Ha il diabete. La scuola pubblica non lo accetta. È l’incredibile vicenda accaduta nell’Appennino reggiano dove ai genitori di un bambino di due anni e mezzo è stata comunicata la non disponibilità di frequentare la “sua” scuola (pubblica) dell’infanzia.
“Un fatto discriminatorio gravissimo e inaccettabile che avviene nella provincia degli asili più belli del mondo, di Reggio Children, del Reggio approach: in questo caso la scuola dell’infanzia pubblica è incapace di farsi carico della sua situazione di diabetico. Cosa che, invece, sta ora facendo benissimo la scuola parrocchiale cui i genitori si sono rivolti”, sono le parole di Rita Lidia Stara, presidente della Federazione emiliano-romagnola delle associazioni che si impegnano per le persone con diabete (Fe.D.ER), salita nelle settimane scorse nella montagna reggiana per cercare, d’intesa con pediatria di comunità, Comune coinvolto, dirigente scolastico, insegnanti e genitori una possibile soluzione.
“È la prima volta che osservo una simile chiusura nei confronti di un bambino.
Ora questo caso dovrà servire a ottenere una normativa nazionale a tutela di tutti i minori che hanno necessità di farmaci durante l’orario scolastico, ma anche della stessa scuola. Il caso di Francesco – il nome è di fantasia, ndr - non deve passare inosservato, ne abbiamo parlato anche in Regione Emilia Romagna e sarà portato all’attenzione del Comitato di Indirizzo per La Malattia Diabetica, ne sarà informato l’ufficio scolastico regionale, il garante per i diritti dell’infanzia e i ministeri competenti”.
I fatti.
Francesco si ammala di diabete di tipo 1 esattamente un anno fa, il 20 febbraio 2018, e sarà insulino-dipendente per tutta la vita.
I genitori, A.G.C. e A.L., si impegnano con la pediatria diabetologa di Reggio per dotare il piccolo dei più recenti ausili tecnologici per controllare adeguatamente questa malattia. Un microinfusore per evitare le iniezioni di insuline con penne e un sensore per rilevare, anche in remoto tramite una app (dai luoghi di lavoro dei genitori, ad esempio), le glicemie in tempo reale.
Alla scuola dell’infanzia statale e vicino a casa, nonostante le rassicurazioni iniziali, iniziano le difficoltà. Il personale della scuola svolge un primo corso sul diabete e sull’utilizzo del microinfusore, ma demanda comunque la decisione definitiva sull’inserimento di Francesco a un mese di “prova” nel quale un familiare avrebbe comunque dovuto essere sempre presente col piccolo all’asilo.
Cosa che avviene: infatti, un genitore, libero professionista, coadiuvato da un parente, accompagna ogni mattina il suo piccino all’asilo. “Ma durante questo mese – spiegano i genitori - non c’è stata alcuna volontà del personale scolastico di provare a mettere in pratica quanto appreso al corso che, singolarmente, è valso il rilascio di un attestato. Al termine del mese di ‘prova’ ci è stata formalizzata la indisponibilità del personale scolastico a seguire il bambino in classe e, tantomeno, a impostare il microinfusore per la somministrazione dell’insulina al pasto. A questo punto abbiamo continuato ad accompagnare per due mesi, nonostante evidenti disagi, nostro figlio a scuola in attesa di un riscontro tra le diverse autorità competenti. Riscontro che è arrivato in dicembre. La soluzione proposta, confermata l’indisponibilità della scuola pubblica, prevede di inserire il nostro piccolo in una scuola dell’infanzia parrocchiale 7 km più in là e che ringraziamo di cuore per l’accoglienza e la professionalità, ma dove ovviamente ha perso i suoi amici di paese, d’asilo e l’ambiente nel quale si era inserito”.
“Il personale scolastico si è trincerato dietro norme obsolete e superate. È stato proposto anche un supporto sanitario per la somministrazione all’ora del pasto, che è stato rifiutato perché lo stesso non intende occuparsi di nulla, in sostanza avrebbero voluto il bambino ‘accompagnato sempre’ o comunque l’intervento di terze persone in ogni momento della giornata dove occorre far qualcosa per il controllo glicemico” - osserva Rita Lidia Stara -. Il protocollo provinciale è da rivedere con urgenza. Per somministrare l’insulina non servono competenze sanitarie, ma una formazione specifica e l’alleanza tra la scuola e la famiglia è un atto di volontariato che permette ai bambini un inserimento scolastico in sicurezza e senza discriminazioni”.
Perché avere un infermiere in classe può non essere la soluzione migliore?
“Perché è impensabile affiancare perennemente un infermiere a un bambino con diabete! Non solo per motivi psicologici o di costi, ma il bambino deve essere monitorato costantemente e non solo ai pasti!”
Per il futuro?
“Sono sempre di più le famiglie della scuola italiana che si presentano a scuola chiedendo alle maestre e ai professori di somministrare farmaci (antibiotici o semplici antistaminici) ai propri figli e sono sempre di più le insegnanti che si prestano. Lavoriamo perché cambino le norme e si possa scrivere che non servono competenze sanitarie per schiacciare un tasto, non è richiesta nessuna discrezionalità, per dosi modi e tempi.
Si richiede un atto di volontariato, previa formazione e liberatoria firmata dalla famiglia. Si richiedono umanità, accoglienza, disponibilità per fare sì che un bimbo con il diabete sia un bimbo come gli altri in mezzo agli altri”, conclude la Stara.
“Quanto accaduto in Appennino – aggiunge Barbara Berni, neopresidente della Fand reggiana, l’associazione di riferimento per la diabetologia pediatrica di Reggio – è un fatto grave. Trovare l’umana accoglienza per un bambino dovrebbe essere un preciso dovere della scuola, che lo dovrebbe far muovere ben oltre i protocolli e le formalità. Quanto accaduto ci ha resi consapevoli di alcune carenze del sistema e servirà da sprone per avviare gruppi di auto aiuto tra genitori, di informazione e formazione nelle scuole affinché questo non abbia più ad accadere”.
