nostro patrimonio boschivo, nell’ottica di aumentarne la funzione ambientale quale trattenitore di anidride carbonica.
L’obiettivo di abbassare il tasso di CO2 nell’atmosfera è tutt’altro che secondario, e può far altresì presa e tenerezza l’immagine della foresta che da figlio adolescente vuole diventare grande – come scritto nell’odierno articolo di Redacon, sempre in tema, dove si guarda ai boschi appenninici come alla nostra Amazzonia – ma occorre fare in modo che chi si è rimesso a bruciar legna nella propria abitazione, anche convinto di far buona cosa sul piano ambientale, non si senta ora un po’ “colpevole” di scarsa attenzione e sensibilità proprio verso l’ambiente stesso (messo di fronte a queste proposte innovative).
Da ultimo, nei due articoli di Redacon sull’argomento – ossia il presente e quello che avanti citavo, il cui titolo inizia così “Appennino: 19.000 ettari di bosco….” – non mi sembra di aver visti citati il Decreto Legislativo 03.04.2018, n. 34, e neppure il Regolamento regionale 01.08.2018, n.3, giustappunto in materia di foreste e filiere forestali, anche se immagino che a Rigoso se ne sia parlato, ma sarebbe comunque interessante capire, da lettore di questo giornale online, come l’iniziativa qui descritta od abbozzata si rapporti e connetta con la normativa vigente nel settore (una normativa peraltro piuttosto recente).
P.B. 01.09.2019
Quando sentiamo parlare delle vaste aree boschive presenti nell’uno e altro Continente, cui si attribuisce la funzione di “polmone verde” del Pianeta, viene anche da pensare alla progressiva deforestazione segnalata in talune di dette aree – che sarebbe alquanto consistente, e di fatto inarrestabile, secondo quanto capita abbastanza spesso di leggere, od ascoltare – con il conseguente ridursi della loro funzione “riparatrice” riguardo all’aumento di CO2 (circostanza che desta non poca preoccupazione a vari livelli, specie guardando al futuro).
In ogni caso, se, come sembra, tale deforestazione ha il compito di dar spazio a zone di pascolo, o a vari tipi di coltivazione, senza dunque prevedere interventi di rimboschimento, poco o nulla vi è in comune con il convenzionale taglio dei nostri boschi, tanto che pure all’inizio di questo articolo se ne rimarca la differenza col dire “al contrario che nell’Amazzonia, i boschi nel Parco e in Appennino sono cresciuti e crescono”, ed è giusto qui, ossia nell’articolo stesso, che mi par di cogliere una certa qual contraddizione (per le ragioni che qui sotto cerco di esporre) .
Infatti, stando almeno alle informazioni in mio possesso, la capacità degli alberi di catturare CO2, rilasciando poi ossigeno, sarebbe più bassa negli esemplari più vecchi, circostanza spiegabile col fatto che l’utilizzo di CO2 serve alla pianta per vivere, ma anche per accrescersi, cioè formare legno, il che avviene soprattutto nelle piante giovani in via di sviluppo, e se questa tesi avesse fondamento, quanto a “ciclo del legno”, dovremmo concludere che il consueto taglio e rinnovo dei nostri boschi rende un buon servizio anche alla biosfera (e non vedrei pertanto il motivo di “bruciare meno legna”)..
P.B. 03.09.2019
Mi scusi ma la contraddizione appare evidente. La funzione di sottrazione di CO2 dall’atmosfera non avviene tramite la “respirazione” ma tramite l’immagazzinamento del carbonio nella biomassa. E’ ovvio quindi che un albero maturo più “pesante” contenga maggiore CO2 di un alberello più leggero.
Credo che sia questa la funzione delle foreste. Che producono una quantità di ossigeno marginale rispetto a quella prodotta dagli oceani.
Cordialità.
AG
Buongiorno P.B. La sua osservazione secondo la quale è utile dal punto di vista ambientale tagliare e bruciare legna per rinnovare gli alberi a mio avviso non ha molto senso. E’ vero che gli alberi giovani assorbono più CO2 di quelli vecchi, ma è anche vero che bruciando la legna si reintroduce nell’atmosfera tutta la CO2 immagazzinata nella pianta durante il suo ciclo vitale, rendendo di fatto vana l’opera di “pulizia” effettuata da quella specifica pianta, che abbiamo usato per la nostra stufa o per il nostro camino.
