A Castelnovo il 15 agosto, festa dell’Assunta, da sempre è stata chiamata Santa Maria. Ora però voglio andare indietro nel tempo, senz’altro il mio ricordo è antecedente alla seconda guerra mondiale.
Ero molto piccola, perché il ricordo affiora come in un sogno. La mamma mi aveva portato con lei a far visita a una coppia di vecchietti che avevano una casa verso Carnola, ma giù in basso dentro a un bosco. Io li conoscevo, perché quando passavano per andare a messa si fermavano per scaldarsi se era inverno o semplicemente per fare quattro chiacchiere se la stagione era bella. Si chiamavano “Cuddò e Catirra”, da qui il nome della casa “Cà ed Cuddò”.
Era primavera, ma di quelle ancora fredde al ritorno “sfluscava” cadeva qualche fiocco di neve, io stavo male difatti la mamma mi portava in braccio. Arrivate a casa sentivo che diceva:
“A gh’è gnȇu al felsi”, traduco, le è venuto il morbillo.
Poi ricordo il mio lettino col paglione di foglie di granturco e il papà che mi copriva col suo tabarro. Sì ragazzi, allora in certe case non vigeva l’abbondanza come adesso, la coperta imbottita di lana era solo nel letto dei genitori, noi ragazzi ci coprivamo con panni militari e i vestiti che ci toglievamo si mettevano belli stesi sui piedi. Io avevo il privilegio di essere la più piccola, così all’occorrenza, quando mio padre rientrava, mi copriva col suo mantello nero che a me sembrava grandissimo.
Questa è stata solo un’introduzione, ora arrivo a Santa Maria dello stesso anno. Una settimana prima di questo giorno, la mamma mi chiamava:
“Ven a vedre la Catirra e Cuddò”, vieni a vedere i nostri amici.
Passavano diretti alla Pieve, perché c’era la processione che portava la statua della Madonna all’oratorio, poi dopo una settimana la riportavano su.
Erano vestiti tutti e due in modo strano, avevano una veste bianca lunga fino ai piedi quella di lui era legata in vita da un cordone e in spalla portava una mantellina rossa bordata di giallo con un grande cappuccio che gli scendeva sulla schiena fino alla vita e in mano una specie di bastone. La veste di lei invece, era trattenuta in vita da un lungo nastro di seta rossa che con un fiocco le scendeva lungo un fianco, al collo aveva qualcosa, ma non ricordo bene e il capo ricoperto da un fazzolettone bianco con gli angoli ai lati rialzati sopra la testa.
Facevano parte della congregazione dei confratelli e della consorelle si vestivano così nei giorni di grandi feste religiose, specialmente durante le processioni, prima i confratelli, poi le Figlie di Maria, giovanissime con l’abito bianco fino ai piedi e il nastro che cingeva la vita azzurro, dopo le consorelle e dietro tutti i parrocchiani.
Questo è l’unico ricordo che ho di Santa Maria di quei tempi, poi la guerra ha cancellato tutto, dopo i miei ricordi sono più nitidi.
Era una grande festa, la sagra del paese, si cominciava sempre la settimana prima, portando in processione la statua della Madonna nell’oratorio di Santa Maria Maddalena, dove tutte le mattine alle sette veniva celebrata la messa, così i commercianti potevano parteciparvi prima di aprire i negozi e la sera il rosario.
Il quattordici sera poi si riportava alla Pieve, sempre in processione facendo il giro lungo, passando sotto il voltone poi per piazza Peretti. Tutte le finestre erano illuminate e addobbate con le coperte più belle che facevano parte del corredo della padrona di casa. Naturalmente erano le case dei più ricchi del paese, appena uscivi dalla volta c’era la casa delle sorelle Crovi e sopra di loro la trattoria Scaruffi, poi il bar Italia degli Amorosi, in piazza casa Rabotti e Bellini, la farmacia Manfredi, poi giù i Capanni, il balcone dei Casoli e via via gli Agostini fino a Bagnolo e finivi coi Zurli e Marconi. Belle coperte di damasco lucido o velluto dai tenui colori impreziosite da angoli di tovaglie adorne di trine e merletti, su certi davanzali statuette o quadri di Madonne e candele accese.