In questi giorni una campagna nazionale
“Il diabete di tipo 1 può essere uno ‘zaino’ pesante per i ragazzi che ne soffrono, 20mila in Italia, con l'informazione però si può alleggerire notevolmente questo carico ed evitare delle discriminazioni che ancora avvengono. È una malattia che non rende diversi, solo più attenti. Ancora in tanti brancolano nel buio, esempio che sia una malattia contagiosa, ma per vederci chiaro basta informarsi”.
Questo il messaggio della campagna di comunicazione nazionale ‘Accendi la testa e fai girare la voce’, all‘interno della quale, oltre a iniziative e strumenti per un corretto inserimento scolastico qualificato e sostegno psicologico associato alla terapia insulinica, è stato realizzato uno Spot, con il contributo di Leonardo Pieraccioni come ‘narratore’.
È successo esattamente la stessa cosa a mia figlia nel maggio 2011. Diagnosi di diabete di tipo 1 all’età di due anni e mezzo. Le insegnanti hanno convocato noi genitori per informarci che l’asilo non è scuola dell’obbligo. Abbiamo superato questo momento difficile grazie alla collaborazione di una bidella che con la sua disponibilità ed intelligenza ha fatto sì che le maestre prendessero confidenza con il problema e superassero le loro paure. Mia figlia oggi ha 10 anni ed è serena. Fa molto sport, è molto brava a scuola e fa tutto come e forse anche di più dei suoi compagni. Abbiamo avuto altre difficoltà in questi anni: la gita, il viaggio sul pulmino… Ma piano piano l’informazione aumenta e tutto diventa normalità. Speranza
Speranza Carlevati
Verrebbe quasi voglia di cancellare iscrizione dalla scuola pubblica….
Semplicemente vergognoso, spero si faccia luce sulla vicenda.
Un genitore
Nacho Fernandez giocatore del Real Madrid e della nazionale Spagnola è diabetico dall’età di 12 anni, non indossa una maglia diversa, non gode di un trattamento diverso da parte degli arbitri né tantomeno porta qualche riconoscimento particolare; è semplicemente un giocatore UGUALE ai sui compagni di squadra. La scuola pubblica, con questa decisione, priva un bambino del diritto all’educazione ed alla cura, in coerenza con i principi di pluralismo culturale ed istituzionale presenti nella Costituzione Italiana. Un bambino diabetico non può imparare ad imparare. Un bambino diabetico, purtroppo è DIVERSO. Nel 2019.
Dario
Trovo scandalosa la questione e scandaloso il silenzio che ha coperto questa storia, lo giustifico solo come protezione del bambino e della famiglia, che ha tutta la mia comprensione. Non sono un dirigente scolastico. Non era forse forse più semplice e indolore spostare la maestra, visto che mi auguro goda di buona salute e abbia colleghe di più larghe vedute, magari disposte ad assumersi qualche responsabilità in più?
Indignata
Una mamma
Capisco tutto e capisco i disagi e problemi per dei genitori… ma proviamo a metterci nei panni delle maestre, se per un qualsiasi motivo succede qualcosa a questo bambino, perché non essendo l’unico dell’asilo può anche accadere che la maestra si distragga o per un qualsiasi motivo si scorda la dose di insulina, come accuserebbero e additerebbero questa maestra? Ma anche come potrebbe sentirsi poi lei? Penso che una maestra abbia già tante responsabilità e che forzare una persona a fare una cosa non sia giusto.
BD
Fondamentale, in ogni situazione, il contraddittorio. Penso, conoscendole personalmente, che le maestre in discussione non pecchino ne di professionalità’ ne’ di sensibilità. Altro discorso e’ la struttura, le sue potenzialità, mezzi e risorse. Poco personale, bimbi bisognosi tutti di continua assistenza e sostegno. Detto questo, il problema va risolto a quello stadio, potenziamento, formazione e presa in carico di responsabilità. Oramai e’ anche un approccio forzato a certe situazioni problematiche, non sicuramente il caso di cui parliamo, ma quante volte persone vengono portate a giudizio, cause civili, per situazioni non chiare, derivanti caso mai da buon senso e disponibilità ma non coperte legislativamente dalle proprie mansioni. Quindi giustissimo parlarne, risolvere, adeguare, ma non in questo modo, demonizzando una struttura e incensandone un’altra. Grazie Luca
LUCA
Salve mi sia concesso replicare brevemente.
Per BD: proprio per evitare complicanze nel caso in cui “accada qualcosa” abbiamo proposto di siglare una liberatoria di responsabilità totale (civile e penale) per il personale scolastico. Saremmo stati gli unici genitori dell’istituto a farlo ma per il bene di nostro figlio lo avremmo fatto di cuore. Questa opportunità non è stata accettata.
Per Luca: se fosse stata in discussione la professionalità ovviamente non avremmo voluto mantenere, con grande piacere nostro e del bambino stesso, il piccolo nella scuola di paese che, certo, non viene da noi demonizzata. Sulla sensibilità da lei citata, in base all’accaduto, ognuno si farà le sue opinioni.
(uno dei due genitori)
Carissimo Genitore, mai e poi mai mi permetterei di giudicare o entrare nel merito quando si tratta di temi così delicati,in quanto solo chi li vive, può. Detto questo, mi son solo permesso di dare una mia valutazione sul fatto e sulla forma. Portare una scuola, insegnanti e denigrarne altri. Proprio perché così delicata, penso che questo tipo di situazione dovrebbe essere vissuta da chi ha competenze e potere di cambiare situazioni e non di buttarla in queste forme in pasto all’opinione pubblica. Le chiedo mestamente scusa se in qualche modo ho toccato Vostra sensibilità, non di certo nelle mie intenzioni.
