Riceviamo e pubblichiamo.
___
Giulio Cattoi è un allevatore di lunga esperienza, la sua azienda compie quest’anno 40 anni ed è una delle poche che ha resistito al progressivo abbandono dell’Appennino, alla sua inesorabile crisi. Una di quelle aziende che, negli ultimi 40 anni, ha consentito al Parmigiano Reggiano di diventare il marchio eccellente che è oggi, con la sua qualità e le sue caratteristiche.
Come per tanti altri piccoli produttori di montagna, però, negli ultimi anni le regole asettiche del Consorzio del Parmigiano Reggiano hanno minato alla base la sopravvivenza della sua azienda e rischiano quindi, se nulla accadrà, di farle chiudere i battenti.
Questi i fatti: fino al 2014 (anno in cui il Consorzio ha rivisto il Piano produttivo 2014-2016) la sua quota latte storica ‒ che lo stesso Consorzio gli aveva sempre riconosciuto ‒ si aggirava intorno al 1.031 quintali. Una piccola produzione, ma che consentiva alla sua azienda di mantenersi attiva, nonostante la crisi e nonostante la difficoltà, per le aziende di montagna, di conferire il proprio latte alle latterie dei dintorni. Nel 2014, però, quando il Consorzio ha emanato il nuovo Piano produttivo e ha rivisto le quote formaggio, non ha tenuto conto della quota storica della sua azienda ma della produzione del 2010, anno in cui Cattoi aveva prodotto, per difficoltà proprie, solo 687 quintali di latte. Questa, dunque, la nuova quota riconosciutagli. Cattoi fece ricorso e i restanti 344 quintali gli sono stati riconosciuti sottoforma di quota mungibile non cedibile.
All’inizio del 2019, Cattoi ha proposto il suo latte a diverse latterie dei dintorni ma nessuna ha accettato di ritiralo per la scomodità logistica della sua azienda, avvolta dalle colline del Comune di Canossa. Ad aprile, dunque, si è rassegnato a cedere una parte della sua quota, per non rischiare di perderla del tutto. Venduti 640 quintali e convinto di possederne altri 391, ha poi scoperto che il Consorzio ha dichiarato decaduti i suoi 344 quintali non cedibili, lasciandolo con una quota di appena 47 quintali. Sostanzialmente la fine della sua azienda. La risposta del Consorzio al suo ricorso e alla sua richiesta di riassegnazione è stata piuttosto laconica: «la informiamo che la Commissione tecnica operativa ha respinto la sua istanza». Non una parola di più, non una spiegazione.
Certo, se Cattoi avesse prodotto latte in pianura, tanti problemi non li avrebbe avuti, né nella produzione né nella distribuzione. Ma in montagna, nell’Appennino canossino, le strade sono più tortuose, le latterie più scarse e la vita più faticosa. Forse le regole dovrebbero tenerne conto, forse casi come questo si dovrebbero trattare con più cura e prevedere quelle eccezioni che potrebbero fare della montagna non un dormitorio per pochi ma una valle viva, ricca e felice, in cui continuare a vivere e lavorare.
Storie come questa sollevano molti interrogativi circa l’attenzione che le regole e la gestione politica dei territori riservano a chi vive la montagna, ai piccoli produttori e a chi si sforza quotidianamente di non doversene andare via.
(Margherita Becchetti)