Andare o restare? Piccole relazioni, grandi scelte. Conversazione e scambio a cura di Claudio Cernese, pedagogista e antropologo, giovedì 23 maggio, ore 20,30, sala parrocchiale Valestra (all’interno del borgo storico), non in sala civica come indicato nel volantino.
Da cosa nasce la serata?
Valestra è una frazione di montagna come tante. Capita nella storia di ogni comunità che persone si incontrino, anche per caso, e maturino un intento comune di cambiare le cose, spesso in meglio. I bambini ci hanno offerto le diverse occasioni dei confronti più belli: una festa di compleanno, l'attesa all'uscita da scuola, una gita insieme. Abbiamo condiviso tante volte la fatica di vivere una vita in macchina, da un servizio all'altro, da un posto all'altro, da un pendolarismo all'altro, da un’incertezza all'altra, da una solitudine all'altra. Eternamente in ritardo sui tempi perché in montagna, si sa, le distanze sono tante e lunghe. La vita in montagna è sempre stata una vita profondamente diversa da quella di città, non migliore, non peggiore, diversa.
Ma è innegabile che abbiamo sempre subito una certa disattenzione verso quanto di più bello l'ambiente e le famiglie potevano dare e insegnare alla pianura: la diversità della relazione, appunto.
Conflittuali o solidali le relazioni sono state sempre il punto forte di questa montagna, un valore che però non concilia talvolta con quello che viene richiesto dalla società di oggi. E a volte ne facciamo un vanto di questa resistenza rivoluzionaria. Ma ne usciamo come genitori e cittadini anche non poco affaticati, in affanno. Organizziamo spesso eventi per bambini in paese, perché i bambini di montagna hanno bisogno di legarsi autenticamente ai compagni, alle loro famiglie, ai luoghi. E' un bisogno quasi di sopravvivenza.
Abbiamo storie diverse, culture, tradizioni, competenze, abilità diverse che abbiamo sempre cercato di tenere connesse. In città non salutarsi è quasi normalità, in montagna togliersi il saluto è uno strappo sociale raro e importante. Capita però a volte, tra il serio e il faceto, di guardarsi in faccia e dirsi "ma chi ce lo fa fare"? Non è un bel momento, per le "aree interne": interi borghi sono in vendita, i negozi chiudono, le scuole dove resistono si accorpano, i servizi si centralizzano. Dove stiamo noi ? Abbiamo ancora la libertà di decidere dove stare ?
Abbiamo pensato che questo fosse un tema che toccasse le corde di molte persone residenti nelle frazioni e nei Comuni di montagna e da qui l'idea di creare un'iniziativa che ci consentisse di parlarne, senza un obiettivo politico, senza l'esperto che ci desse risposte limitate, ma con l'aiuto di una persona competente, qual’è Claudio Cernesi, che faciliti un'occasione di scambio, in uno spazio dove il giudizio è sospeso. Abbiamo bisogno di rimanere ognuno nelle proprie posizioni o di cambiarle, se si desidera, purché tali posizioni circolino, abbiamo bisogno di far sentire che i nostri paesi vivono ancora, pulsano. Chi resta ha bisogno di ritrovare talvolta i motivi per scegliere ancora questa montagna, come accade in un matrimonio o in una coppia. Speriamo riusciate a venire, qualsiasi sia il vostro pensiero in merito.
Intervista a Claudio Cernesi.
-Claudio cos'hai pensato quando sei stato chiamato a questa serata?
Che mi si stava offrendo una occasione preziosa. Quella di condividere una riflessione sul tema della “come stare qui e con gli altri” non tra addetti ai lavori o per incarico professionale ma tra persone che mi invitavano a parlarne. L’ho sentito un gesto di riconoscimento e di potenziale scambio
- Talvolta nelle piccole comunità il confine tra la famiglia e il fuori è uno spazio aperto: c'è il senso di appartenenza ma anche il giudizio e per alcuni può stare davvero stretto questo modo di vivere…
Vero. In presenza di una comunità lo sguardo dell’altro è più accettato in quanto sorretto dallo scambio di beni e relazioni di supporto. Dove la comunità latita o ha delle falle diventa più pesante reggerne il peso
- Fare scelte a sostegno dei propri luoghi sta diventando difficile per le famiglie: molti di noi lavorano in pianura, fanno la spesa vicino al luogo di lavoro, diventa complesso vivere e partecipare alle iniziative di paese attivamente. Con i figli purtroppo si limita la possibilità di una scelta consapevole. Esiste un modo per compensare questa assenza?