Luca
Buongiorno Luca,
rispondo solamente all’ultima frase “…. e non di buttarla in queste forme in pasto all’opinione pubblica”. Se tutto funzionasse come dovere non ci sarebbe bisogno di “buttare in pasto all’opinione pubblica”. Immagino che la scelta di questi genitori sia stata quella di denunciare un malfunzionamento che altrimenti sarebbe caduto nel dimenticatoio. Questo per non far passare ad altri bambini questa brutta esperienza. Ritengo coraggiosa questa scelta e lodevole perchè hanno avuto la forza di fare da apripista, di non tacere e di smuovere le acque. Ahinoi in questo paese se non pungoli attraverso l’opinione pubblica, difficilmente le cose si muovono.
Sabrina
Mi sembra molto ragionevole e condivisibile questo articolo pubblicato oggi sul Carlino Reggio:
I diritti di ciascuno
di Ugo Ruffolo
“Insegnanti neghittosi o genitori intransigenti nel caso del piccolo Francesco, bisognoso di cure diabetiche negate dalla scuola pubblica ma erogate dall’asilo parrocchiale? Scuola convenzionata che costa (poco) di più (qualche decina di euro) di quella statale. Mettiamo a confronto norme di legge, diritti e doveri civici, dovere costituzionale di «solidarietà». Che non sempre coincidono. Anche i bimbi diabetici hanno diritto alla scuola obbligatoria; dunque, la scuola dovrebbe provvedere. Certo, non imponendo prestazioni paramediche agli insegnanti che, come tutti, hanno «diritti sindacali», ma che, su base volontaria, potrebbero collaborare, essendosi, nel nostro caso, alcuni anche abilitati. Ma se «non se la sentono»? La scuola dovrebbe altrimenti provvedere. La delibera 166/2012 della Regione e il conseguente «protocollo per la somministrazione dei farmaci a minori nei contesti scolastici» della provincia di Reggio Emilia prevede il «diritto del minore a ricevere l’assistenza appropriata» e impone «qualora non si reperisca all’interno personale disponibile» di «ricercare soluzioni alternative», soprattutto con accordi con «associazioni di volontariato, Croce Rossa, ecc». Ma se non si trovano? Se l’unica soluzione possibile – quale un infermiere dedicato full time – ha costi sproporzionati? Se soluzioni alternative possibili appaiono praticabili con disagio per il minore e costi moderati per la famiglia, senso civico, ragionevolezza e «solidarietà» (che opera nei due sensi) consigliano, se non impongono, di accettare soluzioni alternative. È disagevole cambiare compagno di banco e contesto scolastico per il minore. Non si può imporglielo, come non si può imporre all’insegnante di effettuare prestazioni paramediche, anche semplici. Ma sia genitori che insegnanti avrebbero il dovere civico di evitare costi sproporzionati alla collettività. Senso civico potrebbe suggerire il bilanciamento tra i diversi interessi ed evitare la intransigenza nel rivendicare «a qualsiasi costo» il diritto a mantenere il compagno di banco.”
Pamela
Credo che sia molto semplice parlare da persone esterne e lontane dai fatti. Ma di cosa stiamo parlando? Ma credete che gli insegnanti siano medici??? Dobbiamo essere insegnanti, educatori, psicologi, assistenti sociali, pedagogisti, nutrizionisti e chi più ne ha più ne metta e dobbiamo venire insultati se non ce la sentiamo di fare una puntura??? Noi NON SIAMO MEDICI!!! Io ho sempre somministrato i farmaci agli studenti, dai colliri, alla tachipirina fino ad arrivare a girare con l’adrenalina in tasca anche in cortile ma solo ed esclusivamente perchè me la sento dato che per vicissitudini familiari ho dovuto imparare a fare punture e altre cose, ma MAI e poi MAI mi sentirei di criticare una collega perchè non si sente di somministrare un farmaco!! Ingiustizia??? Ingiustizia?? Ingiustizia di cosa?? Ma stiamo scherzando??? La scuola è un ente pubblico che fa MOLTO, ma MOLTO, ma MOLTO di più di quello che sarebbe tenuta a fare, si prende a carico responsabilità che non sarebbe tenuta a prendersi e lo fa per amore dei bambini, ma purtroppo NON BASTA MAI!!! Le colleghe, che non so nemmeno chi siano, HANNO FATTO BENISSIMO A RIFIUTARSI di fare delle punture o non so bene cos’altro se non se la sono sentita!!! Hanno TUTTO il mio supporto!!! Io non vado in farmacia a chiedere che mi vengano cambiate le gomme per poi addirittura arrabbiarmi se il farmacista non si sente di farlo!! Ma stiamo scherzando!?! Noi siamo INSEGNANTI, NON MEDICI e queste critiche assurde sono completamente decontestualizzate e diffamatorie verso una categoria che letteralmente si svena nel cercare di fare il proprio mestiere!
Distinti saluti
Un’insegnante
Gentile insegnante, lei mi pare si sia comportata come quegli aspiranti scrittori che scrivono il loro primo romanzo senza aver letto nella vita che un quotidiano sportivo. Lei, a me pare, non ha letto bene l’articolo, oppure non lo ha compreso. Viene detto del corso fatto agli insegnanti per imparare a controllare il microinfusore, della liberatoria firmata dai genitori, dell’affiancamento per un mese di uno dei due genitori alle insegnanti… No, lei non ha letto, ha reagito impulsivamente per difendere la categoria. Da una insegnante, come lei si definisce, mi sarei aspettato qualcosa in più.
Voglio qui esprimere la mia totale solidarietà con i genitori del bimbo e con tutti i genitori che hanno bambini con disabilità o malattie croniche.
In questo caso non si tratta di difendere o di condannare le insegnanti, si tratta di un intervento deciso dell’amministrazione comunale che oltre ad emettere direttive chiare nel caso specifico, attrezzi psicologicamente e tecnicamente, tramite corsi e protocolli operativi, il personale scolastico. Se del caso, visto l’impegno aggiuntivo, riconoscendo anche un riconoscimento economico adeguato alle insegnanti. Vedo che il problema non è stato risolto dalla scuola pubblica, e quindi dall’amministrazione. Se fossi io l’amministratore, il sindaco, sarei intervenuto con l’assessore alla scuola, in ben altro modo.
