Sant’Ilario: folla e tanti ricordi al funerale di monsignor Ruffini.
Lunedì 11 marzo la palestra parrocchiale di Sant’Ilario d’Enza, gremita, ha accolto il funerale di monsignor Giancarlo (Franco) Ruffini, il sacerdote che ha preso per mano la comunità santilariese nel 1990 dopo la morte del Servo di Dio monsignor Pietro Margini. Don Franco è morto il 9 marzo lasciando nel dolore il fratello Renzo con la sposa Deanna, i nipoti Simona con Luca e Matteo con Laura, i pronipoti e i parenti, insieme a centinaia di amici e parrocchiani.
A dargli l’ultimo saluto c’erano il vescovo Massimo Camisasca, il vescovo di Crema Daniele Gianotti, il vescovo emerito di Ferrara-Comacchio Paolo Rabitti, il vicario generale monsignor Alberto Nicelli e numerosissimi confratelli.
Durante la liturgia si sono ascoltate tante preghiere e testimonianze, in particolare quella dell’avvocato Paola Mescoli Davoli, presidente di Azione Cattolica nel periodo in cui monsignor Ruffini era assistente diocesano, di una ragazza francese e di don Gabriele Burani, che da Ipirá in Brasile ha voluto essere spiritualmente presente ricordando il suo mandato come vicario parrocchiale a Sant’Ilario e l’amore paterno con cui l’allora parroco l’ha aiutato nel suo ministero.
Il vescovo Massimo, oltre a dare lettura del saluto di monsignor Mauro Parmeggiani, vescovo di Tivoli e Palestrina, e del testamento spirituale di don Franco, redatto nel 2011 (si veda a parte), ha voluto ricordare don Franco come un sacerdote di statura particolare, per i suoi doni di dedizione al popolo di Dio, di sereno distacco da ogni gloria, di umorismo e nello stesso tempo di servizio continuo a qualunque compito gli fosse affidato.
Di seguito pubblichiamo l’omelia tenuta alle esequie di monsignor Ruffini da don Fernando Borciani, parroco di Sant’Ilario.
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Il giorno prima di morire, papa Giovanni XXIII, ora santo, al nipote Saverio che stava in piedi, a capo del suo letto, disse: “Scòstati, mi nascondi il Crocifisso”. Come a dire: Non togliermi dalla vista l’immagine di Colui al quale devo tutto e in compagnia del quale voglio terminare i miei giorni. Sto ricordando questo aneddoto di Papa Giovanni perché anche don Franco in testamento ha disposto che sulla sua tomba ci sia, evidente, una croce. “Lo sguardo verso Gesù”: ecco la miglior sintesi della vita sacerdotale del nostro don Franco. È molto indovinato il Vangelo dell’amore per i più bisognosi, che abbiamo appena ascoltato! Credetemi, non si possono contare, tanti sono, i malati, i soli, gli anziani, i non praticanti a cui ha don Franco ha dato attenzione.
Questa sua sensibilità la voglio riassumere in quattro parole: bontà, sorriso, umiltà e paternità. Don Franco è stato un prete buono, solare, umile e paterno.
Don Franco, prete buono
Mi ha detto una volta: “Un’intelligenza senza bontà a che serve?”. È proprio così: la bontà anche da sola, basta per poter avere il gradimento di Dio. A chi non fa bene incontrarsi con un cuore buono?! Così è stato il cuore di don Franco. Una sera a tavola, parlando proprio di queste cose, mi disse: “Essere cattivi non sempre è una colpa. A volte è la vita che fa diventare così”. Perché parlava in questo modo? Perché chi è buono non ce la fa a mettere in cattiva luce gli altri, ma tende sempre a vedere un riflesso di luce anche dentro un animo aspro. Per don Franco essere buono ha significato scusare gli errori, perdonare i torti, saper incassare, incoraggiare.