Dipende da molte variabili che vanno verificate luogo per luogo. Si gira comunque sempre intorno al tema della solidarietà e della comunità, della possibilità o meno di ri-costruirne parti di essa, di dar vita a forme di relazionalità, a creare nuove forme di microeconomia
-Amiamo veramente questi luoghi o ne rimaniamo attaccati solo perché la paura dell'ignoto è troppo grande ?
Si può capire solo conoscendovi/ci. Non c’è risposta a priori. Avendovi se pur minimamente conosciuto direi che l’amore per i luoghi si sente molto
-E se è la paura di cambiare ci costringe a tenerci qui, cosa trasmettiamo al futuro dei nostri bambini?
Per quel che ho visto senz’altro state trasmettendo l’esserci, comunque . E direi che se lo porteranno caramente con sé. La casa del figlio/a è là dove c’è chi si prende cura di lui/lei. Non è che dove c’è povertà di mezzi il figlio sta male. Sta male dove c’è miseria umana. Anche se ha i servizi dietro casa e profusione di oggetti lucenti. E’ la casa affettiva il luogo migliore. Poi considerando quanto meglio di me sapete sulle difficoltà di vivere in borgata collinare/montana sarei accogliente e riconoscente con voi stessi per ciò che fate e tentate di fare. La solitudine è una compagna pericolosa se non la si è scelta e in montagna se ne sente tanta. La domanda è se c’è malinconia o melanconia e se si riesce ad avere qualcuno che posa il suo sguardo sulla montagna .
Con attenzione, continuità, cura, competenza. Se ci sono sogni e se c’è chi crede a quei sogni. Nessuno si salva da solo. Ma io proverei intanto a sognare. I sogni sono potenti e generano energia.
In Africa si dice che l’uomo bianco non sogna più ed è per questo che ha perso la relazione con le cose del mondo. Ormai ascolta solo sé stesso. Ed è sempre più misero anche se possiede tante cose.
Claudio Cernesi racconta di se.
Nato a Sassuolo e residente nel comune di Viano dal 2001. Ho unito la passione per l'educazione, lo sguardo dei bambini/e e quella verso lo sguardo dell'altro, la differenza cioè che nasce dal crescere in altri luoghi. Ho quindi studiato pedagogia e antropologia. Ho lavorato - tanto - con i bambini, i ragazzi e tanto con gli adulti. Frequento l'Africa da molti anni per passione, per studio, per lavoro. Sono divenuto Counsellor perché credo nel grande potere dell’ascolto. L’ascolto dell’altro che nasce dall’ascolto di me. Mi piace camminare, leggere, narrare. E amo molto il silenzio. Il suono del silenzio nei boschi è uno dei miei suoni preferiti.
Per info: [email protected]
(Valentina Barozzi)
L’argomento in causa ha una tale dimensione che può dare l’idea di trovarsi in un grande mare, col rischio di smarrirsi se non si hanno alcuni punti di orientamento, che a me sembrano individuabili in una determinata stagione del passato, sulla quale ritornerò.
Io penso che tra noi vi sia chi è portato ad andarsene, perché ritiene che restando non potrà veder soddisfatte le proprie aspirazioni, professionali, sociali, economiche, ecc…, e sotto questa spinta non ha timore delle eventuali incognite che potrà incontrare.
C’è al contrario chi vuole rimanere, vuoi perché si sente molto legato ai luoghi di origine, nei quali riesce a trovare ciò che risponde alle proprie aspettative, vuoi perché non se la sente di affrontare gli imprevisti dello spostarsi, vuoi per altre e differenti ragioni.
Ho maturato una tale opinione, ossia quella di dette due “vocazioni”, perché vi sono stati anni in cui il lavoro non mancava, un po’ ovunque, e ci si poteva facilmente trasferire, e vi fu allora chi prese decisioni opposte sul dove stare, credo seguendo la propria “indole”.
Poi vi sono certamente le posizioni intermedie, vedi quella di chi oggi vorrebbe rimanere ma non trova occupazione, o la condizione per realizzarsi, e chi vorrebbe invece andare ma non riesce a farlo, il che può generare in ambedue i casi delusione, scoraggiamento…
E’ ovviamente auspicabile che ognuno possa trovare la sua giusta “collocazione”, ma se ciò non è sempre ottenibile, mi sentirei di dire, a chi “forzatamente” resta, che può dare un importante contributo nel custodire le tradizioni locali (compito di non poco conto)
P.B. 19.05.2019