A Palazzo Ducale, Castelnovo ne’ Monti, dal 16 febbraio al 10 marzo la mostra fotografica Traiettorie. Le strade di uno sguardo di Pietro Magnani.
La racconta l’assessore alla cultura Emanuele Ferrari.
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Composizioni (per l’anima in una traiettoria).
C’è una poesia del grande Billy Collins che si chiama Balistica. Racconta di quando si è imbattuto nella foto a scatto ultrarapido di un proiettile che aveva appena perforato un libro. Ora il punto per Billy Collins non era restarsene a guardare quel proiettile o sapere dove sarebbe finita la sua traiettoria.
Il punto per Billy Collins era capire quale fosse il libro, che tipo di libro fosse stato scelto dal fotografo per lo sparo. Dopo aver scartato i romanzi noir di Chandler, “dove un proiettile in più si noterebbe a fatica”, passa alla saggistica, poi alla letteratura medievale e infine, poco prima di addormentarsi, l’intuizione giusta:
“era una raccolta recente di poesie scritte
da uno che non ammiravo
e che la pallottola doveva aver attraversato
il suo scritto incontrando poca resistenza,
a ottocentoquaranta metri al secondo,
passando per le poesie della sua infanzia
e quelle sullo stato deprimente del mondo
e poi per la foto dell’autore,
attraverso la barba, gli occhiali rotondi,
e quello speciale cappello da poeta che gli piace indossare.”
La fotografia, in questa ironica vicenda, pare proprio distruggere le cose. Forse non è un caso che scattare e sparare in inglese si dicano allo stesso modo: to shoot.
Così potremmo pensare che se abbiamo in mano, se guardiamo una fotografia, facilmente le cose che raffigura non ci sono più. O se ci sono ancora si trovano altrove, e spesso sono cambiate, non sono più le stesse. Penso che questo i fotografi lo sappiano bene. Anche quando, è il caso di Pietro, si mettono in viaggio, e si mettono a girare il mondo in lungo e in largo, per dare corpo alla traiettoria di uno sguardo, che forse somiglia anche un po’ allo scatto ultrarapido di un proiettile che attraversa il libro del mondo, o almeno cerca di farsi spazio tra le sue pagine innumerevoli.
Ma quanta resistenza offre il mondo al nostro sguardo? Non è una domanda semplice. In apparenza potremmo dire poca, pochissima: il mondo si lascia guardare, si lascia rappresentare ogni giorno attraverso un bombardamento di immagini. Che lo rappresentano, lo raccontano, lo espongono e propongono, come se ogni suo elemento potesse essere a nostra disposizione, in un mercato davvero globale. Le immagini del mondo di oggi sono ovunque. E ovunque pare possibile catturare il mondo in un’immagine. Ma ho la strana sensazione non sia così facile. Queste immagini sono infatti perlopiù condannate agli schermi. Abitano questi luoghi piatti. Dove il mondo certamente passa. Ma senza lasciare traccia. E questo non è quello che cerca un fotografo. Non è quello che anima ogni viaggio di Pietro, che cerca proprio le tracce, i segni di qualcosa che appartiene insieme a lui e al mondo.
Per questo mi piacerebbe immaginare un incontro tra Pietro e Billy Collins. Quello che un poeta con la sua ironia potrebbe chiedere a un “cercatore di tracce” come lui. Magari vorrebbe vedere le sue scarpe, ancora prima dei suoi occhi. Magari gli chiederebbe che cosa ha attraversato il suo sguardo, che cosa ha vissuto ancora prima di che cosa ha visto, per arrivare a scattare le foto che ha scattato. Ecco credo che un poeta chiederebbe questo. Non tanto il numero di scali negli aeroporti, neppure l’elenco degli stati e delle città, dei parchi e dei paesi visitati.
Ma come ha vissuto in quei luoghi, come ha incrociato gli sguardi della gente, come è riuscito a posare il suo in un punto preciso. Quello e non un altro. Punto.
Le traiettorie delle fotografie di Pietro (mi piace chiamarle con il loro nome tecnico, fotografie, perché riposano sulla carta, e sono dunque “composizioni scritte con la luce” non banalmente immagini), non sono il semplice percorso da un punto all’altro del pianeta. Non definiscono il luogo di caduta del suo sguardo. Sono piuttosto il suo modo di abitare il mondo, di tenersi legato ai luoghi con il proprio corpo, di muoversi verso un altro uomo, verso un animale, verso l’idea di uno spazio, naturale o costruito. Ma sempre cercando di rispettare la giusta distanza: tra lui e quell’uomo, quell’animale, quello spazio, anche quando irrimediabilmente vuoto, o irrimediabilmente intricato. Questo stare sulla soglia, attendere il momento di un dialogo possibile tra me e le cose che ho di fronte io lo chiamo “fare anima”.
Le traiettorie dello sguardo di Pietro definiscono per me il percorso di un’anima che va alla ricerca, che si pone delle domande e non pretende di avere risposte definitive. Coltiva il valore dell’incertezza, più precisamente dell’irrequietezza e spesso si chiede Cosa ci faccio qui? Magari restando in silenzio, senza il bisogno di aggiungere troppe parole.
Pietro conosce le strade del suo sguardo, ma sa anche che non finirà mai di percorrerle. Sente che in queste strade a volte può ascoltare una certa musica. E quel suono lo guida. Gli fa trovare il posto che cerca. Un’idea di casa. Dove ripartire ancora una volta.
Perché in fondo il mondo è sempre un passo più in là, oltre gli spari, gli scatti. Tutto ancora da immaginare, da scrivere e attraversare. Da ascoltare. Su quella soglia.
Senza bisogno di occhiali troppo rotondi e senza cappelli speciali da poeta, che decisamente non gli piace indossare.
(Emanuele Ferrari)
Un grande amico, un grande professionista ed un grande artista.
Non mancherò sicuramente
Un abbraccio
Davide Menechini