Ora soffre anche il medio Appennino. Negli ultimi anni eravamo convinti del fatto che, se anche il crinale si stesse spopolando da almeno quattro lustri, il medio Appennino avrebbe potuto reggere. Una linea Maginot che a oriente partiva da Vetto e a occidente arrivava a Carpineti: da qui a Nord, pur invecchiando la popolazione, i dati demografici si posizionavano a volte sul segno più e i dati economici parevano dare conforto a questa teoria. C’era e c’è Castelnovo ne’ Monti che, di fatto, era baluardo con scuola, sanità e collegamenti.
La raffica di chiusure di esercizi eccellenti e storici di cui abbiamo dato notizia in questi giorni è solo l’ultimo dei tanti campanelli d’allarme. A essere “strolighi” si potrebbe pensare che presto anche la popolosa Castelnovo potrebbe restare una isola in un Appennino svuotato e a macchia di leopardo.
In ordine di tempo il primo “din” d’allarme, appunto, squillò sui comuni del crinale. Dalla fine del modello Enel-Ligonchio, al tracollo della pastorizia, da una infrastrutturazione stradale che è pressoché rimasta la medesima per cent’anni al ritardo della connettività, è evidente come il crinale non abbia affatto tenuto in termini di economia, popolazione, mentre alcuni servizi di base sono rimasti eroicamente per merito di alcune scelte felici, come la prima unione del crinale. Il nuovo comune di Ventasso, però, pare cattedrale nel deserto demografico con un territorio sproporzionatamente vasto. Spopolamento: più a valle, al confine col parmense, è toccata analoga sorte, per prima, a Vetto, da almeno quindici anni. Un comune che, oltre ad avere registrato il dimezzamento delle attività commerciali, ha visto scomparire tout court latterie e turismo residenziale estivo e stagionale, al pari dei due alberghi del paese.
“I giovani vanno altrove” ci segnala, sul versante opposto al confine col modenese, una esercente che ha riconsegnato le chiavi dell’ultima edicola del paese. Poco più sotto singolare la notizia, più o meno veritiera, del sindaco di Baiso prossimo a candidarsi a Viano in virtù di una futuribile unione dei due comuni che, a quanto pare, paiono sempre meno parte dell’Appennino dove, geograficamente, si trovano.
Intanto, la fuga dei cervelli, giovani laureati in particolare, è, per quanto poco conosciuta, una piaga di dimensioni bibliche per la nostra montagna. Perché si tratta delle stesse menti che tra 10 o 20 anni avrebbero potuto fare nascere nuove esperienze imprenditoriali al pari della Elettric 80 o della Bronzoni di Ramiseto. Ci mancava, come le piaghe bibliche, chi ci ha tolto un servizio essenziale per le future mamme e famiglie che consisteva nel far nascere in montagna i propri figli, con la convinzione (o con il calcolo economico) che sia più sicuro partorire (o affollare) a Reggio piuttosto che al Sant’Anna. L’impoverimento di reparti storici – non detto da chi scrive, ma dai medici che a Castelnovo lavorano – è l’altro rovescio della medaglia.
Dal punto di vista politico locale è evidente come non ci sia stato sostanzialmente avvicendamento tra le classi dirigenti, tranne qualche amministrazione “civica”. Analisi interessante meriterebbe l’irrilevanza cui oggi è relegato l’Appennino in ambito provinciale in diversi enti e consorzi. Ma anche la lunga mano della politica su associazioni e sanità: a quale prezzo?
Lo scorso aprile, Claudio Bucci, politico di lunga data, puntava al cuore del problema: “la mancanza di lavoro in loco” e una “viabilità percorribile”. Un grido lanciato a vuoto dato che, tra i parlamentari eletti, così come tra quelli dei governi precedenti, il tema montagna rimane marginale: non entra una volta che sia una in maniera seria e strutturata nell’agenda politica. Lo potrebbe fare nel turismo montano, nei servizi e nel tema del fisco agevolato per chi vive (e mantiene vivo!) in Appennino che, al contrario, è parificato quasi sempre ai lavoratori della città. Cosa diversa per un’altra area fragile italiana, il meridione: leggiamo di un emendamento per promuovere, al pari del Portogallo, un fisco agevolato per i pensionati che torneranno per risiedere al meridione. Ma ai giovani chi pensa?
