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Leggende del Caio, tra morti che danzano e misteri del Quattrocento

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Mandragola. Giacomo Agnetti

Sono tre i libri che raccontano, fra gli altri, l'Appennino parmense: Dove il vento si ferma a mangiare le pere. Viaggio sull'Appennino alla ricerca del folletto (Diabasis), Ti segno e ti incanto (Fedelo's Editrice) entrambi scritti da Mario Ferraguti e Basinius (Diabasis), di Domenico Barili.

Basinius, è un avvincente romanzo "tra delitti e misteri", che colloca all'interno della costruzione letteraria personaggi storici realmente esistiti, cominciando dal protagonista. Il lettore ritrova gli stessi luoghi nei quali l'autore, Domenico Barili, ambientò il suo primo libro, Ciao, bella ciao, qui trasposti nel 1400, prima e dopo la nascita di Basinio Basini che, dopo l'infanzia e l'adolescenza a Tizzano, fu insigne poeta alla corte dei Malatesta a Rimini.

C'è dunque, a monte di quest'opera, un lungo e accurato studio delle fonti che hanno aiutato lo scrittore ad approfondire episodi salienti della vita dei suoi personaggi. Il lettore che abbia dimestichezza con questi luoghi dell'Appennino Parmense sarà arricchito nel vederli teatro di vicende remote, cupe, grottesche, tragiche. Mentre coloro che non conoscono Tizzano e dintorni proveranno interesse a visitarli. Perché i sassi che ora vediamo sono la sagoma di quel che resta del Castello di Tizzano, che nel 1400 fu dimora di Vincenzo Basini, padre di Basinio e luogotenente del maniero. La Pieve romanica, spesso citata, costruita ai tempi di Matilde di Canossa, domina ancora la valle in tutto il suo splendore. Sulle orme del libro si può percorrere la bella strada di Fontanafredda, o salire sul Monte Caio, lungo l'antica via del sale, fino all'eremo dove ancor oggi si celebra, il 21 settembre, la festa di San Matteo con gran concorso di popolo.

Tira su lo stomaco. Giacomo Agnetti

Così, mentre sullo sfondo è narrata la grande Storia di un'epoca fulgida che dall'Umanesimo sfocia nel Rinascimento, quando fioriscono le arti, la magnificenza e lo splendore di pittori e poeti, l'autore tesse una storia minore, seguendo il filo di avvenimenti tetri e angosciosi inseriti in un'oscura atmosfera medioevale: sono delitti inspiegabili, efferati, avvenuti mentre Basinio era bambino e confessati dal colpevole in punto di morte allo stesso Basinio.

Mentre Mario Ferraguti, studioso di tradizioni, riti, antiche usanze popolari dell'Appennino parmense, nel volume Ti segno e ti incanto riprende un viaggio lungo l'Appennino e realizza una ricerca accurata e suggestiva sulla concezione popolare della malattia e della cura. In una cultura animistica, dove le persone convivevano con le creature magiche in un'ambigua terra di confine tra bene e male, le malattie erano vissute come spiriti, le guaritrici e le streghe come coloro in grado di donare la salute e di toglierla. Tutto si svolgeva, idealmente, tra la terra e un indefinito altrove, in un universo ambiguo e caotico in cui, per ripristinare l'ordine, erano ritualizzati il tempo e le attività, cercando di mettere fine alla disarmonia che il male porta con sé. Molte malattie erano curate da guaritrici che si avvalevano di erbe ma soprattutto di segni e parole. Scopriamo così un universo conturbante fatto di cantilene sussurrate e segrete, di segni misteriosi tramandati la notte di Natale, di indicazioni celate che rivelano incantesimi maligni, di azioni che portano il male lontano, da dove non può tornare: nel folto di un bosco, nell'acqua corrente, nel fuoco ardente. Ci sono gesti che curano e altri che ammaliano, distruggono, fanno ammalare.

Congrega degli streghi. Giacomo Agnetti

Era un mondo in cui l'uomo entrava e usciva dall'elemento magico con infinita naturalezza, mentre svolgeva le azioni di ogni giorno: andare nella stalla, tagliare la legna, occuparsi degli animali al pascolo, compiere lavori artigianali nella bottega, lavare i panni, cucinare. All'interno di tutta questa rurale concretezza si inseriva l'elemento ultramondano: il folletto, la strega, lo strego, che venivano a creare scompiglio nella casa o nella stalla, che mettevano il male nell'anima e nel corpo e allora occorreva intervenire, scoprendo oggetti incantati portatori di malattie e malocchio, distruggendoli, bollendoli (bollendo così la strega) annientandoli con parole potenti.

