Riceviamo e pubblichiamo.
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Scrivo avendo davanti il dato anagrafico dell'anno 2018 del Comune dove abito, il Comune Ventasso. Dal 1 gennaio 2018 al 31 dicembre 2018 sono nati 19 bambini e sono morte 97 persone.
Con questa tendenza fra 50 anni (età adulta dei miei nipoti) la popolazione del Comune Ventasso sarà azzerata.
Non è la prima volta che sollevo questa tematica, per di più siamo alla vigilia di campagne elettorali e il rischio è entrare nel "vortice" delle polemiche, però il senso di responsabilità di "gridare " un messaggio e di richiamare a chi di dovere ad assumere decisioni che evitino la certezza della scomparsa di intere comunità, con l'abbandono di territori fragili, mi incoraggia a scrivere questo appello!
Con una prima consapevolezza, a mio avviso necessaria: la "chiave", per ribaltare questa tendenza, non può essere nelle mani del Comune Ventasso, come di qualsiasi altro Comune. non credo nemmeno che nell'Unione dei Comuni montani risieda la possibilità di decisioni così risolutive e importanti da modificare questa situazione sociale ed economica.
La possibilità di "ribaltamento" di tale stato di cose risiede là dove c'è potestà legislativa, vale a dire nelle Regioni e nel Parlamento. Ciò non vuol dire passività e tanto meno rassegnazione agli altri livelli amministrativi, bensì impegno a svolgere un incessante ruolo di pungolo e di rappresentazione di una situazione inaccettabile.
Credo che volendo azzardare percentuali di possibilità e responsabilità di intervento, a titolo puramente indicativo,, un 70% attiene al Parlamento ed un 30% alle Regioni (beninteso che l'attuale situazione è ascrivibile ai Parlamenti del passato, così come per le Regioni; in questa legislatura aspettiamo l'avvio di cambiamenti radicali).
Parlo di Regioni al plurale poiché il territorio di cui ci si deve occupare non è soltanto quello Emiliano romagnolo, bensì italiano.
Il crinale appenninico è la "spina dorsale" dell'intero Paese e credo di non andare lontano dal vero ritenendo che le nostre problematiche siano comuni a tutto il crinale appenninico italiano. Mi pare pertanto evidente che solo decisioni di respiro nazionale ed in parte regionale, possono avere la forza di invertire la tendenza alla "desertificazione" di intere aree montane, ciò che avrebbe conseguenze ambientali e sociali anche sui territori a valle.
Un'ultima annotazione vorrei fare in ordine ai "servizi pubblici" che a mio avviso vanno misurati sulla realtà montana.
Basti un dato esemplificativo: nel Comune di Reggio Emilia vivono 745 abitanti per Kmq, nel Comune Ventasso 16!
Fare norme uguali per realtà così differenti sembra irragionevole, ma purtroppo succede.
(Claudio Bucci)
Io credo che si debba invece partire dai comuni. Ho già scritto in un’altro commento che questo spopolamento è causato dalla mancanza, da parte dei nostri comuni,di progetti validi per i giovani.
L’unico che si è preoccupato di questo tema, fino ad oggi, è il candidato sindaco di Castelnovo Davoli, presentando un progetto con il quale si potrebbe invertire questa tendenza, per gli altri tante belle parole ma di concreto niente.
Questo progetto non è per nulla razzista, come descritto da alcuni personaggi della sinistra, ma è rivolto a tutti i giovani che hanno la cittadinanza italiana e che vogliono continuare a vivere in questo bellissimo territorio.
Se vogliamo che i giovani, come me, rimangano a vivere in montagna bisogna dargli le opportunità per farlo, senó è normale che senza di queste siamo obbligati ad andare via.
È stato chiuso il punto nascita e i sindaci dell’alto appennino e non, come quello del Ventasso, non si sono opposti a questa cosa, anzi l’hanno giustificata, sapendo che non portava nessun beneficio ai cittadini, ma che era un servizio indispensabile che non andava tolto.
Ci sono delle ditte che vogliono investire nel territorio ma il comune (Castelnovo) non gli da la possibilità di farlo, queste assumerebbero giovani che non andrebbero via dalla nostra montagna siccome il lavoro lo avrebbero qui.
Inoltre abbiamo: una burocrazia spaventosa, oneri per concessioni edilizie e tasse ,come quella sui rifiuti, altissime che fermano la nostra montagna.
Concludo dicendo che se siamo stati sempre governati dalla classe politica di sinistra e questo è il risultato secondo me è ora di cambiare senó ,come dice lei, fra alcuni anni la montagna sarà definitivamente morta e non si potrà più tornare indietro.