Saluti, e per favore, prima di replicare, legga.
Alessandro Davoli
Se lei avesse letto il mio commento, avrebbe capito che si riferiva ai commenti poco delicati che ne sono seguiti.
Legga prima di replicare.
Una insegnante
Buongiorno signor Davoli e signora insegnante. Una domanda al signor Davoli, se un insegnante fa una puntura ad un bambino e a questo viene un embolo, cosa fa il genitore? Denuncia l’insegnante, perché non essendo infermiere o medico non aveva nessun diritto di iniettare farmaci. Noi volontari della Cri, pur avendo fatto un corso molto approfondito, non abbiamo la possibilità di dare nessun tipo di farmaco a nessuno, quindi anche un insegnante NON può farlo. Se il Ministero dell’Istruzione pubblica e il Ministero della Salute emettono una legge che dice che dopo dovuta formazione il tale insegnante può dispensare farmaci, ok allora la cosa diventa fattibile, ma senza legge e soprattutto senza formazione, nessun insegnante può somministrare farmaci, di nessun tipo. Saluti
Max Carpineti
Le norme non possono mai andare a scapito dei diritti dei cittadini, in particolare di quelli più deboli come le donne, i bambini, i residenti in territori difficili.
Basterebbe buon senso.
Ma visto che non basta si rimuovano gli ostacoli.
Gianni Marconi
Lo dica a chi ha fatto le norme e faccia prevedere almeno 5 esami di medicina nella Laurea di Scienze della Formazione primaria, poi ne riparliamo.
Una insegnante
Mi sembra classico raggionamento da statale. Più obbiettivo il commento di Davoli
Cristian
Mi sembra il classico commento di chi avrebbe voluto entrare nello statale e non ci è riuscito.
Con questa chiudo.
Cordialmente.
Una statale
Una insegnante
Cara insegnante, dal punto di vista normativo è inattaccabile, nessuno è obbligato a fare qualcosa che non vuole fare soprattutto se esula dal proprio mansionario. Però non stiamo parlando di qualcosa di astratto, sono tantissime le insegnanti che accolgono i loro alunni facendosi carico di andare incontro alla famiglia. Il Diabete T1 è una malattia autoimmune non prevenibile, nel contempo i bambini con diabete possono fare una vita sociale equiparabile a quella dei loro coetanei. Non stiamo parlando di fare iniezioni che richiedono competenze sanitarie, i tempi delle siringhe da sterilizzare e degli aghi dolorosi sono molto lontani. Oggi assistere un bambino in orario scolastico significa controllare che la glicemia sia nei valori normali e lo si fa guardando un display, scompensi verso l’alto si correggono schiacciando un tasto del microinfusori, senza nessuna discrezionalità da parte di chi esegue, i genitori a distanza vedono tutto sul proprio smartphone e suggeriscono cosa fare. Nel caso in cui la glicemia si abbassa si corregge con alimenti concordati e in dotazione al bimbo. La laurea in medicina è ben altro. Detto questo è evidente che non tutti hanno sufficienti risorse personali da spendere in volontariato. Io sono convinta che in ogni scuola è possibile trovare un volontario che di faccia carico di aiutare il bimbo e la famiglia, quando non è possibile di attiva il servizio infermieristico, non è la soluzione migliore perché ci si trova a medicalizzato il bimbo, avere l’infermiere ti fa sentire malato, in un momento di crescita che non è bene sentirsi malati e diversi. Nel caso in questione però il personale scolastico ha rifiutato anche il supporto infermieristico al pasto, non è stata data alcuna disponibilità, il bambino potrebbe stare a scuola solo se accompagnato da qualcuno che lo accudisca. Quello che mi ha fatto veramente male è che non hanno nemmeno provato. Quindi IO STO CON GLI INSEGNANTI, CON TUTTI GLI INSEGNANTI CHE ACCOLGONO I LORO ALUNNI ANCHE SE AMMALATI, CON TUTTI GLI INSEGNANTI CHE LA PEDAGOGIA NON L’HANNO SOLO STUDIATA. IL MONDO È RICCO DI UMANITÀ E DI VOLONTARI.
Rita Lidia Stara
Da quanto appena detto si evince che Lei non ha la benchè minima idea di cosa sia la scuola. Molto facile raccogliere consensi con quella che Sherlock Holmes definirebbe “La chiara visione dell’ovvio”.
Cordialmente
Una insegnante
Come ho scritto sopra signora Rita, se un giorno suo figlio torna a casa con un embolo perché l’insegnante ha somministrato un farmaco ma non era abilitata, lei cosa farebbe? Una bella denuncia vero? Allora proviamo a metterci nei panni di chi non può fare quello che vorrebbe. A scrivere siamo tutti bravi, ma poi nel concreto come ci comportiamo? Pensiamoci bene.
Max Carpineti
E’ veramente difficile commentare un fatto come questo. Non si può certamente scagliarsi contro chi si è rifiutato di somministrare l’insulina, ma è altrettanto ovvio che si sta dando un messaggio di una scuola dove al centro ci sono gli insegnanti e non, come invece dovrebbe essere, i bambini.
Manca poi l’empatia di chi non si vuole assumere tale responsabilità. Se infatti ci fosse empatia, non solo nei confronti del piccolo, nei confronti dei genitori, ci vorrebbe pochissimo ad accettare di somministrare l’insulina.
Ancora una volta siamo in un mondo dove l’indifferenza e la mancanza di capacità da parte degli adulti di assumersi responsabilità la fanno da padrone.
Bisogna poi anche considerare perché gli insegnanti stessi abbiano accettato di partecipare a un corso, avente sicuramente un costo sia in termini di docenza che in termini di paga straordinaria per chi vi ha partecipato. Dobbiamo considerare che fin dal principio gli insegnanti probabilmente si sarebbero rifiutati, visto e considerato che poi nessuno ha supportato la famiglia nel mese di prova.