Nelle formule di coloro che sapevano "segnare" storte, "fuochi di Sant'Antonio" (herpes), ed altre malattie troviamo sempre una prima parte più arcaica, pagana, animista, nella quale la guaritrice con potenza impone alla malattia o al malocchio di andarsene. Le guaritrici hanno una profonda conoscenza dei due mondi, umano e magico, fanno parte di entrambi e questo le rende forti, capaci di "riportare a casa l'anima" di una persona, di scoprire il malocchio nelle corone o nodi nascosti nei letti o guardando le figure nei piatti riempiti con acqua e olio, individuando la strega la cui anima si cela in una lepre, in una volpe o in una donnola. Eppure, poiché "chi sa fare sa anche disfare", spesso la guaritrice è anche una strega, ed ecco di nuovo sfuggire i confini. Tutto appartiene a un mondo sospeso, ad un tempo incantato, in cui ciò che si vede cela spesso una parte oscura.

La zona geografica nella quale troviamo riscontri di queste guarigioni è vastissima: Monte Navert, Casarola, Bedonia, Agna, Sesta, Corniglio, Pontremoli, Comano, Tavernelle, Tarasogno, Valditacca, Monchio, Neviano Arduini. Cisa Pianadetto, Graiana, Val Ceno, Varsi, Bardi, Scurano, Valle del Magra, Val Bratica, Passo del Cirone. Lunigiana, Alpi Apuane

La donna selvatica. Giacomo Agnetti

Il ballo dei morti nel bosco, la vicinanza sospetta di una volpe, di una lepre o una donnola sotto le cui sembianze si nasconde una strega, si ritrovano a volte tra gli sciamani della Lapponia o fra gli Indiani d'America; la strega assomiglia alla Baba Yaga russa e gli alberi sono sacri  come in Finlandia e la ricetta di Graiana assomiglia a quella della badessa medioevale Ildegarda di Bingen.

Nel libro Dove il vento si ferma a mangiare le pere. Viaggio sull'Appennino alla ricerca del folletto, sempre dello scrittore Mario Ferraguti, troviamo protagonista il figlio di Guido, "Guido del campo dove il vento si ferma a mangiare le pere" di Bosco di Corniglio. Ora che è adulto, che non vive più in montagna, il figlio di Guido porta sempre nella mente un ricordo magico e inquietante della sua infanzia, una sera in cui il padre andò nella stalla perché sentiva strani rumori, e vide la mucca con le trecce nella coda, e il padre gli chiede con insistenza: L'hai visto anche tu con i tuoi occhi, vicino alla mucca? E il bambino dice no, ma il padre gli fa segni della croce sugli occhi. Comincia così il cammino di chi non riesce e non vuole dimenticare. Non vuole dimenticare quel mondo che sente inesorabilmente consumarsi e scomparire di fronte al mutamento dei costumi, della mentalità. Quelle storie antiche si trasmettevano oralmente, erano popolate da esseri di un universo che viveva a fianco di quello reale, degli uomini. Esseri fatati, maligni, dispettosi, pericolosi, a tratti benefici, popolavano la vita della gente di montagna, il loro immaginario ma anche il loro modo di affrontare la vita quotidiana, gesti semplici che diventavano simbolici, diventavano riti per ingraziarsi le creature di quella terra di mezzo fra il mondo e il cielo.

Spadassina. Giacomo Agnetti

Il protagonista, da Bosco, attraversa l'Appennino come un viandante, scrive sul taccuino formule e testimonianze, e scopre un'identità che ora è anche la sua. Riana, Monchio, Pracchiola, Pontremoli, la Lunigiana, Lagastrello, Passo del Cirone, sono alcune tappe del suo itinerario. L'atmosfera della montagna è resa con una prosa intensa e avvolgente. E' un viaggio tra osterie, trattorie, case antiche con le grandi facce sul portone a scacciare gli spiriti, anche se poi quelle facce assomigliano agli spiriti, (portali con angeli o demoni, in questo contesto così vicini); la magia si combatte entrando nel mondo magico. Manlio il fabbro è uno dei testimoni: chi piega il ferro col fuoco conosce i segreti della terra. Come nel Kalevala, il Poema nazionale finnico, c'è il sapiente fabbro Ilmarinen.

Il limite fra realtà e soprannaturale è friabile, labile ed è attraversato spesso. I ponti, dove ci si sente e ci si vede, ne sono il simbolo più evidente.

È un libro realmente magico, emozionante, profondo, una ricerca antropologica nel territorio appenninico sui comportamenti dell'uomo rispetto ai mondi ultraterreni. Perché il folletto vive nel racconto, nelle parole, è così che può continuare a esistere.

(Elisa Fabbri)

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