La Brexit, vista con gli occhi di un Appennino che ha nel suo Dna l'emigrazione. Oggi, a raccontarla, sono le parole di Federica Beretta, nocetana doc residente a Londra dove, a soli 28 anni, dirige la prestigiosissima Opera Gallery di Bond Street, incarico che le è valso il premio "Talented Young Italians" assegnato dalla Camera di Commercio italiana in Uk ai più talentuosi giovani dell'anno.
Federica, partiamo con una tua breve biografia: chi sei, cosa facevi in Italia e cosa fai oggi a Londra?
In Italia lavoravo per la Gazzetta di Parma. A Londra sono arrivata per specializzarmi in Art management: ho studiato alla City University e al Sotheby's Institute of art. Ho poi iniziato a lavorare come stagista in una galleria a Chelsea e dopo quattro anni ne sono diventata la direttrice, lavorando prima come ufficio stampa e marketing e successivamente come manager. Oggi opero in un'altra galleria a Bond Street, l'Opera Gallery.
Perché hai deciso di trasferirti a Londra?
Ho seguito i consigli di persone che mi hanno incoraggiata a partire per imparare l'inglese e per fare un'esperienza lavorativa all'estero. Londra è la capitale europea della finanza e dell'arte e non c'è luogo migliore per perseguire una carriera nel mondo dell'arte. A Londra ero già stata diverse volte come turista ed ero rimasta piacevolmente colpita dall'energia frizzante che si respira e dalla varietà di culture diverse che ospita. Una cosa che ho sempre amato di Londra è che puoi sentire parlare cinque lingue differenti in cento metri di strada.
Cosa potrebbe cambiare per te se la Brexit si concretizzasse?
Il costo della vita indubbiamente aumenterebbe e Londra già non è economica come città. I voli verso l'Italia, in cui cerco di tornare con una certa regolarità, diventerebbero più costosi e non voglio nemmeno immaginare le code all'aeroporto per il controllo dei passaporti. A livello lavorativo potrebbe diventare un'opportunità se gli inglesi decidessero di diminuire le tasse di importazione per incentivare il commercio.
Quali sono i tuoi sentimenti in questo momento di incertezza?
Nei mesi successivi al referendum ero abbastanza amareggiata. Però non sorpresa della scelta fatta dagli inglesi, visto che avevo vissuto a York (nel nord dell'Inghilterra) e mi ero resa conto che la cultura internazionale di Londra è ben differente da quella del resto dell'Inghilterra. Allo stesso tempo capivo anche alcune delle ragioni per le quali l'elettorato inglese avesse scelto di uscire dall'unione europea. Anni dopo il referendum stiamo assistendo ad una crisi politica senza precedenti nel Regno Unito.
Nessuno, nemmeno il primo ministro, ha chiaro cosa accadrà nel futuro. Visti gli ultimi svolgimenti, a mio avviso l'opzione di uscire dall'Unione Europea sta diventando sempre più remota. Questo stato di incertezza è quello che più affligge i milioni di europei che vivono nel Regno Unito, penalizzando Londra sia a livello economico che scientifico che culturale. Se ci fosse un piano realistico e condiviso dal governo inglese, noi Europei saremmo in grado di prendere una decisione informata per la nostra vita e per la nostra carriera. Invece ci troviamo in questo limbo da anni ed è arduo pensare a come strutturare un business e farlo funzionare al meglio senza sapere cosa succederà e quali rischi andranno valutati. Io sono stata fortunata a trovare lavoro prima del referendum, ma conosco alcuni europei che sono stati penalizzati nella loro ricerca di lavoro in Inghilterra a causa dell'incertezza sul loro futuro nel Regno Unito.
Perché pensi che il Regno Unito abbia votato a favore della Brexit nel 2016 e ora scenda in piazza per chiedere la permanenza nell'Unione Europea?
