Riceviamo e pubblichiamo.
Anche noi veniamo da una valle della Provincia di Reggio Emilia. E ne siamo fieri, perché lì ha posto il seme della nostra umile famiglia, del nostro piccolo paese, della nostra gente semplice e povera la mente generosa e accorta di Dio.
Siamo nati sulle pendici di prati verdeggianti che scivolano giù, infiltrandosi tra boschi di querce, fin sulle sponde dell’anonimo fiume Dolo che termina la sua breve corsa, poco più avanti, sotto i ponti che abbracciano il Secchia. Fiumi che, con l’Enza che da parte sua scorre appena più in là, nella valle parallela, si perdono nel letto del grande e lento Po...
Accanto ai nomi di quei deboli fiumi sono adagiati dolcemente anche i nomi di due paesini, altrettanto umili: Toano, più sopra, che è il paese dove sono nato io, e più sotto, Roteglia, che è il paese dove ci siamo incontrati un giorno, per i casi della vita -così come il Dolo si incontra, per un caso della natura, con il Secchia-, con Luciana, mamma e nonna di una famiglia che lei ha tirato su con l’affetto e la forza di donna, vedova troppo presto, proprio come la mia mamma, ma anche lei forte di saggezza, di generosità, di impegno e intelligenza.
Dopo quel nostro primo incontro, nell’ottobre del 2002, ci siamo ritrovati l’anno dopo su una sponda diversa, lontana 15 mila chilometri, dall’altra parte dell’Oceano, dove probabilmente è andata a sfidare l’immensità delle acque anche qualche goccia sperduta e azzardata di quei nostri fiumi delle valli reggiane. Sì, su queste valli delle Ande è fiorita un giorno, nel 2006, la “Casa de los Niños”, unendo gli estremi di un arcobaleno immaginario che ha un capo nei nostri paesini di Toano e Roteglia e l’altro qui a Cochabamba, sulle Ande Boliviane, e la cui storia, bella e con un tracciato ancora lungo da percorrere, si riflette proprio nel nome della cittadella che abbiamo costruito qui: villaggio arco iris.
Qui, nel nostro villaggio vivono oggi 109 famiglie che svolgono un compito speciale: essere custodi dell’affido di quasi 300 bambini, la maggior parte in gravi condizioni di salute. Casualità anche questa che si contrappone alle note amare che abbiamo letto con tristezza e incredulità sui titoli dei giornali italiani delle settimane scorse. E che gettano fango sulle acque fresche dell’Enza. Difficile da dileguare, quel fango...
Tornavo giorni fa dalla messa delle 7 del mattino, con il rosario in mano, quando il pensiero mi riportava a quelle note, lette poco prima sui giornali italiani. Davanti a me vedevo le nostre case ancora avvolte nel silenzio delle prime ore dell’alba, intirizzite per la brezza fredda della stagione invernale che è da poco iniziata qui da noi. Dentro quelle case vivono le nostre famiglie coi nostri bimbi: accolti, amati, avvolti in carezze, pur nelle loro malattie. Le nostre famiglie vivono in una povertà estrema, ma dignitosa, in una cornice naturale splendida, con montagne sullo sfondo che suprano i 5.000 metri di altezza, cornice che mi rimanda sempre al profilo del monte Cusna che tante volte ho ammirato in silenzio dal balcone di casa mia, a Toano, stretto in un abbraccio filiale con la mamma Mirella...
L’accoglienza di nostri questi bimbi e di molti altri, più di 400 in questi 16 anni, che abbiamo restituito alle loro famiglie o affidato legalmente a famiglie dal “cuore grande”, è la strada che il Signore ha pensato come obiettivo per la nostra Associazione. Non l’abbiamo pensata noi, non l’abbiamo concepita a tavolino. E’ sbocciata da una storia che ha la sua radice nel patrimonio spirituale delle nostre origini montanare, legate alla terra, al latte appena munto che sempre accompagnava noi fratelli prima di andare a letto, raccolti tutti insieme attorno a quella grande tavolata che ci vedeva uniti come famiglia estesa, con la nonna, con gli zii, con altri cuginetti più piccoli. La nostra vita di bimbi, la sicurezza del nostro futuro erano affidate alle radici solide e genuine di quella famiglia di contadini.
In questi anni, il Signore ci ha orientati a ripiantarle qui, quelle radici, con uno sbocciare di frutti che ci sorprendono ogni giorno di più e che ci riempiono il cuore di profonda riconoscenza.
Siamo uniti nella storia e nelle origini alle valli reggiane, storia e origini buone, punteggiate dalla presenza spirituale delle Pievi Matildiche, che si specchiano ancora, solide di pietre millenarie, sulle valli dell’Enza e del Secchia.