AZ
Caro Claudio, grazie per il tuo intervento che nel tuo caso segna una vita di attenzione e preoccupazione proprio su questo punto della demografia delle montagne e della loro vivibilità. E’ importante che si mantenga vivo un confronto bene informato e non ideologico su questi punti davvero urgenti come dici. Certo forti di un’opzione politica chiara, quella della montagna e, direi quasi più in generale, “dei luoghi” che distingue profondamente oggi culture, politiche, economie, comportamenti individuali. Purtroppo i media e la politica estremizzano tutto. Il confronto si consuma fra metropolitani accecati dalla crescita e localisti accecati dal rancore, lo vediamo anche qui. Non è solo la questione della montagna a fare questa fine. Tutte le aree interne ed escluse, anche nelle grandi città, diventano preda di messaggi politici che nulla hanno a che vedere e fare con la loro emancipazione. Invitano all’isolamento identitario ed invece queste aree hanno bisogno di integrazione e mobilità: devono stare nel mondo senza confini più che le città. Invitano alla contrapposizione e alla rivendicazione per se stesse ed invece queste aree hanno bisogno di essere parte utile ai loro distretti industriali e alle loro città: la sfida è un’area urbana estesa, una città – nel nostro caso Reggio Emilia – capace di pensarsi con una montagna parte del suo sviluppo (ad esempio decentrando fino a qui i propri poli di servizio raggiungibili da sistemi di mobilità leggeri ed efficienti). Invitano alla chiusura e alla selezione degli abitanti ripartendo dai nativi originari ed invece occorre considerare tutti coloro che da qualsiasi provenienza del mondo cercano una terra da adottare, curare e lavorare splendida come la nostra. E’ vero che le politiche fino a qui non ci hanno aiutato e ancora oggi non percepiamo l’opzione per il territorio che riteniamo drammaticamente urgente, con i piani straordinari che esige. E’ vero, allo stesso modo, che la lunga stagione dell’abbandono ha anche cause interne, perlopiù culturali, che ancora non abbiamo superato. Alla ruralità e all’idea di una vita qui per i figli hanno rinunciato molti anni fa e profondamente padri e madri, nonni e nonne. Il futuro per arrivare non doveva essere qui e non con le mani nella terra. All’arrivo dell’industria e dei suoi salari, dello stato e dei suoi servizi, stili, sogni e scelte hanno rotto la tradizione della montagna e questo rammendo, così urgente, non lo avremo chiudendo i servizi e nemmeno urlando all’identità. Io e Claudia abbiamo tanto creduto a questa idea da mettere su una famiglia che si dice già numerosa, anche se non come la tua. Se i miei figli non se ne andranno o – più probabile – volessero un giorno tornare, sarà perché a Reggio e a Bologna avranno finalmente cominciato – da subito – a pensare politiche dal fiume al crinale per una città diffusa ovunque. Non per il bene della montagna ma per il bene di tutti. Sarà perché qui ci saremo davvero detti come è andata questa storia e avremo scelto di essere davvero una terra per i giovani: che si sente e vuole essere più del mondo e di chi la vuole adottare nuovamente – anche i nostri figli – che non di chi ne ha conservato così gelosamente e rancorosamente le chiavi in tutto questo tempo. Una terra da abitare non da possedere, da amare e offrire non da rivendicare e proteggere. Peraltro è chiaro già oggi che qualità della vita fra non molto vorrà dire a quote più alte, meno dense e più comunitarie. Così come è chiaro che le persone ancora più di oggi saranno senza confini, mobili di gambe e tecnologie e poliglotte. Se fosse questa la nostra immagine e la nostra proposta già oggi penso che anche la demografia, piano piano, cambierebbe senso. Grazie. Giovanni
Giovanni Teneggi
L’analisi del signor Bucci, che condivido appieno, è fin troppo ottimistica. Ottimistica nel senso che: fino a quando ha senso che un comune esista? Ossia: qual è il numero minimo di abitanti che giustifica l’esistenza amministrativa di un comune? E non si pensi che questo sia un problema che affligge solo il comune di Ventasso. I comuni vicini hanno o affronteranno lo stesso dilemma nei prossimi anni.
Andiamo oltre: come si può risolvere lo spopolamento?
Molto semplice: realizzando una via di comunicazione che interconnetta la città (Reggio Emilia/Sassuolo) con il versante toscano.
Ora la domanda è: si può fare? In che tempi? Con quanti soldi? Chi lo deve proporre? Chi lo deve deliberare? Ecc…
Se la risposta è sì, allora (forse) il territorio appenninico avrà un futuro.
Se la risposta è no, buona fortuna a tutti voi.
Claudio Poletti
Presidente Conflavoro PMI Reggio Emilia
Abitante e residente del Comune di Ventasso
Quindi tutti i vantaggi che dovevano arrivare dalla fusione dei quattro comuni, non si vedranno?
