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“Dieci piccoli film per qualcosa di nascosto”. Racconti di Emanuele Ferrari. Tre – Il fiume

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Tre – Il fiume

All’inizio, quando avevamo deciso di andare al fiume, c’era solo da scegliere il ponte dove iniziare il cammino. Io i fiumi li ho sempre guardati a lungo dai ponti, anche quelli dove passano le macchine e bisogna stare attenti a non fare movimenti bruschi perché in un attimo puoi finire sotto. I fiumi dai ponti non fanno quasi rumore, sembrano sempre più grandi e più lontani e anche più tranquilli di quello che sono quando ci finisci dentro.

Quando da bambini si camminava sul greto dei fiumi avevamo sempre dietro un piccolo cesto di vimini o una borsina di plastica dove si raccoglievano i sassi e c’erano dei giorni che i sassi belli erano talmente tanti che a un certo punto della camminata ci si doveva fermare, si rovesciava il cesto o la borsina e si faceva la cernita di quelli più belli. Però a quel punto succedeva una cosa strana: che i sassi belli raccolti non erano più così belli, non c’era più l’acqua del fiume che li rendeva lucidi e brillanti, così ogni sasso mi sembrava semplicemente un sasso e niente altro e allora finiva che li ributtavo nel fiume e mi veniva da pensare che tutto quello che si toglie di bello al fiume, una volta tolto non è più bello e che allora è il fiume a fare le cose belle e niente altro.

C’erano dei giorni che io e Stanco camminavamo per ore intere lungo il fiume e a un certo punto il sole iniziava a spegnersi e si allungavano le ombre intorno e lontano le prime macchie rosa del tramonto, ma Stanco non voleva mai tornare a casa e diceva potevamo restare ancora un po’ che a casa ci aspettavano ma sapevano eravamo al fiume e che quando sei al fiume è normale perdere il senso del tempo e non sapere e non vedere più nemmeno che ora è, quanto manca all’inizio della notte.

Stanco alla fine di questo discorso che era sempre lo stesso, si sedeva su una grossa pietra oppure sopra una zolla di terra crepata e secca e non so come aveva sempre in mano un bastoncino e iniziava a disegnare delle forme a caso, sopra la terra o la sabbia e poi con l’altra mano cancellava e alla fine diceva che la cosa più bella per lui era cancellare, perché dopo restavano le ombre e quelli che passavano di lì dopo di noi magari si fermavano e iniziavano a chiedersi di chi erano quelle ombre o quelle strane impronte e allora per Stanco cancellare era come aprire la porta a un piccolo mistero, diceva.

Una volta che era quasi buio ci siamo fermati a parlare sotto un piccolo ponte di legno che ormai non serviva più a nessuno. Le nostre parole avevano un suono più cupo e scuro sotto il ponte e Stanco diceva che in quella parte del fiume e sotto quel ponte le parole erano come le ombre e una volta che si erano dette si cancellavano da sole e iniziavano a viaggiare nell’aria e andare dove volevano loro e chissà dove potevano arrivare e a chi, e cosa anche avrebbero detto. Poi siamo rimasti in silenzio per davvero e alla fine si sentiva solo il rumore di un piccolo torrente che si gettava nel fiume poco distante e dentro quel rumore siamo rimasti fino a quando il sole non c’era più, fino alla fine del giorno e forse anche del tempo.

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