Andrea
Qualora il commento di AG fosse riferito a quello mio, come sembrerebbe, mi permetto di aggiungere che se il carbonio di CO2 viene immagazzinato nella biomassa, come dice AG, è soprattutto nella formazione del legno, ossia nel crearsi della biomassa, che la pianta in crescita necessita di anidride carbonica (CO2), e dunque la intercetta e “cattura”, togliendola dalla atmosfera per legarla a sé, indi utilizzarla e trasformarla in legno, immagazzinando il carbonio e liberando ossigeno, mentre la pianta “vecchia”, che ha smesso di svilupparsi, ha solo o soprattutto la funzione di “immagazzinamento” (questo almeno è ciò che mi è sembrato di poter capire e dedurre da quanto si può leggere in merito, salvo erronea interpretazione da parte mia).
Va da sé che un albero maturo più “pesante” contenga maggiore CO2 di un alberello più leggero, come scrive AG, ma se il secondo cresce fino raggiungere la dimensione del primo, “mangerà” probabilmente molta CO2 durante il suo sviluppo, e nel caso dei nostri boschi le piante da legno che vanno a rimpiazzare quelle tagliate sono del loro stesso tipo, ed arrivano alla stessa grandezza nutrendosi di CO2, e non va poi dimenticato che le piante vecchie possono anche “morire”, o veder cadere loro rami per senescenza, rilasciando CO2 nel corso della successiva decomposizione, senza contare che se le piante respirano, emettendo CO2 nell’aria, anziché inglobarla, quelle più vecchie forse respirano ancora di più, stante la loro maggiore chioma.
P.B. 05.09.2019
Quanti esperti !!! Il sig.AG ha iniziato un argomento molto valido e potrebbe completarlo informando di quanto la funzione delle acque degli oceani è stata ridotta dalla pellicola di idrocarburi: forse qui si parla della pagliuzza e non si guardano le travi. Personalmente ” bevo ” poco o meglio sono uno che beve un caffe’ al giorno dove spesso si incontra chi ha fatto questa proposta innovativa, ma bevo solo quello e comunque prima di scrivere questo commento ho letto il pensiero di Umberto Eco sui media !!
C.A.
Rispondo ad Andrea con un salto indietro nel tempo, quando noi non c’eravamo ancora e quando dalle nostre parti si riscaldavano praticamente tutti con la legna, o col carbone di legna, ossia prodotti ricavati dal periodico taglio dei boschi, i quali poi ricrescevano e si rinnovavano ogni volta in modo spontaneo, e non credo che esistesse allora un problema di CO2 nell’aria, nonostante il rilascio di CO2 dalla combustione del legno.
Nel senso che in tale ciclo dei nostri boschi si aveva probabilmente una sorta di pareggio nel bilancio tra CO2 incamerata dalle piante e quella rilasciata dal bruciar legna nella stufa, camino…., e se oggi il tasso di CO2 nell’atmosfera ha raggiunto livelli preoccupanti, verosimilmente per cause che poco o nulla hanno a che fare con la legna da ardere, non mi sembra che possa far parte della soluzione il ridurre da noi il taglio e l’ uso di legna.
P.B. 06.09.2019
Quando leggo dichiarato del Presidente del PNATE che occorre passare da “Bisogna passare dalla vendita di legna da ardere alla vendita dei crediti di carbonio.” mi sorge spontanea la domanda:
Ma da quando l’uomo è sulla terra, bene o male si è sempre scaldato utilizando legna, solo con la rivoluzione industriale e l’utilizzo massivo di fonti non rinnovabili e ad alta emissione di polveri e CO2 (petrolio derivati, gas..ecc), si è assistito alla crescita lenta e inesorabile del riscaldamento globale.
Mi pare evidente che se si vuole intervenire occorre certamente “COLTIVARE! IL BOSCO” che significa taglio ceduo, che produce rinnovo costante della copertura arborea. Ma soprattutto dovremmo prendere coscenza tutti che si combatte l’abbattimento della CO2 e emissioni di polveri soprattutto intervenendo dove l’uomo ha operato, giustamente, per migliorare la propria qualità, di vita. quindi nella riduzione drastica di utilizzo di petrolio e suoi derivati, carbone, gas, ecc.
per ultimo ma non per questo meno importante, non possiamo ridurre il nostro appennino ad una “foresta amazzonica di compensazione” con la crescita e la copertura totale boschiva. Anche perchè quando una pianta cresce accumula si CO2, ma quando questa, per svariati motivi, cade, si rompe, e resta nell’ambiente, per la nota legge della trasformazione della materia, “Nulla si crea nulla si distrugge, tutto si trasforma”. di Lavoisier, . rilascia in ambiente tutta la CO2 di cui è composta.
m.b.