I promotori dove sono finiti?
Sono almeno trent’ anni che queste problematiche, in occasione di tornate elettorali, vengono alla luce, mai nessuno o quasi mai, le ha ascoltate anzi, tutti gli amministratori, dai locali ai regionali ed ancora più in su, ha sempre operato in modo opposto.
Concordo con Poletti ma temo che ormai sia troppo tardi. Troppi treni sono passati e nessuno è salito.
Comunque, da sempre la maggioranza della popolazione montana ha avvallato scelte scellerate e non credo che ai prossimi appuntamenti cambi rotta, andremo direttamente nella direzione ipotizzata da Bucci.
Spero di sbagliarmi
Cordialmente
Fabio Leoncelli
Al signor AZ vorrei chiedere: i giovani in possesso della cittadinanza italiana che dovrebbero ripopolare l’Appennino sono coloro (pochini) che la cittadinanza già la possiedono o in futuro questa verrà data a un numero di persone che non hanno (oggi) i requisiti necessari? Non mi sembra che i suoi mentori, candidati sindaci e/o no, siano sulla sua lunghezza d’onda, anzi… O mi sbaglio? Al signor Poletti invece chiedo: bastasse una super strada transappenninica, mi spieghi come mai l’Apennino permense piuttosto che quello bolognese, che per quel collegamento godono addirittura di autostrade, soffrono lo stesso nostro problema? No cari signori, quel problema lo si risolve (volendo) solo in alto, è talmente grosso, urgente e costoso che gli estensori di programmi elettorali credo non abbiano neanche capito (contrariamente al signor Bucci che lo ha inquadrato perfettamente). Negli ultimi 100 anni non è stato affrontato, speriamo in questo secolo.
Fm
Sig Fm, scusi, ma non condivido la sua affermazione. L’appennino parmense e quello bolognese sono ben lontani dallo spopolamento che sta vivendo il nostro territorio. Lo dicono i numeri. Poi, se ci vogliamo raccontare la storiella del tipo “è un problema comune”, “le strade si dovevano fare quando era ora”… eccetera eccetera eccetera allora possiamo anche chiudere qui il ragionamento. Se, invece, vogliamo ragionare sui numeri, beh, quelli li ha già elencati benissimo Bucci nel suo contributo. Non dimentichiamoci che l’appennino reggiano ha forse il più alto tasso di pendolarismo verso la città, sintomo del fatto che i suoi abitanti amano vivere nel territorio dove sono nati e cresciuti. Quindi, di certo, una migliore viabilità male non farebbe per quelli che, come il sottoscritto, continuano a pendolare su e giù per la statale 63. Comunque, nel suo commento non ho rilevato proposte alternative: se ne ha ci renda partecipi. Cordialmente
Claudio Poletti Presidente Conflavoro PMI Reggio Emilia Abitante e residente del Comune di Ventasso
Sig. Fm il progetto è rivolto a tutte le giovani coppie che, al momento della richiesta, saranno cittadini italiani e residenti nel comune.
AZ
Grazie Sig. Bucci di aver toccato questo argomento, questa triste realtà, questa “dolce morte” a cui ci stanno portando da 70 anni a questa parte. Credo che per quanto riguarda lo spopolamento e il dissesto dei Comuni dell’Appennino Reggiano e Parmense i responsabili ci sono e basta non essere ammalati di ideologie partitiche per capire chi sono; il colmo è che sono gli stessi che oggi vogliono far credere ai montanari di avere la medicina giusta. Non ho simpatie particolari per nessun partito e riesco a vedere le cose come stanno, e spero tanto che Lega o Cinque Stelle, non importa chi, prendano in mano questi Comuni e questa Regione, forse una speranza tornerebbe, in alternativa ci sarà di certo quello che sostiene il Sig, Bucci. Tutti coloro che hanno governato questi territori sotto la bandiera di un unico partito o quasi, a partire da Comuni e Regione, con quale coraggio parlano o si presentano a questi elettori della montagna promettendo o proponendo questo o quello dopo 70 anni di governo quasi monocolore. In 70 anni non hanno fatto quello che propone il Sig. Poletti; ma neppure una strada decente lungo la Valle dell’Enza, il mondo che interessa a loro termina dove inizia la salita, ma sostengono che non è vero, e tanta gente ci crede.
Daniele
Si vuole chiudere il recinto quando i buoi sono già scappati da tempo. Lo spopolamento della Montagna è inevitabile ed è lo specchio del fallimento delle politiche miopi degli ultimi 30 anni. Consiglio sincero a chi non ha ancora un lavoro “sicuro” e adeguato alle loro aspettative, non perda tempo qui ma vada subito dove forse lo si può ancora trovare. Con tristezza.