Don Franco, prete sorridente
Credo di non esagerare se dico che don Franco aveva nel sorriso il suo miglior compagno di viaggio. L’ho sentito dire: “Chi non ride mai non è una persona seria”. Ma c’era qualcosa di più profondo dietro la sua battuta facile. C’era la volontà di sdrammatizzare le situazioni pesanti. Quando anche noi impediamo a un problema di divenire una tragedia o a una conversazione di sconfinare in grida o a una situazione tesa di debordare, noi compiamo un’operazione di alleggerimento, che rende quella situazione più vivibile e più sopportabile. In questo don Franco è stato un maestro.
Don Franco, prete umile
Dicendo umile non alludo solo alla sua allergia a ogni forma di protagonismo, ma soprattutto alla sua capacità di ascoltare. Tutti qualcosa sanno dire, ma non è di tutti saper ascoltare, ascoltare contenti di ascoltare. Parlare per tanti è un bisogno, può fin diventare una forma di potere, ascoltare invece è un’attitudine che non è di tutti. Noi adulti, preti e non, non dimentichiamo che rimaniamo fondamentalmente dei bisognosi! Anche chi è in alto deve arrivare a dire: “Ho bisogno, mi aiuti?”. L’umiltà ci ricorda che non si diviene mai maestri perché uno solo lo è, ma si è sempre e solo allievi.
Don Franco, un padre
Quanti ragazzi, giovani, adulti don Franco ha confessato!
Quanti preti don Franco ha confessato!
In questi ultimi anni, essendo don Franco diventato un po’ sordo, ero spesso io a far entrare chi suonava alla porta, per un appuntamento con lui. E a proposito di preti mi ha sempre meravigliato vedere le più diverse personalità, dai preti più tradizionalisti ai preti più progressisti, dai preti più giovani ai preti più anziani.
Solo un vero padre e solo una mente elastica poteva essere un richiamo per così tante e differenti persone. È per questo che io e tanti con me in questo momento ci sentiamo orfani. Se in mezzo a noi ci sono persone che non si sa mai come prendere, don Franco è stato il contrario: è sempre stato uomo accessibile, per niente difficile, innanzi a lui ogni impaccio cadeva, perché lui per primo, con una battutina metteva ciascuno a proprio agio.
Grande tema quello della paternità! Se un figlio non avesse nei propri genitori dei buoni maestri di vita, l’augurio è che li possa incontrare. Qualche mese fa un seminarista, non della nostra Diocesi, avendo un papà molto contrario a che lui divenga prete, mi diceva: “A mio papà devo la vita, al mio maestro una vita che vale la pena essere vissuta”. Non è la carne e il sangue, ma il cuore che ci rende padri e figli. I padri devono sempre dare, per essere felici e rendere felici. Dare sempre, l’essere padre sta in questo.
Caro don Franco, non vogliamo usare i verbi scomparire o separare: sono verbi laceranti. Vogliamo invece usare i verbi della fede: essere in comunione, sentirsi vicini, pregare, proseguire, ricordare. Se attingeremo a questi verbi, sarà un modo diverso da parte tua di rimanere presente nella nostra vita.
Dal testamento spirituale di monsignor Franco Ruffini
“Rendo grazie alla Santissima Trinità, al Sommo Sacerdote Gesù per il dono della vita e della salute, la vocazione e il sacerdozio per servire questa Chiesa diocesana.
Ricordo e ringrazio i vescovi, veri padri e testimoni, Beniamino, Gilberto, Giovanni Paolo, Adriano e Lorenzo, insieme ai papi Pio XII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, senza dimenticare i superiori del Seminario, non ultimi papà Guido e mamma Maria e Renzo, fratello.
Voglia l’Eterno Padre riconciliare la mia vita dopo aver ripetutamente goduto del suo perdono e di ogni grazia.
Grazie per Mariae Nascenti di Bismantova.
20 novembre 2011
(La Libertà, edizione 20/03/'19)