Siamo uniti nel sogno di un bene grande e durevole per tanti bambini che, sin da piccoli, sono stati marcati dal dolore, non solo quello fisico, ma anche quello nascosto dietro le porte di casa, per le incomprensioni e i litigi tra i loro genitori, gli abbandoni, le violenze fisiche e psicologiche di cui sono stati oggetto...
Siamo uniti nella storia comune di famiglie umili, lavoratrici, piene di debolezze...
Purtroppo, le note dei giornali italiani dei giorni scorsi ci rivelano un capitolo della storia della Val D’Enza che fa inorridire: come la mente umana, di fratelli e sorelle nostri/e, uomini e donne come noi, professionisti nel campo dell’attenzione ai minori, può aver tramato tanto male, che piano piano sta venendo in luce? Leggo, a 15 mila chilometri di distanza, il nome della mia città, Reggio Emilia, stampato in prima pagina sui giornali... Rimango allibito, come tutti, per la vergogna e l’incredulità... Ma non rinnego le mie origine: sono anch’io di Reggio Emilia!
Ripeto: ha la sua radice in Reggio Emilia la storia nostra, quella che stiamo coltivando da anni qui in Bolivia, e che ha come orizzonte la prospettiva del bene per tanti bambini inseriti, affidati, restituiti al seno naturale di una famiglia. E’ la nostra vita quotidiana, che ci accomuna strettamente anche con chi è artefice con noi, dall’Italia, soprattutto da Toano e da Roteglia -ma non solo-, dello stendersi nel tempo del percorso di questa storia bella, che fa fiorire il sorriso sul volto di tanti bimbi, che non hanno mai visto un sorriso perché sono ciechi sin dalla nascita, e questo grazie all’amore delle mamme boliviane che vivono qui con noi e che desiderano il meglio per questi nostri bimbi e li sollevano stringendoli forte alle loro braccia, mamme di poche parole, generose e intelligenti come mamma Mirella e mamma Luciana...
Copio questa frase che ho appena letto in un articolo di un’amica argentina, Patrizia, frase che riferisce la sapienza da una mamma boliviana di La Paz: “I bimbi crescono qui da noi con gli occhi rivolti verso le spalle dei loro genitori e dei loro nonni.” La famiglia continua ad essere l’orizzonte vicino della cultura ancestrale di questi popoli dimenticati, ma che Dio ci ha permesso di conoscere e da cui abbiamo imparato a guardare, riconoscenti, le spalle delle nostre origini.
Lontani 15 mila chilometri, vorremmo oggi rivolgere i nostri occhi alle spalle e lanciare così un abbraccio di speranza e di amicizia sincera alle famiglie e ai bambini della Val D’Enza che tanto hanno sofferto in questi anni a causa di chi ha preso decisioni assurde per il loro futuro, staccando i loro occhi, il loro cuore e il loro ricordo dalle spalle dei loro genitori e dei loro nonni, con falsi pretesti e con evidenti interessi personali.
Vorremmo che i nostri bambini, che giocano felici nei giardini della nostra cittadella, lanciassero, con la loro fantasia di bimbi, sprazzi di arcobaleno ai loro coetanei di Bibbiano e dintorni, spersi nel nulla, sradicati dalla loro origine, affinché si sentano abbracciati sotto lo stesso cielo e sotto lo stesso sguardo di bontà e tenerezza che regala loro il Padre celeste.
Anche noi veniamo da una valle della Provincia di Reggio Emilia... E ne siamo fieri...
Invitiamo davvero quei bimbi, ritrovati, restituiti, riaffidati e riaccolti nel seno delle loro famiglie a percorrere un giorno, insieme ai loro genitori, quel arcobaleno disteso nel cielo dell’innocenza fino a scivolare quaggiù, nei giardini della nostra cittadella, per inventare coi nostri bambini boliviani giochi senza fine, sprizzanti di risa, in un abbraccio di stupore infinito che farà gioire eternamente il cielo.
(Aristide Gazzotti)
Un pensiero sincero e commovente, grazie caro Aristide.
Mattia C.
Caro Aristide il vero problema è proprio la famiglia, che non esiste quasi più nella sua forma tradizionale e cristiana: vituperata, derisa, considerata da molti un orpello del passato, come ha di recente ha avuto modi di dire anche il nostro vescovo Massimo.
P.s.: come sempre, bella testimonianza dalla “fine del mondo”, che ci aiuta a riflettere.
Ivano Pioppi
Grazie Aristide per questa bella testimonianza, le tue parole sono poesia, ma ci leggo anche un po’ di tristezza, si perché in fondo questa vicenda della Val d’Enza ferisce tutti noi. La nostra terra da sempre terra di valori, i nostri modelli educativi riconosciuti in tutto il mondo come i migliori, oggi imbrattati da questa brutta vicenda! Ma quello che ci fa più soffrire è pensare al dolore dei bambini e delle famiglie.
Sandra