“Va dove ti porta il cuore”. Si, perché un angolino riservato al luogo di origine, dove il cuore chiede di riapprodare, lo conserviamo tutti.
C’è un campanile, a metà collina sulla destra dell’Enza, che svetta come una sfida. Dicono che per altezza sia il terzo di tutta la provincia reggiana. Un dito puntato verso il cielo, come a suggerire un percorso. È quello di Roncaglio, e ne racconta la storia e i borghi, nell'omonimo libro, Oreste Cavallari.
Il nome sembra coniato per ricordare che questa terra è stata sottratta ai boschi e alle salatte roncando (o sroncando, come dicevano i nostri nonni), cioè dissodando a mano il terreno per trasformarlo in campi fertili, conquistando le aree coltive con roncole, zappe, vanghe e picconi, liberandole da sassi e sterpi, guadagnandole col sudore.
Se cercate la storia intesa come narrazione di eventi in ordine cronologico nel libro c’è. Però Oreste ha scelto il linguaggio di tutti i giorni, adatto all’amico che incontri per strada o col quale condividi un drink al bar.
Senza però perdere di vista lo scopo dell’opera che vuole mantenere vive memorie a volte sopite e dimostrare che ogni paese è degno di essere amato per quello che è. Come a dire: “Questa è la nostra storia, questa è la nostra identità”, senza giri di parole. E anche senza tradire l’impegno di una storia con la S maiuscola.
Ne è nata un’opera che si legge volentieri fino alla fine, tutta d’un fiato. È come fare una gita domenicale in visita ad amici e con loro inoltrarsi fra le case, per i tratturi, nei campi o nei boschi, a caccia di ricordi e sensazioni.
Un secondo messaggio, sempre a parere personale, si riferisce al senso di comunità dato da questa parrocchia. Perché Roncaglio non è un paese ma un agglomerato di frazione della stessa parrocchia.
Sono quasi una ventina i borghi che fanno corona alla chiesa di Roncaglio, oltre a diverse case singole, ognuno con un nome proprio. Ma tutti gli abitanti sono “di Roncaglio”. Perché Roncaglio è una comunità.
A qualcuno va stretto l’ambiente, ma non riesce a rinunciarvi. C’è chi se ne va in cerca di lavoro, fa esperienze, poi ritorna qui, cercando di metterle a frutto.
C’è soprattutto la descrizione di un modo di vivere basato su un’altra dimensione, ormai rara, che è la solidarietà reciproca. Un microcosmo con una laboriosità instancabile e invidiabile. Un mondo che, senza pretese, lascia intendere che si può ancora vivere in campagna e di campagna, purché si tengano presenti i valori che il popolo ha via via codificato, sintetizzato, trasmesso ai posteri. Primi fra questi l’esempio e l’onestà.