C’era una volta... una merla bianca. Eh già, perché i merli sono diventati neri dopo l’avventura che sto per raccontare. Ma bisogna partire da lontano.
Intanto ricordiamo che Gennaio, nella notte dei tempi, aveva solo 28 giorni, mentre ne aveva trentuno Febbraio. Gennaio era un mese dispettoso che si divertiva a tormentare le creature col suo freddo micidiale, e il freddo non perdona. Tanto più quando, per difendersi, c’erano pochi mezzi. Di freddo si poteva morire e questa storia lo conferma.
Una bella merla bianca stava arrabattandosi per sopravvivere al freddo. Usciva un attimo a cercare bacche, ma poi rientrava subito nel suo nascondiglio. Sapeva che all’indomani, con l’arrivo del nuovo mese, il clima sarebbe migliorato, e il giorno ventotto, reputandosi ormai fuori pericolo, con tono provocatorio si rivolse a Gennaio:
“Più non ti temo, dòmine,
ché uscita son dal verno”.
La parlata, allora, stava passando dal latino all’italiano. Un latino terra terra. A Gennaio però quel dòmine suonava come una presa in giro. Permaloso oltre che dispettoso, s’infuriò. Corse da Febbraio e lo convinse a dargli in prestito tre giorni. Febbraio non fu in grado di rifiutare. Da allora gli ultimi tre giorni di Gennaio vengono definiti i giorni imprestati. Gennaio aumentò talmente il freddo che tutto il paesaggio intorno diventò un lastrone di ghiaccio. Non si stava in piedi se dovevi spostarti, scricchiolavano i rami degli alberi come stecchi secchi, le grondaie sbavavano ghiaccio e candelotti che cadevano, così lunghi e rigidi, e potevano anche ferire i rari passanti.
La nostra bella merla bianca si rese conto che non ce l’avrebbe fatta a sopravvivere. Decise allora di rifugiarsi entro un comignolo da dove usciva un filo di fumo, sperando di cavarsela. Respirare sarebbe stato difficile, ma un po’ di tepore, almeno, lì ci sarebbe stato. Passarono i tre giorni finalmente, e arrivò Febbraio. Il comignolo aveva funzionato in continuazione. Uscì, si portò sul tetto, si sgranchì un pochino, guardò intorno, poi decise di riordinare le proprie piume scrollandosi di dosso la fuliggine. Dopo tre giorni ci poteva anche stare che si fossero stropicciate. Meraviglia, stupore, dispetto! Il suo bel piumaggio bianco non c’era più. E non bastava pulirlo e ripulirlo. Tutto il suo corpo era di un nero tetro e plumbeo. Da allora tutti i merli diventarono neri.
Fin qui la favola, diffusa più o meno in tutta Italia, anche nelle isole. Ma pure questa, come tutte le favole, ha una morale. E Dante (Purg. XIII, 122/123) se ne serve per rimarcare la stoltezza dell’invidiosa Sapia quando, soddisfatta per la sconfitta dei senesi, osò sfidare Dio:
“Ormai più non ti temo”,
come fa il merlo per poca bonaccia.
Sebastiano Pauli nel 1740 parla di altre interpretazioni: «… i giorni della Merla in significazione di giorni freddissimi. L'origine di quel dettato dicon esser questo: dovendosi far passare oltre Po un cannone di prima portata, nomato la Merla, s'aspettò l'occasione di questi giorni: nei quali, essendo il fiume tutto gelato, poté quella macchina esser tratta sopra di quello, che sostenendola diè il comodo di farla giugnere all'altra riva. Altri altrimenti contano: esservi stato, cioè un tempo fa, una Nobile Signora di Caravaggio, nominata de’ Merli, la quale dovendo traghettare il Po per andare a marito, non lo poté fare se non in questi giorni, nei quali passò sovra il fiume gelato».
Noi, ormai svezzati, nel racconto cerchiamo un contenuto realistico. La maggior parte degli uccelli in inverno migra; pochi sono quelli stanziali. E quando ricompaiono nei nostri territori annunciano l’arrivo della primavera. Il merlo no. Anzi: “A partire da Dicembre i merli sedentari si raggruppano in colonie numerose, su una superficie limitata. I maschi appaiono straordinariamente attivi… In Febbraio le copie si stabiliscono definitivamente e cominciano a cantare … [Enciclop. Motta – Scienze naturali].
Per questo si dice:
Quànd a cânta al mèrle (all’inizio di Febbraio)
i’ sèm föra d’ l’invèrne;
quànd a cânta al cúch (inizio di Aprile)
i’ sèm föra dal tút.
Ci sono anche i merli tecnologici
Comunque nei giorni della merla stiamo al caldo e copriamoci bene perché, anche a causa del freddo,
D’i šûvne a n’in mör un quercadûn,
d’i vè-c a n’ s’in sâlva ansûn!
Mi sento di dover esprimere un grazie all’Autore per queste sue belle, istruttive e “freddolose” righe (non finisce veramente mai il tempo di imparare qualcosa).
P.B. 27.01.2019
Bravo Savino, sempre interessanti i tuoi articoli, si leggono con piacere.
Elda Zannini