Come descrivere il Monte Caio dal punto di vista geografico, naturalistico e ambientale, in modo rigoroso ma senza nascondere il tentativo di renderlo attraente?
Dicendo la verità! Il Caio è prima di tutto un monte "normale", quasi il paradigma della normalità, della non eccezionalità.
Si potrebbe dire che non ha esattamente il physique du rôle, In effetti non è altissimo, non ospita specie faunistiche o botaniche di eccezionale rarità, non ha dato i natali a personaggi particolarmente illustri, né ospitato avvenimenti storici che si trovino sui libri di scuola.
In un tempo governato dal sensazionalismo virtuale, ossessionato dal prestazionismo, dalla necessità di stupire sempre e comunque; il Monte Caio è lì, semplicemente bello e normale.
Questo suo stare "nella media" non lo spaventa, né lo sminuisce. Nulla toglie alla voglia di scoprirlo e viverlo, così com'è, nella sua normalità.
D'altro canto lui sembra saperlo, in fondo in fondo, che non è niente male essere un monte tra tanti, se lo si è in una delle catene montuose (gli Appennini) più lunghe d'Europa, in una delle nazioni (l'Italia) più belle del Mondo e in una regione (l'Emilia-Romagna) di importante transizione tra la zona biogeografica continentale, fresca e umida, e quella mediterranea, calda e arida.
Lui sembra saperlo che, se hanno deciso, prima di proteggerlo con un Parco e, poi, di inserirlo nella rete mondiale delle Riserve Biosfera Unesco, qualche motivo di deve pur essere. E infatti c'è.
Ma lui non è né presuntuoso né egocentrico e se ne sta là in mezzo, più adagiato che svettante, con la sua forma di piramide a base triangolare, nell'Appennino sud-orientale della Provincia di Parma.
Troppo timido per le luci della ribalta, sembra aver fatto un passo indietro persino rispetto ai suoi "colleghi" del crinale principale dell'Appennino tosco-emiliano, che svettano l'uno accanto all'altro in direzione nord/ovest – sud/est.
Il Caio infatti si colloca lungo una dorsale secondaria che si stacca quasi perpendicolarmente al crinale principale, correndo in direzione nord-est, verso la collina e poi la pianura.
La sua superficie interessa, fin sulla vetta quasi a volerli stringere in un abbraccio, i territori di ben quattro comuni diversi: Tizzano Val Parma, Palanzano, Corniglio e Monchio delle Corti.
Il Caio appoggia due dei suoi tre lati, quelli più obliqui e scoscesi, a sud sul fondovalle del Torrente Cedra e ad ovest su quello del Torrente Parma, entrambi verso quota 500 m s.l.m.. Da lì ripidi pendii risalgono verso la vetta, segnati da decine di vallette strettissime e incise da piccoli e veloci rii.
Il lato più ampio si apre a ventaglio scendendo dolcemente in direzione nord-est e guarda lontano verso Parma e poi ancora oltre, sopra la cappa di smog della Pianura Padana, verso le vette dell'arco alpino.
È sui due lati più ripidi che il Caio sembra essersi concesso una delle poche "civetterie", le sue pareti rocciose così evidenti, pallide e severe, quasi fossero (e le sono davvero) le cicatrici di una gioventù burrascosa, che il tempo non ha cancellato.
Si chiama Flysch, questa particolare formazione geologica stratificata, da un termine dialettale della Svizzera tedesca che significa "terreno che scivola".
Questo Flysch, che ai nostri occhi appare come una banale e forse monotona alternanza di strati rocciosi spessi, compatti e chiari (calcari) con altri molto più sottili e friabili di colore grigio, in realtà è l'eredità più antica che il Monte Caio ci regala.
E' come se ci volesse far vedere e toccare con mano quant'è lunga la sua storia e quanto profonde siano le sue radici.
Queste rocce il Caio se le è portate dietro, anzi dentro, durante il sollevamento della catena Appenninica (orogenesi la chiamano i geologi) iniziata "solo" circa 20 milioni di anni fa.
Sembra volerci raccontare che, quando la penisola Italiana era ancora coperta da un oceano e sulle terre emerse scorrazzavano rettili giganti, lui c'era già e che le rocce su cui oggi camminiamo lungo i sentieri del Caio sono in realtà il risultato del deposito di materiali solidi trasportati da correnti marine profonde tra 90 e 45 milioni di anni.
Un po' di rispetto per gli anziani, così saggi e ospitali, sembrano suggerire quelle antiche pietre.
Pur nella sua modestia anche il monte Caio la sua cima ce l'ha e non è niente male. L'abbiamo chiamata Cima Bocchialini da quando (1933) vi fu posato il monumento per ricordare il professore e agronomo parmense morto al fronte nel 1915.
Dai suoi 1584 m s.l.m. si gode di una visuale straordinariamente panoramica dove lo sguardo spazia di 360° guardando, da ovest a est, il crinale appenninico principale e a nord la pianura, le città e le Alpi.
Anche il Monte Caio, come quasi tutto il territorio della nostra Italia produttiva e densamente popolata, ha sempre visto l'interazione tra l'uomo e le risorse naturali. Non andiamo in cerca, qui, della wilderness americana o nord europea, ma piuttosto godiamoci l'equilibrato mosaico di paesaggi agricoli, piccoli centri abitati, prati stabili, pascoli, boschi misti di latifoglie, carraie, muretti a secco,
I valori di questa montagna sono tenaci e profondi come le radici del suo grande Faggio che, oggi come 250 anni fa, ci guarda in silenzio. Ne ha vista passare, di gente, sotto le sue foglie! Probabilmente c'era già prima della Rivoluzione Francese, sicuramente prima della duchessa Maria Luigia e dell'Unità d'Italia. Ha visto giovani lasciare i campi per andare a morire in nome della Patria, ha visto gli scarponi chiodati dei Nazisti e il sangue dei partigiani, ha visto tanti contadini scendere verso la città in cerca di benessere e poi molti cittadini risalire verso la montagna in cerca di benessere.
Viviamolo con lenta e terapeutica tranquillità il Monte Caio, quindi.
Solo così scopriremo tutto il suo valore, nelle fresche giornate d'estate, oppure avvolti dai caldi colori autunnali, tra le colorate fioriture primaverili come nei freddi e limpidi giorni d'inverno in cui il sole si specchia nella neve.
Lui ci aspetta, lì, senza ansia da prestazione, pronto a lasciarsi scoprire con lentezza e normalità. Sempre.
(Marco Rossi)