Non c’era traffico, perciò si saliva dall’Albiaccio, ora chiamato “Martiri di Roncroffio”, poi si girava nello stradone della Pieve, con la cera delle candele che ti gocciolava sulle mani e ogni tanto qualche flambò che prendeva fuoco.
La Madonna veniva trasportata sulla jeep verde di Marconi, attorniata dai preti, dai chierichetti, dalle bimbe con l’abito della prima comunione, poi tutti in fila indiana da un lato e dall’altro della strada, così la processione era lunghissima, sempre prima gli uomini dopo le donne. La Madonna era già alla Pieve e gli ultimi ancora a Bagnolo. Era il tempo della DC e del PC, al passaggio della Statua però, tutti indistintamente genuflettevano, facendo il segno della croce.
La domenica poi le solite tre messe, alle sette per le massaie, alle nove per i ragazzini e i vecchi che si stancavano della lungaggine della messa grande, officiata alle undici da tre preti, forse più, messa cantata dai bravi cantori accompagnati dall’organo a canne. Con l’omelia fatta solitamente da don Oreste Cilloni, con la sua voce metallica e quello sguardo azzurro glaciale che se ti fissava ti faceva sentire in colpa per chissà quale peccato.
Dopo finalmente tutti a casa per il pranzo coi soliti cappelletti che mamma preparava per le grandi feste facendosi aiutare da tutta la famiglia, lesso misto anche la famosa gallina vecchia ne faceva parte, contorno di salsa verde saporitissima con abbondanza di cipolla e aglio, dopo la “brasadèla”, ciambella col buco in mezzo, e noi bambini avevamo il permesso di pucciare la nostra fetta in mezzo bicchiere di vino. Si finiva con la “cucombra” cocomero lucido, rotondo, grosso, pesante, con lo sportellino che il fruttivendolo vi aveva inciso per far vedere il bel colore vermiglio e fatto scendere dentro a un “cavagn”, a un cesto, fino a lambire l’acqua del pozzo in modo che a fine pranzo si presentasse bello fresco con le sue fette a mezza luna.
Un anno ricordo che era arrivato da Sologno Zvanin ed Sassi coi figli, in casa non c’erano abbastanza sedie, ma papà non si perse d’animo, le distanziò mettendovi sopra delle lunghe assi, così diventarono delle comode panche, tutti mangiavano in armonia chiacchierando, ridendo e con vari brindisi alla cuoca.
Nel pomeriggio si tornava in chiesa per i vespri cantati, magari non armoniosi come la mattina, perché qualche voce annaspava in quel mezzo bicchiere in più mandato giù a mezzogiorno, poi la benedizione col “Santissimo” e tutto finiva, con una lunga preghiera.
Dio sia benedetto
Benedetto il Suo santo nome…
E finiva pressapoco così:
Benedetta Maria sempre Vergine
Benedetta la Sua Immacolata Concezione
Benedetta la sua gloriosa Assunzione
Benedetto San Giuseppe suo castissimo sposo
Benedetto Dio coi Suoi Angeli e i Suoi Santi.
La domenica dopo, la statua della Madonna e relativo baldacchino non c’erano più e io non ho mai capito dove la nascondessero.
(Elda Zannini)
Signora Elda, lei è un mito. Io adoro queste storie di un mondo lontano, dove c’erano pochi soldi, ma tanta voglia di stare insieme, nonostante i conflitti mondiali incombessero. Chi non aveva soldi, in quelle occasioni, per onorare la Vergine e far sagra, si inventava di tutto. Tutti partecipavano, nessuno escluso perché non vestito bene o perché “difettato” in qualche modo. Si faceva a gara, mi dicevano, per invitare il prete, i parenti, paesani rimasti soli… ora è sagra tutti i giorni, alle persone fanno a gara per scapparci e non si ride più… tutti a vivere la propria festa da soli, nessuna processione in onore di Santi e la Madonnina nessuno la porta in giro. Chissà cosa penserà di noi poveretta… dirà “come son cambiati i miei figli, eppure io son sempre la stessa”… poveretta… onore a Santa Maria ed a tutte le Maria del mondo.
Mariapia
Grazie ancora per la sua preziosa testimonianza. Sono sempre interessato alle tradizioni di un tempo e curioso nei confronti dei soprannomi delle persone che poi hanno dato il nome a piccole frazioni o località.
Luca L.