Ci piace il dibattito scaturito tra i lettori che, volentieri, continueremo a ospitare e invitiamo a intervenire. Si potrebbe sperare nella futuribile diga di Vetto, nelle aree interne, nella spinta dell’essere Mab Unesco, nell’arrivo di qualche imprenditore industriale illuminato e in altre iniziative a macchia di leopardo? Certamente no. O torna il lavoro su base strutturale o “la ‘scienza esatta’ della demografia” calerà inflessibile la sua mano. E, allora, davvero dovremo dare una risposta tragica alla domanda se “siamo montagna o terra di buen retiro di pensionati nostalgici?”
Dico basta con l’uso dei social, iniziamo un confronto “de visu”.
Assisto con stupore alla cronologia quotidiana delle criticità socio-economiche della montagna reggiana.
Rimarco il termine stupore perché a distanza di tempo, sono passati 15 anni, un gruppo di consiglieri di minoranza, e io tra questi, denunciava e rendeva evidenti nelle sedi istituzionali i mali della nostra montagna, crollo demografico in primis.
Debbo sottolineare, per richiamare un termine allora usato, che io venni additato come uno pervaso da pessimismo cosmico.
Ora, tranne alcuni che condivisero le sollecitazioni del gruppo di consiglieri coraggiosi, alcuni gridano al tracollo totale della situazione socio-economica di tutto il territorio.
Credo sia giunto il momento di passare alle denunce, animate da un legittimo protagonismo, ai fatti.
Chi condivide il bene della nostra montagna si faccia avanti e sappia privilegiare un confronto de visu.
Vogliamo ricercare un punto comune, un riferimento per partire. Rileggiamo il volume “Vivere in montagna si può”.
Troveremo tante soluzioni ai mali e alla decadenza irreversibile della nostra montagna.
Gli aspetti organizzativi per attivare un’iniziativa sono secondari, se si condividono il fine e gli obbiettivi.
Marino Friggeri
Gabriele Arlotti interpreta un’inquietudine che credo in tanti stiamo sperimentando in questo passaggio d’anno.
Leggere di comuni “fortunati” del medio Appennino che si trovano di colpo senza un’edicola o senza una cartoleria lascia basiti. Così come l’uscita estemporanea del sindaco Corti, che porterebbe a vedere Baiso come una propaggine solo un po’ più corrugata della collina di Scandiano e Viano. Eppure quando parlo con i miei vicini baisani li sento autentici montanari, e chissà se per loro le cose miglioreranno (strade asfaltate, frane riparate, negozi di prossimità aperti) se e quando il Comune sarà unito a quello di Viano.
Un altro elemento che mi mette a disagio è la mancanza di dibattito e di proposte “politiche locali” in vista delle prossime elezioni amministrative. Forse la situazione è così disperata che non è più il caso di dividersi in base a ispirazioni politiche più o meno astratte. Forse è ora che si mettano assieme tutti quelli che sono disponibili a tirarsi su le maniche o hanno qualche idea concreta, di destra, sinistra e centro. Forse è il tempo di aprire cooperative di comunità per tenere aperte le lavanderie e le edicole in tutti i paesi della nostra montagna, non solo del crinale.
S.C.
La storia passa sopra le nostre teste a nostra insaputa.
Detto questo, che male ci sarebbe se Castelnovo diventasse un buen retiro per pensionati (quale io sono)?
Le strutture ci sono e funzionano, l’ambiente è salubre, persone che hanno trascorso una vita di lavoro spesso in città caotiche e inquinate cercano posti come questo!
Certo se qualche esercizio inutile e sovrabbondante chiude dispiace, ma questa è la legge del mercato!