Non voglio condannare nessuno perché ognuno risponde alla propria coscienza, ma bisogna che noi adulti iniziamo a interrogarci sul perché non vogliamo prenderci responsabilità che competono a noi e in nessun modo ai bambini.
Alessandro Torri Giorgi
A noi insegnanti NON COMPETE ASSOLUTAMENTE una cosa del genere, non siamo preparati a farlo, non abbiamo gli strumenti e, le volte che lo facciamo, mi creda che abbiamo un livello d’ansia da toglierci il fiato per le successive 5 ore!!! Mi chiedo se qualcuno tra le persone che parlano abbia mai letto il Testo Unico delle scuola, o più semplicemente un Regolamento di Istituto. Mi risparmio dal commentare il discorso della “paga”… mi viene da ridere… siamo NOI che spesso e volentieri paghiamo i corsi che facciamo e non viceversa!!!! Da quando in qua si viene pagati per fare un corso a scuola????? Da MAI!!! Li facciamo perchè è nostro DOVERE farli e questo non viene in alcun modo remunerato!!!! Sia io che molti miei colleghi abbiamo fatto più corsi di disostruzione pediatrica (volontari) che mezza provincia e ne continueremo a fare, ci siamo “abilitati” all’utilizzo del defibrillatore, facciamo periodicamente corsi di primo soccorso e sulla sicurezza e tutto questo perché è NOSTRO DOVERE e il NOSTRO dovere lo facciamo quotidianamente!!! Noi non siamo dei medici, noi prendiamo con ESTREMA serietà le nostre responsabilità e probabilmente molte di più di quelle che ci competono, ma avere a che fare con la salute di un minore va ben oltre ciò che siamo in grado o ci sentiamo di fare e non possiamo essere criticati per questo. La scuola italiana vanta insegnanti di eccezionale leva, che letteralmente vivono per essa. Tutto questo è profondamente ingiusto, demotivante e non ultimo triste. Il giorno in cui gli insegnanti smettessero di fare ciò che non compete loro ma che fanno ugulamente per amore dei bambini, probabilmente ci si comincerebbe ad accorgere che siamo ben di più di quelli che stanno a casa due mesi d’estate e che non vogliono somministrare l’insulina. L’unica consolazione è che, per fortuna, ci sono anche dei genitori che sanno ancora dire “Grazie”, che capiscono cosa c’è dietro al nostro lavoro, che di fronte ad un insegnante che non se la sente di somministrare un farmaco dicono: “Capiamo, non importa, veniamo noi”.. ci sono ancora genitori che capiscono che a noi della liberatoria non ce ne può fregare di meno perché se nella nostra incompetenza medica dovessimo involontariamente fare qualcosa di sbagliato, la legge non ci perseguiterebbe ma la coscienza sì e personalmente è l’unico giudice che temo. Comunque ad ognuno il suo pensiero, questo è il mio.
Cordiali saluti
Una insegnante
Cara Insegnante, e aggiungerei anche che gli Italiani sono fatti così: pronti a criticare un docente che non se la sente di somministrare un farmaco, ma il giorno dopo non meno pronti a metterlo in croce se somministrando un farmaco provoca un danno ad un bambino. Nei paesi civili, come ad esempio la Germania, il problema non si porrebbe nemmeno. Sarebbero lo stato e la politica a trovare una soluzione ancor prima che l’emergenza si presenti. E questo anche Davoli, che è un politico, lo sa perfettamente, ma “La chiara visione dell’ovvio”, quando si devono prendere voti, è sempre e comunque più efficace.
Andrea
La ringrazio del supporto… le do perfettamente ragione..
Una insegnante
Carissima Insegnante,
se solo avesse letto con attenzione quanto ho scritto. Ho ribadito per ben due volte che non ne faccio nessuna colpa, e lei viene a replicare con argomenti che nulla hanno a che vedere con il tema. Ha fatto il corso per usare il DAE? Bene. Ha fatto il corso per la disostruzione? Bene. Non l’hanno pagata? Non vedo il problema. Anche io li ho fatti, non sono un’insegnante, e nessuno me li ha imposti. Si chiama senso civico; ai più sconosciuto. Rilegga quanto da me scritto, e in primis provi a mettersi nei panni di quei genitori e di quel bambino. Si immedesimi come madre o come nonna. Quando l’avrà fatto ne riparleremo. Relativamente al “grazie” invece si tratta di educazione, ma le assicuro che per il mio lavoro i miei clienti non mi ringraziano mai (i suoi “clienti” sono le famiglie e gli alunni, lo tenga a mente) ma nonostante questo non piango per questo. Saluti. Scusi se non risponderò ad altri suoi commenti al post, ma non sapendo a chi mi sto rivolgendo (mentre io come vede ci metto la faccia) preferisco andare oltre…
Alessandro Torri Giorgi
Premetto che non voglio fare di tutta un erba un fascio ma questa è L’ennesima conferma di come teoricamente si è tutti molto preparati ad affiancare un luogo di cura educativa a parole come integrazione, uguaglianza, non discriminazione.
L’ennesima conferma di come sia molto bella la frase che vede la scuola dell’infanzia “luogo per i bambini e di tutti i bambini”.
L’ennesima conferma di come i servizi educativi del territorio Appennino sono affiancati da una collaborazione che si dice pedagogicamente competente e specializzata. Quand’e’ che la competenza viene dimostrata? Forse nell’agire ordinario, quotidiano che mostra i “bellissimi” rapporti interpersonali che ci sono tra le colleghe maestre nelle scuole statali? O forse nell’agire straordinario, che mostra l’incapacità del contesto e delle figure professionali di prendersi cura di un bambino?