Non è facile spiegare le ragioni di questa scelta che è il risultato di una concatenazione di varie cause e fenomeni. Per semplificare e anche un po' banalizzare, credo che la Brexit si possa spiegare attraverso ragioni storiche, geografiche e indubbiamente come parte di un trend internazionale. Gli inglesi vivono su un'isola e Londra è stata la capitale di un impero globale. Hanno contribuito a liberare l'Europa dal nazismo e sono molto orgogliosi dei loro Servizi Segreti e della loro passata storia di potenza coloniale. Non bisogna pensare che solo gli anziani e i poco istruiti abbiano votato Brexit. Una parte dell'elite e della classe dirigente inglese ha deciso di promuovere la causa e hanno abilmente convinto buona parte della popolazione attraverso i media più letti nel paese. Mi riferisco ai tabloid in particolare, come un acuto articolo di Katrin Bennhold apparso sul New York Times ha sottolineato.
Inoltre non è ancora chiaro il ruolo che hanno giocato aziende come Cambridge Analytica nel targetizzare e influenzare gli elettori inglesi (vi sono vari servizi del The Guardian che forniscono informazioni interessanti a riguardo https://www.theguardian.com/news/2018/mar/17/cambridge-analytica-facebook-influence-us-election ). Non credo quindi che il problema sia stato chi ha votato, ma chi ha proposto un referendum su una tematica complessa come questa che implica conoscenze legislative di cui il cittadino medio non può essere dotato. Per concludere, a onore del vero se mi mettessi nei panni di un inglese, effettivamente l'immigrazione qualificata dall'Europa è molto diffusa e anch'essa contribuisce ad aumentare i costi di case e della vita. Ad esempio per un inglese nato a Londra è pressappoco impossibile acquistare una casa nella sua città natale a causa dei prezzi proibitivi di un mercato internazionale con il quale l'inglese medio non può competere.
Credi che sarà indetto un secondo referendum?
A questo punto è probabile, ma questa mossa causerà grandi problemi alla stabilità del paese. Sebbene fosse una maggioranza esigua quella che ha deciso di uscire, le persone che hanno votato a favore della Brexit si sentirebbero giustamente tradite dal loro sistema democratico. Gli Inglesi credono molto nella loro democrazia e anche persone che hanno votato per rimanere nell'unione hanno accettato il risultato del referendum e non trovano corretta l'idea di proporne un secondo referendum che rivolge la stessa questione agli elettori.
Nel caso il Regno Unito esca dall'Unione, tu rimarresti comunque a lavorare a Londra e - col senno di poi - sceglieresti ancora Londra come tua terra d'elezione?
Ho un grande affetto per Londra e le sono grata per le eccellenti opportunità e la fiducia che mi ha offerto quando, inesperta e un po' allo sbaraglio, sono atterrata sul suolo inglese più di cinque anni fa. Londra sa valorizzare i giovani come poche città al mondo e l'energia che respiro ogni giorno è una continua iniezione di adrenalina per una persona tra i venti e i trent'anni. Però non ho alcun legame profondo con il Regno Unito e non sarebbe un problema trasferirmi in un'altra città se le cose si mettessero davvero male per noi europei.
Secondo te, un'Europa senza Regno Unito sarebbe ancora Europa?
Anche se il Regno Unito uscisse dall'Unione Europea, cosa che dubito, credo troverà un accordo in stile Norvegia o Svizzera. Recentemente il giornalista Beppe Severgnini ha presentato il suo ultimo libro a Londra e in quella occasione ha definito il Regno Unito come la prua della nave europea. Condivido a pieno questo paragone e mi auguro che la prua non si stacchi dalla nave e che da quella postazione continui ad affrontare le sfide di un mondo globalizzato. L'Unione Europea è uno degli esperimenti del dopoguerra più riusciti e che ha assicurato pace e prosperità per decenni nel nostro continente. Ha i suoi difetti sia chiaro, ma a mio modesto parere considero i pregi di gran lunga superiori ai suoi difetti.
Sono convinta che l'Unione Europea continuerà ad esistere e prosperare e il Regno Unito sarà penalizzato per aver scelto di non rimanere a bordo. Il fatto poi che non riescano a concretizzare la loro scelta li compromette ulteriormente. Mi affligge vedere la mia Londra, che a me piace chiamare la città di acciaio - un luogo internazionale e multiculturale - soffocata e divisa da questa incertezza Brexit. Mi dispiace per le future generazioni. Io a Londra ho avuto la fortuna di arrivare e trovare lavoro ancora prima di cominciare l'università, oggi e probabilmente tra qualche anno questo sarà molto difficile.
(Beatrice Minozzi)