Alessandro
C’è sicuramente del vero nelle parole di chi ha steso queste righe, quando dice che l’intero crinale appenninico italiano è in condizioni di sofferenza – anche se, ad onor del vero, in maniera non uniforme, e lo vedremo più avanti – e quando aggiunge che la possibilità di “ribaltamento” di tale stato di cose risiede là dove c’è potestà legislativa, vale a dire nelle Regioni e nel Parlamento, o allorché conclude affermando “Fare norme uguali per realtà così differenti sembra irragionevole, ma purtroppo succede”.
E’ poi comprensibile che si dica “in questa legislatura aspettiamo l’avvio di cambiamenti radicali”, ma se tale avvio fosse avvenuto quando il Governo centrale e molte Regioni avevano eguale maggioranza politica – situazione vigente fino a non molto tempo fa – si poteva forse agire più celermente, recuperando tempo, e viene allora da chiedersi perché mai questo non sia avvenuto, se c’era realmente interesse ed attenzione verso il destino della montagna, e dei crinali in particolare.
Ciò detto, io ritengo comunque che pure le istituzioni locali possano fare qualcosa per migliorare la situazione, e forsanche di significativo, tanto che si diceva, da parte dei suoi ferventi sostenitori, che anche la fusione dei nostri quattro Comuni del crinale avrebbe funzionato in tal senso, salvo che oggi più d’uno sembra esserne rimasto piuttosto deluso (probabilmente le vie da percorrere sono altre, servono cioè altri strumenti da mettere in campo, e qui anche i corpi sociali intermedi possono, o potevano, entrare in gioco).
Le Istituzioni locali possono altresì svolgere un “incessante ruolo di pungolo e di rappresentazione di una situazione inaccettabile”, ruolo che dipende verosimilmente dalla determinazione dei nostri Amministratori, determinazione che in questi anni è forse mancata o si è affievolita, e con le elezioni ormai vicine può valer la pena di proporsi un cambio nella “guida politica” della nostra montagna, ossia “voltare” pagina, visto che da molto tempo tale guida fa capo alla sinistra, e in particolare ad un partito della stessa.
Infine, è forse il caso di ricordare la tesi secondo cui le aree apparentemente più “povere” e disagiate reggono meglio le eventuali crisi del sistema, perché si basano su economie miste o su un insieme di microeconomie, meno influenzabili da fattori esterni – si configurano cioè come realtà specifiche e differenti – ed in effetti vi sono in giro zone di montagna dove tutto ciò sembra accadere, mentre nei nostri posti una tale impostazione non ha trovato stimolo e radici (se può valere un esempio, piccolo ma non irrilevante, esistono località dove si vede ancora la presenza di stalle nei centri abitati, mentre da noi la cosa sarebbe di fatto impossibile o quasi).
P.B. 02.04.2019
Quando Teneggi parla di messaggi politici che nulla hanno a vedere con l’emancipazione, e che invitano all’isolamento identitario, mi sembra di poter associare tale concetto a quella linea di pensiero che fa del multiculturalismo e della omologazione la propria bandiera, e per la quale decade di riflesso e di fatto l’dea di Patria e di confini nazionali, e del resto ritroviamo il principio della omologazione nella tesi della “area urbana estesa”, se non la ho fraintesa, ossia una entità dove ogni distinzione si va mano a mano esaurendo per dar origine ad un indistinto corpo unico.
Una linea di pensiero rispettabilissima, come lo era l’internazionalismo nato nel secondo Ottocento, ma mi chiedo come si concilierebbe con le aspettative di chi sempre più spesso spera di ritrovare fuori dalla città un “ambiente” diverso, fatto di specificità e consuetudini perdute, nonché della cosiddetta “tradizione orale”, che solo un certo qual campanilismo riesce a mantenere, e io penso che dovrebbe evitarsi l’errore fatto allorché, a mo’ di esempio, si esortavano i giovani a non usare il dialetto, salvo poi trovarci oggi a volerlo riscoprire (anche per ragioni identitarie, io credo).
Trovo invece condivisibile quel passaggio dove Teneggi teorizza che “la lunga stagione dell’abbandono ha anche cause interne, perlopiù culturali, che ancora non abbiamo superato. Alla ruralità e all’idea di una vita qui per i figli hanno rinunciato molti anni fa e profondamente padri e madri, nonni e nonne”, e io non so quanta voglia ci sia di invertire una tale tendenza – lo dico perché qui occorre essere realisti – ma se lo si volesse fare bisognerebbe che la società nel suo insieme si “guardasse allo specchio” e cominciasse a rivalutare attività e mestieri che fin qui non ha saputo forse valorizzare nel modo giusto.
P.B. 04.04.2019