Un luogo che si fa educativo soltanto relativamente al volere di certi insegnanti, certi coordinatori e certi responsabili, diventa, in tal modo, dis-educativo siccome l’educazione non può dipendere dalla volontà di una persona, ne tanto meno può essere prerogativa solamente di certi bambini rispetto ad altri.
L’educazione è un diritto universale!
Qui non si parla di “educazione”, qui si parla di medicina e sono due cose completamente diverse.
Una insegnante
Gentilissima “Una insegnante” ho letto con interesse i commenti, tra i quali i suoi con molte certezze.
Ora, io che di certezze ne ho meno e pur non essendo “Un insegnante”, ma avendo frequentato tutti i livelli della scuola mi perdonerà se mi permetto di dire la mia sul tema. Non fosse altro perché ho affiancato ogni mattina il mio piccino all’asilo da settembre a dicembre, con l’aiuto di alcuni familiari quando dovevo assentarmi per lavoro. Ho respirato un’aria che mi mancava da un po’ e mi ha distratto dalle notti insonni.
Certo, sono stupito, un po’, di alcune parole ricorrenti nelle sue repliche come “responsabilità”, “dovere”, “nostro”, “giudice”, “esami” e di altre parole, invece, assenti ma, comunque legate al tema ai sensi della Costituzione italiana: “accoglienza” ed “educazione”.
Ci tengo, però, a tranquillizzarla subito però su un termine. La parola “grazie” non è mai mancata. “Grazie” alle insegnanti che, come lei, sanno usare defibrillatori (lo ammetto: non sarei in grado), sanno fare la disostruzione e, nel mentre, insegnano egregiamente. “Grazie” alla scuola italiana che, a basso costo, offre una grandissima istruzione. “Grazie” alla scuola che abbiamo dovuto lasciare, ai suoi meravigliosi bimbi, genitori e personale non scolastico. “Grazie” al dirigente, per quanto ha provato a fare. “Grazie”, anche, alle insegnanti che si sono arrese dinnanzi a un microinfusore: la vita, alle volte, riserva soprese per crescere assieme. “Grazie” ai tanti medici, alle associazioni, agli altri genitori e ai famigliari che ci aiutano in questo difficile percorso.
Ho detto, sa, “grazie” anche il giorno in cui abbiamo ritirato gli effetti del nostro piccino all’asilo. Abbiamo solo lasciato una sua foto lì, in alto, a segnare il suo passaggio da lì. Se un giorno vorrà, con grande piacere, mi farebbe piacere farglielo conoscere: dà confidenza a chi gli vuole bene. E lei, “Una insegnante”, certamente, davanti alle (tante) domande del nostro piccino di questi giorni troverebbe le parole giuste, dal punto di vista pedagogico, per spiegargli il cambiamento ad un altro asilo. Perché a me, lo confesso, queste parole ogni tanto mancano.
(Il papà)
PS se potesse servire tra i diversi messaggi ricevuti le invio quello di una mamma che, a tutti gli effetti, con la sua piccina è parte della scuola.
“Io credo che il ruolo di un insegnante e della scuola sia quella di prendersi la responsabilità dei nostri bambini e ragazzi quando non sono sotto la sorveglianza familiare. Non dovrebbe esserci luogo più sicuro della scuola dove immaginare i nostri figli, li vengono tutelati e educati quasi come fossero con noi genitori. Ora, un insegnante credo che non sia obbligata a fare cose che non le competono, infatti non gli si chiede di pulire l’aula dopo averla utilizzata, ma credo sia sua competenza tutto ciò che riguardi gli allievi, compresa la loro sicurezza. Ci sono corsi di formazione che preparano il personale anche a mansioni extra, che sono comunque necessarie. Evacuazione per incendio o terremoto ad esempio, gli insegnanti si devono prendere anche quello come onere, idem avere un bambino con particolari necessità come in questo caso. Fa parte del suo lavoro, con la dovuta e doverosa formazione. Fa malissimo leggere che un bimbo così piccolo ha dovuto cambiare scuola perché nessuno ha voluto occuparsi di lui, da mamma, fa veramente male! La scuola credo che negli ultimi decenni abbia delegato tanto dei suoi doveri come istituzione educativa!! (una mamma)”
Le sue parole molto cordiali a differenza di altre mi fanno molto piacere… io non conosco personalmente le insegnanti del suo bimbo ma Le posso garantire, nel modo più assoluto, che a loro è dispiaciuto molto più di quanto si creda. L’affetto che proviamo verso i “nostri bimbi” è immenso e cerchiamo di fare per loro tutto e mi creda, tutto, quello che è in nostro potere fare. La volontà degli insegnanti non è stata lesiva nei confronti del piccolino, tutt’altro, è stata proprio la volontà di non commettere errori che non saremmo preparati a gestire che ha portato a questa scelta. È questo che non è stato capito da molte persone, è questo che è chiaro.. pratichiamo l’inclusività e l’accoglienza ogni singolo minuto in cui siamo a scuola, ma siamo esseri umani ed abbiamo anche paura di sbagliare.. Se involontariamente commettessimo un errore, non ce lo perderemmo per il resto dei nostri giorni e a parer mio è molto più “protettivo” nei confronti di un piccolino, alzare le mani e dire “Non me la sento”. Capisco voi genitori e il dispiacere, capisco la difficoltà di trovare le parole giuste e umanamente mi dispiace davvero molto, ma anche noi siamo esseri umani e se una cosa è per noi troppo grande diventa un dovere il non farla, piuttosto che farla male. Spero di cuore che nella nuova scuola vi troviate bene e possiate godere di un clima sereno.
Con affetto.