Puntiamo a fare del nostro Paese un luogo a misura d’uomo per persone anziane, esse consumano e spendono per vivere, cercano solo un po’ di tranquillità. Per i giovani, spostarsi in grandi città in cerca di lavoro non sarà certo un problema alla loro età! Quindi questa è una opportunità da sfruttare e non una debolezza.
R.L.
Un’analisi veritiera ma dolorosa, quella del signor Arlotti.
Il nodo cruciale è il lavoro. Le aree interne… mi verrebbe da dire che sono belle parole con, al momento, poche ricadute reali. Anche la politica a livello locale non è risultata efficace, nonostante ben due senatori residenti in montagna.
MA
Riguardo al non stupirsi “se Castelnovo diventasse un buen retiro per pensionati”, dal momento che “le strutture ci sono e funzionano, ecc…”, mi vengono da fare due considerazioni, partendo col dire che questo capoluogo, pur importantissimo che sia, non è l’intera montagna, ed è di questa che stiamo qui parlando, almeno mi pare, anche se c’è chi ritiene che il restante nostro territorio è ormai destinato a un inarrestabile spopolamento ed inesorabile declino (tanto da vedere Castelnovo come l’unica “fortezza” o “roccaforte” da poter ancora difendere, abbandonando il circondario al suo destino).
Ma chi la pensa così deve anche fare i conti con l’opinione di chi, invece, crede da sempre che il destino di Castelnovo sia legato “a doppio filo” con quello del suo circondario, essendo quest’ultimo che ha contribuito ad alimentare il sistema economico e la rete dei servizi del primo, e se una tale opinione non mancasse di ragioni succederebbe che le sorti del territorio che gravita tradizionalmente sulla capitale della montagna non sarebbero affatto ininfluenti sulla possibilità per la stessa di conservare le proprie strutture, innanzitutto sociosanitarie, a disposizione degli anziani (salvo il prevedere che a Castelnovo i pensionati siano ospitati in Case di Riposo, Residenze Protette, e similari, ma non mi sembra il ragionamento di L.R.)
A fronte della scoraggiante situazione in cui siamo venuti a trovarci, il dito viene puntato contro la politica, non so se per stimolarla e pungolarla a trovare una qualche risposta e strategia, o per la soddisfazione di individuare ad ogni costo un “colpevole”, come ci hanno abituati a fare, e la politica non ha certamente poche responsabilità, fra cui, a mio avviso almeno, quella di aver soppresso la Comunità Montana, che dava identità e unicità al nostro comprensorio – e un discorso abbastanza analogo potrebbe farsi per la Provincia, che poteva essere fonte di compensazioni territoriali, aspetto non secondario che aveva funzionato nel tempo – ma qui occorre guardare oltre e capire come muoversi.
In questo tentativo del guardare oltre, a me sembra che nella fase attuale, per un insieme di cause e al di là di ogni sollecitazione, la politica non sia in grado di prendere in mano il timone e cambiare rotta, attraverso azioni di indirizzo e programmazione, e mi affiderei piuttosto all’iniziativa dei singoli, cercando in primo luogo di salvaguardare l’esistente, e chiedendo alla politica di ottenere per la montagna talune deroghe, quali ad esempio la semplificazione degli adempimenti previsti per avviare o proseguire un’attività, unitamente ad un sostanzioso alleggerimento fiscale (peraltro, anche una “cooperativa di comunità”, come suggerisce qualcuno, ha bisogno, per restare in piedi, che i montanari rimangano).
P.B. 08.01.2019
Condivido l’analisi dell’amico Marino: io ero uno di quei consiglieri “coraggiosi” che portarono in consiglio le criticità del crinale. Era il 2005 e la situazione non è di certo migliorata. Al di fuori del periodi turistici vivere nel crinale è diventata una sfida per pochi giovani coraggiosi che fanno impresa o cultura e per molti anziani con sempre meno diritti e servizi, ma uguali doveri di chi vive in pianura.
Alla politica interessano i voti e in Appennino sono sempre meno. Spiegazione semplice.
Riccardo Bigoi