Una insegnante
Sono indignata per quello che è successo e anche per certi commenti che sono stati fatti. A voi maestre non si chiede di essere MEDICI, un MEDICO ha ben altre competenze e ben altre mansioni, molto più importanti!!! In questo caso, come ha specificato la Sig.ra Stara, si tratta di controllare i valori della glicemia su un display che tra l’altro è monitorato dai genitori anche a distanza. Se la glicemia si alza si schiaccia un tasto, confrontandosi, se non si è sicuri, col genitore, se il valore si abbassa si corregge con alimenti che il bambino ha in dotazione. Mi sembra una cosa molto semplice da fare per una persona adulta. Si tratta tra l’altro di una scuola dell’Appennino, dove probabilmente il numero dei bambini da controllare e gestire non sarà elevatissimo. In questo specifico caso, credo si tratti solo e semplicemente di sensibilità e disponibilità . Sono comunque contenta che Francesco e i suoi genitori abbiano trovato una struttura che li ha accolti a braccia aperte.
Una mamma
Vede Signora, lei ha pienamente ragione e sono sicuro che se un insegnante dovesse somministrare dell’insulina o altri farmaci a suo figlio lei ne sarebbe solo felice, e se facendo questo l’insegnante procurasse dei danni al bambino lei non farebbe nulla contro l’insegnante che ha somministrato farmaci senza averne autorizzazione da nessuno. Pero le chiedo, lei è sicura che tutti i genitori sono come lei? Io no, come si legge in tanti quotidiani ci sono genitori che fanno cose abominevoli a insegnanti che hanno solo dato un voto basso al figlio, si immagina cosa farebbero se il figlio avesse problemi di salute per un farmaco somministrato da qualcuno che non aveva l’autorizzazione a darglielo? E’ vero che il buonsenso direbbe che gli insegnanti dovrebbero fare questo senza pensarci, ma il solo buonsenso non serve. Io non sono un insegnante, ma mi metto nei loro panni.
Saluti
Massimo
Max Carpineti
No non è molto semplice è terribilmente complicato si rischia ipoglicemie o iperglicemie e sono entrambe situazioni potenzialmente pericolose per la vita…e a far reagire l’insulina non è solo l’alimentazione,ma uno sforzo fisico, un’emozione intensa,per un bambino può essere anche un pianto,una caduta,una corsa di troppo…insomma una vita complicata per un adulto,complicatissima per un bambino che non sa ancora capire i sintomi premonitori o regolarsi con il pezzetto di pane in più o in meno o da ultimo un pizzico di zucchero sotto la lingua;da tanti,tantissimi anni conviviamo con questo problema e nonostante tutte le tecnologie che aiutano cambia tutta la vita e non ogni tanto ogni istante; poi dipende dal livello e da come si reagisce alle cure, a noi ci ha stravolto la vita e il fatto è che se ne parla poco e si è molto soli.Ho passato ore a capire come fare la spesa perchè lo zucchero è ovunque nella pumarola ,nella maionese,persino nello sciroppo per la tosse e bisogna trovare le marche giuste e comprare quelle e solo quelle;per non parlare di uscire a mangiare anche solo una pizza e chiedere lei ci mette lo zucchero per far lievitare l’impasto e spesso vedersi guardare in modo stupito e dover spiegare sempre perchè; poi nei salumi quasi in tutti c’è lo zucchero come consevante o il fruttosio, destrosio che sono la stessa cosa…e giornate che proprio non vanno e non si capisce perchè hai pesato tutto,hai mangiato solo quello che devi, ma non stai bene e poi anche un banalissimo virus influenzale diventa terribile…provare a gestire tre giorni di gastrointerite con il diabete…e qui mi fermo ,ma potrei continuare a lungo il problema è che solo chi vive con questa malattia sa cosa sia e cosa comporti ogni minuto,,anche il cambio orario dell’ora legale diventa un problema, perchè sfasa tutti gli orari; poi sì si può vivere una vita normale che comunque normale è solo se si ci impegna tantissimo; dovrebbe solo essere più conosciuta e dovrebbe farsene carico tutto il sistema sociale e non facendo finta che tanto non è poi tutto sto problema, no lo è ,lo è bisogna viverla per saperlo… come del resto ogni cosa.
RF
Gentile RF, le sue parole sono molto toccanti e fanno riflettere. Penso che certe situazioni non siano per niente semplici. Anzi.
Personalmente capisco sia la posizione dei genitori che quella degli insegnanti. Non è semplice per nessuno.
Spero solo che da questo fatto si possa prendere spunto e che si possa agire per migliorare la gestione complessiva (visto e considerando che purtroppo certe problematiche stanno aumentando).
Un grosso abbraccio al piccolo Francesco
Una mamma insegnante
Non dovrebbe esserci luogo più sicuro della scuola dove immaginare i nostri figli, dice “una mamma”, secondo la quale il ruolo di un insegnante e della scuola va visto come quello di prendersi la responsabilità dei nostri bambini e ragazzi quando non sono sotto la sorveglianza familiare, e tale delicata incombenza veniva un tempo esercitata riconoscendo al personale scolastico una certa qual autonomia e discrezionalità, onde poter meglio corrispondere all’una o altra situazione, un sistema che ha funzionato piuttosto a lungo salvo il venir poi contestato (non di rado, infatti, leggiamo oggigiorno di genitori che non accettano di veder ad esempio rimproverato il proprio figlio a scuola)
Una volta il ricorso ai “protocolli” era di fatto inesistente o quasi, mentre oggi sono all’ordine del giorno, vuoi per uniformare i comportamenti degli operatori, vuoi per far loro da “scudo”, metterli cioè al riparo da eccessive o improprie contestazioni da parte degli utenti, e del resto quando la stessa mamma ricorda, ineccepibilmente, che gli insegnanti si devono prendere anche l’onere di far fronte all’eventualità di evacuazione per incendio o terremoto, presumo che tale intervento si debba svolgere conformemente ad un determinato protocollo (mentre si soprassiede semmai a quanto non è inquadrabile in un protocollo, il che potrebbe spiegare ad esempio la diminuzione delle gite scolastiche)
Di protocolli d’intesa inter-istituzionale, da stipularsi a livello territoriale, con definizione dei ruoli e compiti di ciascuna Istituzione coinvolta, si parla ripetutamente anche nella delibera di Giunta regionale n. 166/2012, ossia le linee di indirizzo volte a disciplinare la somministrazione di farmaci a minori in contesti extra-familiari, educativi o scolastici, e dove leggiamo che il personale scolastico può rendersi disponibile, in forma volontaria, alla somministrazione dei farmaci, né dunque si può “biasimare” chi non si sente in grado di assumere la relativa responsabilità, anche se c’è chi vorrebbe introdurre l’obbligo della somministrazione al posto della suddetta volontarietà.
La materia è di certo complessa e merita indubbiamente ulteriori approfondimenti, con l’auspicio che si trovino al più presto soluzioni apprezzate da tutte le parti in causa, ma viene nel contempo da fare una riflessione di carattere più generale, perché viviamo in una società dove sono stati promossi e reclamizzati tanti diritti, tra cui quello alla “obiezione di coscienza”, in più d’un settore, salvo poi accorgersi che il metterli in pratica e garantirli non è sempre agevole, per una pluralità di ragioni, e scoprire dunque che vi sono diritti solo virtuali (ci troviamo cioè di fronte a contraddizioni da cui non è facile uscire, a meno di non rivedere i modelli procedurali cui ci siamo da qualche tempo ispirati).
P.B. 24.02.2019
Io sono un’insegnante. Nella mia scuola ci sono bambini diabetici, bambini iperattivi, bambini epilettici, bambini asmatici, bambini con intolleranze alimentari. Dovrei avere un’equipe di medici in pianta stabile in classe o, forse, fare una bella selezione: solo bimbi sani!
P.s.: questa storia della selezione mi sembra di averla già letta da qualche parte.
Margherita Borghi
Che cos’è l’uguaglianza nel 2019? È ancora un bisogno della persona, un valore della società? Ed è ancora un bene la comunità, prima di tutto quella educante? Come non interrogarsi davanti alla scuola statale dell’infanzia che non è riuscita ad accogliere il bimbo con diabete?
Credo che un futuro di diversità e di isolamento sia il primo timore dei genitori davanti alla scoperta di una particolarità che accompagnerà il figlio fino a che la scienza non avrà messo a punto il rimedio in grado di cancellarla: per il diabete, in passato e fino a oggi, tutta la vita. Avrà certamente fatto loro coraggio la scoperta che la scienza medica ha provveduto a mettere a punto ausili che riducono punture e disagi. La “prima” scuola incontrata invece ha non aiutato a superare ma confermato tutte le ansie.
Eppure la scuola è piccola, con pochi bimbi; la tecnologia consente il monitoraggio a distanza ma continuo da parte dei genitori, non ci sono manovre invasive ma un protocollo di osservazioni e dosaggi da seguire al momento del pasto. Dopo un mese di prova, il mancato inserimento ha costretto il bimbo a lasciare i compagni di giochi del paese per la scuola più grande del capoluogo. “Promosso” perché era stato bravo, gli si è detto. Ma non esiste bugia che i bimbi non leggano come tale nel momento stesso in cui la pronunciamo, nel momento stesso in cui sono chiamati a viverla. L’esordio nel mondo della socialità e del sapere è stato contrassegnato dal rifiuto mascherato dalla menzogna. Gli insegnanti non devono diventare anche infermieri, si dice. Certo, anche perché non bisogna eccedere nella medicalizzazione delle relazioni.
Ecco, la scuola è relazione. E ogni relazione porta con sé delle responsabilità, quella educativa tantissime. È forse meno grave uccidere l’autostima, non favorire adeguatamente lo sviluppo delle potenzialità? Eppure quante volte avviene, solo non è leggibile che nel tempo e non attribuibile in modo univoco. Accogliere tutti non può non essere un obiettivo primario di tutte le scuole: abbiamo abbattuto tante barriere architettoniche, è tempo di abbatte quelle dello spirito e del pregiudizio. È tempo di adeguare le normative e l’organizzazione per mettere in grado la scuola di accogliere davvero tutti, altrimenti dopo la “medicina difensiva” rischiamo di avere la “scuola difensiva”, ovvero una non scuola, per tutti. Ma alla fine l’impegno maggiore spetta alle persone, spetta a noi.
Come a tutte le vittime della storia prima, delle ingiustizie sempre, ai genitori è toccato un dolore in più: quello della testimonianza, della denuncia, della richiesta di giustizia. A loro il mio abbraccio solidale e la certezza che anche dalla loro azione nascerà un futuro migliore.
Una insegnante, un tempo
Ottimi contributi questi ultimi due. Escono dall’alibi delle norme per entrare nel merito della missione del ruolo dell’insegnante, della scuola e della comunità educante. Mi associo.
G.M.
Le parole di “una insegnante, un tempo” emanano tanta umanità, che sembra rimmergersi nella mentalità e nell’atmosfera di una volta, quando il Maestro Perboni, indimenticabile figura del libro Cuore, ispirava il nostro immaginario, e quando un eventuale errore commesso dall’insegnante per aver fatto un “passo avanti rispetto alla norma” non avrebbe avuto le conseguenze di oggi (stando alla miriade di contenziosi di cui leggiamo spesso sui giornali).
Ma ora quel “mondo” non esiste più, e abbiamo un po’ tutti fatto a gara per farlo sparire, salvo poi ricordarlo adesso con piacere, se non rimpiangerlo, al punto che non infrequentemente, quando andiamo in giro, capita semmai di interessarci a quei luoghi dove sopravvive ancora qualche angolo di realtà un po’ “arretrata” (sono le nostre incoerenze e contraddizioni, se vogliamo anche tenere e simpatiche, salvo quando dobbiamo pagarne il prezzo).
P.B. 06.03.2019
Ci voleva solo un po’ di volontà le maestre dell’asilo che frequenta attualmente Francesco l’hanno dimostrato la volontà e sensibilità.
Hanno fatto bene genitori a non tacere e combattere per suo figlio. È dovere di un genitore.
UnamammacheadoraFrancesco.